Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24570 del 02/10/2019

Cassazione civile sez. trib., 02/10/2019, (ud. 15/05/2019, dep. 02/10/2019), n.24570

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. MAISANO Giulio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23313-2014 proposto da:

ROSATI SRL, elettivamente domiciliato in ROMA VIA G. FERRARI 11,

presso lo studio dell’avvocato RASILE NICOLA, rappresentato e difeso

dall’avvocato PADULA GIUSEPPE;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 938/2014 della COMM. TRIB. REG. del Lazio

DIST. di LATINA, depositata il 13/02/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

15/05/2019 dal Consigliere Dott. MAISANO GIULIO.

Fatto

RILEVATO

che con sentenza n. 938/39/14 pubblicata il 13 febbraio 2014 la Commissione Tributaria Regionale del Lazio sezione distaccata di Latina ha rigettato l’appello principale dalla società Rosati s.r.l. avverso la sentenza n. 139/5/12 emessa dalla Commissione Tributaria Provinciale di Latina con la quale era stato parzialmente accolto il ricorso proposto dalla stessa Rosati s.r.l. avverso l’avviso di accertamento n. (OMISSIS) emesso dall’Agenzia delle Entrate nei suoi confronti e con il quale erano stati accertati maggiori ricavi nella attività di ristorazione svolta dalla società nell’anno 2006 per Euro 90.840,00 con conseguenti maggiori imposte ed era stata ridotta la somma accertata del 50%; con la medesima sentenza la Commissione Tributaria Regionale ha accolto l’appello incidentale dell’Agenzia delle Entrate confermando la totale legittimità dell’accertamento originariamente impugnato. La Commissione Tributaria Regionale ha considerato la correttezza dell’operato dell’Ufficio che si è basato su fatti precisi quali il costo delle materie prime, la percentuale di sfrido, il prezzo di ciascun piatto, l’utilizzo di tovaglioli, elementi a fronte dei quali la società contribuente non aveva fornito elementi precisi atti a contrastare l’assunto dell’ufficio.

Che la Rosati s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione avverso tale sentenza articolato su due motivi;

Che l’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che con il primo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, nonchè dell’art. 2729 c.c. ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 In particolare si deduce che, a fronte dell’affermazione secondo cui è onere dell’amministrazione provare la sussistenza del presupposto dell’accertamento, si afferma poi che il contribuente non avrebbe assolto all’onere di difendersi adducendo prove contrarie. Il motivo è infondato, in quanto la motivazione della sentenza impugnata è in linea con le norme di riparto dell’onere della prova, avendo la Commissione Tributaria Regionale affermato che l’Ufficio ha assolto l’onere, ad essa spettante, di provare i maggiori ricavi della contribuente facendo ricorso a presunzioni dotate dei requisiti di cui all’art. 2729 c.c.. In particolare l’argomentazione della sentenza impugnata è logica nell’elencare tutti gli elementi di fatto obiettivi addotti dall’amministrazione a fondamento dell’accertamento impugnato, e nell’affermare, poi, che la società appellante principale, non ha addotto prove o precise argomentazioni contrarie a sostegno delle proprie ragioni limitandosi a generiche affermazioni di principio. Con specifico riferimento al c.d. “tovagliometro” questa Corte ne ha affermato la piena legittimità (V. Cass. 29 marzo 2019, n. 8822). La considerazione di precise circostanze di fatto e la valutazione di esse da parte del giudice dell’appello, supera, guidi, ogni censura di legittimità.

Che con il secondo motivo si assume omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 5 e 4. Il motivo è inammissibile. La ricorrente non indica il fatto preciso decisivo per il giudizio ed il cui esame sarebbe stato omesso limitandosi ad una critica della riforma legislativa dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ed affermando, essa stessa, che il vizio di insufficiente motivazione precluso dalla nuova formulazione di detto n. 5, potrebbe essere dedotto con l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, con palese violazione della stessa ratio della norma intesa proprio a limitare le censure sulle motivazioni. Nel caso in esame, comunque, il giudice dell’appello ha logicamente considerato la fondatezza della pretesa dell’amministrazione, ed a fronte di essa, ha considerato la mancanza dell’assolvimento dell’onere della prova contraria da parte della società contribuente. D’altra parte la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione. (cfr. Cass. S.U. n. 8053/14).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso;

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate L, in Euro 5.600,00 per compensi oltre alle spese prenotate a debito,

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 15 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 2 ottobre 2019

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