Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24571 del 01/12/2016


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Cassazione civile sez. lav., 01/12/2016, (ud. 04/10/2016, dep. 01/12/2016), n.24571

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 28603-2011 proposto da:

AGENZIA DELLE DOGANE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla VIA DEI

PORTOGHESI N. 12;

– ricorrente –

contro

M.P., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIALE XXI APRILE 12, presso lo studio dell’avvocato ANTONELLA

MINIERI, che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 8015/2010 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 17/11/2010 R.G.N. 4569/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/10/2016 dal Consigliere Dott. IRENE TRICOMI;

udito l’Avvocato FIDUCCIA BEATRICE;

udito l’Avvocato MINIERI ANTOMELLA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La Corte d’Appello di Roma, con la sentenza n. 8015/10, pronunciando sull’impugnazione proposta dall’Agenzia delle Dogane nei confronti di M.P., avente ad oggetto la sentenza del Tribunale di Roma n. 19561 del 3 dicembre 2008, rigettava l’appello.

2. Il Tribunale di Roma aveva ritenuto sussistere la propria giurisdizione e aveva condannato l’Agenzia delle Dogane al pagamento in favore di M.P. della somma di Euro 12.573,31, oltre interessi legali dalla maturazione al saldo, a titolo di risarcimento del danno consistente nelle differenze retributive che avrebbe dovuto percepire con il tempestivo riconoscimento della qualifica superiore.

3. L’Agenzia delle Dogane proponeva appello deducendo che erroneamente il giudice di primo grado aveva ritenuto sussistere la propria giurisdizione e che la tardività dell’approvazione della graduatoria era stata dovuta non a fatto imputabile ad essa Amministrazione, ma alla particolare complessità della vicenda, oggetto di numerose sentenze del giudice amministrativo di segno opposto.

4. La Corte d’Appello riteneva non fondato l’eccepito difetto di giurisdizione, atteso che le pretese del ricorrente derivavano da un comportamento illecito della pubblica amministrazione e da un atto amministrativo successivo alla data del 30 giugno 1998 (la determinazione del Commissario ad acta n. 2810 del 6 febbraio 2004, con la quale veniva riformulata la graduatoria definitiva del concorso), sussistendo, pertanto, la giurisdizione del giudice ordinario, e rigettava nel merito l’impugnazione.

5. Per la cassazione della sentenza resa in grado di appello ricorre L’Agenzia delle Dogane prospettando cinque motivi di impugnazione.

6. Resiste il lavoratore con controricorso.

7. Con decreto del 22 novembre 2012, il Presidente Aggiunto della Corte di cassazione ha disposto che sulla questione di giurisdizione pronunci la Sezione semplice.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Occorre premettere che nel 1992 il Ministero delle Finanze bandiva un concorso interno per la copertura di numerosi posti di funzionario tributario (ottava qualifica). La graduatoria finale, approvata in data 24 giugno 1996, era stata annullata dal TAR Lazio che, con sentenza n. 3679/2000, ne aveva dichiarato l’illegittimità perchè alcuni partecipanti alla prova selettiva non avrebbero potuto parteciparvi in mancanza dei necessari requisiti.

In ottemperanza alle statuizioni del giudice amministrativo il Commissario ad acta aveva provveduto a stilare una nuova graduatoria, dalla quale erano stati depennati i vincitori privi dei necessari requisiti, e nella quale erano stati invece inseriti, al loro posto, gli idonei.

In tale nuova graduatoria, approvata con determinazione in data 6 febbraio 2004, era stato collocato anche l’odierno controricorrente.

Con determinazione n. 5128 dell’11 febbraio 2004, l’Agenzia delle Dogane aveva riconosciuto la decorrenza economica dell’inquadramento nella 8^ qualifica funzionale dalla effettiva immissione in ruolo (18 ottobre 2001).

Il lavoratore si era poi rivolto al Tribunale di Roma per ottenere l’accertamento del diritto al riconoscimento della decorrenza economica dell’immissione in ruolo a seguito della riformulazione della graduatoria sin dal 1996, con la condanna dell’Agenzia al pagamento in proprio favore delle differenze sul trattamento retributivo, e la condanna dell’Amministrazione al risarcimento del danno derivante dalla violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, oltre al danno per la perdita di chances (v. ricorso pag. 1 e controricorso, pag. 3).

2. Con il primo motivo di ricorso la sentenza è censurata per motivi attinenti alla giurisdizione con riferimento al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 69 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 1.

Erroneamente, la Corte d’Appello ha ritenuto non operante lo sbarramento temporale di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 69, comma 7, e che le pretese del lavoratore derivavano da un comportamento illecito dell’amministrazione, e da un atto amministrativo successivo alla data del 30 giugno 1998, attribuendo rilievo alla riformulazione della graduatoria, effettuata con atto del Commissario ad acta n. 2810 del 6 febbraio 2004, e alla determinazione n. 5128 dell’11 febbraio 2004, con la quale l’Agenzia delle Dogane avrebbe riconosciuto la decorrenza economica dell’inquadramento nella 8^ qualifica funzionale dalla effettiva immissione in ruolo (18 ottobre 2001).

Ed infatti, in una corretta applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 69 sussiste il difetto di giurisdizione. Ciò perchè la pretesa risarcitoria si collega necessariamente al rapporto di pubblico impiego già esistente, perchè costituito con efficacia retroattiva.

Dunque, la controversia riguardava una fase del rapporto antecedente al 30 giugno 1998, ciò tenuto anche conto che il ricorrente avanzava domanda legata all’illegittimità di una graduatoria redatta nel 1996, per cui avrebbe potuto agire, per ottenere il pagamento delle differenze sulle retribuzioni erogate o per il risarcimento del danno, ben prima del giugno 1998.

3. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Assume il ricorrente di avere censurato la sentenza di primo grado non solo con riguardo alla violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 69, comma 7, ma anche ai sensi dell’art. 63, comma 4 medesimo D.Lgs., poichè veniva in esame una procedura concorsuale in vista del conferimento di superiore posizione, alla quale consegue novazione oggettiva del rapporto.

Sul punto, che intendeva proporre una autonoma ed indipendente questione di giurisdizione, il giudice di secondo grado non si era pronunciato.

4. Con il terzo motivo di ricorso sono prospettati motivi attinenti alla giurisdizione con riferimento al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63, comma 4, ed alla L. n. 205 del 2000, art. 7, comma 3, vigente ratione temporis, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 1.

Il ricorrente richiama la giurisprudenza di legittimità (Cass., S.U., n. 15403 del 2003, in tema di concorsi interni,), affermando che è riservata al giudice amministrativo la giurisdizione non solo sulle procedure concorsuali volte alla costituzione per la prima volta del rapporto di lavoro, ma anche alle prove selettive dirette a permettere l’accesso del personale già assunto ad una fascia o area superiore.

Nel caso di specie, si verteva in ipotesi di partecipazione ad una procedura per il passaggio dalla 7^ alla 8^ qualifica funzionale e dunque la controversia rientrava nella giurisdizione del G.A., con ricadute sulla domanda di risarcimento del danno.

5. I suddetti motivi tutti attinenti alla giurisdizione devono essere trattati congiuntamente in ragione delle loro connessione. Gli stessi non sono fondati.

Va rilevato in premessa che non sussiste il denunciato difetto di pronuncia, atteso che la Corte d’Appello, chiamata a pronunciarsi sulla giurisdizione, ha confermato l’accoglimento della domanda del lavoratore avente ad oggetto la condanna al risarcimento del danno da ritardato riconoscimento della qualifica superiore, con ciò ritenendo che le vicende attinenti alla procedura concorsuale costituivano mero presupposto della odierna domanda risarcitoria (dato storico costituito dall’avverarsi delle circostanze dai fatti materiali posti alla base della pretesa avanzata, che nella fattispecie è la riformulazione della graduatoria del Commissario ad acta del 2004, si v. facciata n. 3 della sentenza di appello), ed ha individuato nella determinazione del Commissario ad acta che riformulava la graduatoria il provvedimento conclusivo della procedura stessa, in relazione a ciò facendo poi corretta applicazione dell’art. 69, comma 7 cit.

6. Le Sezioni Unite (sentenze Cass. S.U. n. 580 del 2014, n. 2705 del 2012; si v. anche, per i principi enunciati, Cass., S.U., n. 14257, n. 18703, n. 19290 del 2012) nel decidere su una identica fattispecie (domanda proposta da altro dipendente dell’Agenzia delle Dogane ed avente identità di causa petendi), hanno affermato, con statuizione alla quale condividendola si intende dare continuità, la giurisdizione del giudice ordinario in applicazione del consolidato principio secondo cui, qualora la lesione di un diritto sia stata prodotta da un provvedimento ovvero da un atto negoziale, l’individuazione della giurisdizione deve essere fatta con riferimento alla data di tale atto.

Ed infatti, sulla base del suddetto principio, le Sezioni Unite hanno affermato che, nel caso di specie, il giudice munito di giurisdizione doveva essere individuato con riguardo alla data della determinazione con la quale era stata approvata la nuova graduatoria (6 febbraio 2004) atteso che tale provvedimento, disponendo soltanto ex nunc la decorrenza economica del superiore inquadramento, aveva fatto insorgere nel dipendente la necessità di rivolgersi al giudice per la tutela della sua posizione.

In riferimento alla suddetta data dovevano considerarsi appartenenti alla giurisdizione del giudice ordinario, ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 69, comma 7, le controversie, come quella in esame, riguardanti la gestione dei rapporti di impiego contrattualizzato.

In applicazione dei suddetti principi, che devono essere ribaditi anche in questa sede, deve essere confermata la giurisdizione del giudice ordinario.

7. Con il quarto motivo di ricorso è dedotta falsa applicazione dell’art. 1218 c.c., violazione del principio di corrispettività della retribuzione desumibile dall’art. 2013 c.c. e dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Espone l’Agenzia delle Dogane, prendendo in esame giurisprudenza ordinaria e amministrativa a conforto delle proprie deduzioni, che la Corte d’Appello, pur affermando in premessa che le pretese del ricorrente derivavano da un comportamento illecito della pubblica amministrazione, con le statuizioni assunte riteneva sussistere responsabilità contrattuale, ai sensi dell’art. 1218 c.c., facendo discendere da ciò che una volta dedotto dal lavoratore l’inadempimento, spettava all’Amministrazione la prova della non imputabilità di quest’ultimo.

Tale ricostruzione giuridica contrasta con il principio di corrispettività della retribuzione, secondo cui la retribuzione non spetta in assenza di corrispondente prestazione. Deduce, altresì, che un’eventuale nomina retroattiva non faceva sorgere ex tunc la consequenziale pretesa retributiva, ma costituiva titolo utile agli effetti giuridici.

L’Agenzia delle Dogane, quindi, afferma che la Corte d’Appello, muovendo dalla qualificazione della pretesa del riconoscimento delle differenze retributive maturate dalla data di riconoscimento della posizione giuridica a seguito della riformulazione della graduatoria (dal 1996), quale obbligazione ex contractu a carico dell’Amministrazione, ha falsamente applicato l’art. 1218 c.c., nonchè violato il principio di corrispettività della retribuzione.

8. Il motivo non è fondato e deve essere rigettato.

Nella fattispecie in esame il rapporto di lavoro non rappresenta un mero presupposto estrinseco ed occasionale della tutela invocata, in quanto la stessa attiene a diritti soggettivi derivanti direttamente dal medesimo rapporto, lesi da comportamenti che rappresentano l’esercizio di poteri datoriali.

Ove la condotta dell’amministrazione si presenti con caratteri tali da escluderne qualsiasi incidenza nella sfera giuridica di soggetti ad essa non legati da rapporto di impiego, la natura contrattuale della responsabilità non può essere revocata in dubbio, poichè l’ingiustizia del danno non è altrimenti configurabile che come conseguenza delle violazioni di taluna delle situazioni giuridiche in cui il rapporto medesimo si articola e si svolge (Cass., S.U., n. 5785 del 2008).

La Corte d’Appello, dunque, ha accertato in capo all’Amministrazione la sussistenza di una responsabilità contrattuale – nè con ciò contrasta il riferimento, quale fondamento delle pretese del ricorrente, al comportamento illecito della pubblica amministrazione oltre che ad atto amministrativo – con condanna al pagamento del risarcimento del danno, ragguagliato in relazione alle differenze retributive che il lavoratore avrebbe potuto percepire ove l’Amministrazione gli avesse riconosciuto la 8^ qualifica dal 1996.

Pertanto la somma oggetto della condanna al risarcimento del danno, non costituisce corrispettivo per una prestazione lavorativa non resa.

Conseguentemente, la Corte d’Appello ravvisava in capo all’Amministrazione la sussistenza dell’onere della prova della non imputabilità a sè medesima dell’evento.

9. Con il quinto motivo di ricorso è dedotto il vizio di contraddittoria motivazione su di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

Il ricorrente censura la contraddittorietà circa la qualificazione della responsabilità dell’Amministrazione, già posta in evidenza anche con il terzo motivo di ricorso.

Argomenta, altresì, la insufficienza e contradditorietà della motivazione in relazione alla non imputabilità del ritardo, attesa la complessità della procedura contenziosa cui conseguiva l’adozione della graduatoria definitiva.

10. Il motivo non è fondato.

Occorre premettere che il motivo di ricorso per cassazione, con il quale la sentenza impugnata venga censurata per vizio della motivazione, non può essere inteso a far valere la rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della parte e, in particolare, non si può proporre con esso un preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della disposizione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5; in caso contrario, questo motivo di ricorso si risolverebbe in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, e, perciò, in una richiesta diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione (Cass., sentenza n. 9233 del 2006).

Nella specie la Corte d’Appello, con congrua e corretta motivazione, in relazione alla quale non si ravvisa il suddetto vizio, rilevava che il M. era stato inserito nella graduatoria dei vincitori del concorso, con un ritardo di molti anni rispetto al dovuto e affermava che la giustificazione che di tale ritardo era stata addotta dall’Amministrazione non aveva pregio. Quest’ultima aveva addotto la necessità di attendere l’esito delle vicende contenziose dinanzi ai giudici amministrativi, tuttavia la stessa aveva tardato ad operare l’inquadramento anche dopo l’emanazione della sentenza del Consiglio di Stato, rendendosi necessario l’intervento di un Commissario ad acta. Nè l’Amministrazione aveva dato la prova della non imputabilità a sè medesima dell’inadempimento.

11. Il ricorso deve essere rigettato.

12. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in euro cento per esborsi, Euro tremila per compensi professionali, oltre spese generali in misura del 15% e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 4 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 1 dicembre 2016

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