Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24568 del 05/10/2018

Cassazione civile sez. III, 05/10/2018, (ud. 12/07/2018, dep. 05/10/2018), n.24568

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11768-2017 proposto da:

S.V.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

COSSERIA 2, presso lo studio dell’avvocato ALFREDO PLACIDI,

rappresentata e difesa dagli avvocati GIULIO BINI, MARIA GRAZIOSI

giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

R.F., A.M., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA DI VAL FIORITA, 90, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO

LILLI, che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati

STEFANIA TONINI, DARIO FORASASSI giusta procura speciale al ricorso

notificato;

M.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CUNFIDA 20,

presso lo studio dell’avvocato MONICA BATTAGLIA, che lo rappresenta

e difende giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

SA.AL.;

– intimato –

nonchè da

R.F., A.M., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA DI VAL FIORITA 90, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO

LILLI che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati DARIO

FORASA e STEFANIA TONINI giusta procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrenti-

contro

S.V.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

COSSERIA 2, presso lo studio dell’avvocato ALFREDO PLACIDI,

rappresentata e difesa dagli avvocati GIULIO BINI, MARIA GRAZIOSI

giusta procura speciale in calce al ricorso principale;

– controricorrente –

nonchè contro

M.F., SA.AL.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 630/2017 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 09/03/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/07/2018 dal Consigliere Dott. ANTONELLA DI FLORIO;

Fatto

RILEVATO

che:

1. Con distinti ricorsi, il notaio S.V.M. (affidandosi a tre motivi illustrati anche con memorie), R.F. e A.M. (sulla base di cinque motivi, anch’essi illustrati da memorie) hanno chiesto la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Bologna che, riformando parzialmente la pronuncia del Tribunale, aveva accolto la domanda revocatoria proposta da M.F. contro il suo dante causa SA.AL., avente ad oggetto il contratto di compravendita rogato dal S., dichiarandolo inefficace, ed aveva condannato con separate statuizioni sia i coniugi R. – A. che il notaio a rifondere all’appellante M. le spese di lite del giudizio di primo grado, e tutte le controparti in solido al pagamento di quelle del grado d’appello.

2. Gli intimati, reciprocamente in relazione ad entrambi i ricorsi, hanno resistito.

SA.AL. non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Il ricorso del notaio S.V.M..

Con il primo motivo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n 3, degli artt. 2644, 2652 e 2043 c.c.: lamenta che la Corte territoriale aveva erroneamente attribuito effetti giuridici alla trascrizione illegittima (in quanto effettuata fuori dei casi previsti dalla legge) della domanda giudiziale del M. contro il Sa., ed aveva di conseguenza ritenuto che ricorresse il requisito della scientia damni in capo ai terzi contraenti ( R. ed A.), in relazione all’atto di compravendita di cui era stata dichiarata l’inefficacia.

Con il secondo motivo, deduce altresì la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, degli artt. 2644 e 2652 c.c. per aver attribuito effetto di conoscenza o conoscibilità legale alla trascrizione della domanda giudiziale della causa risarcitoria, effetto viceversa inesistente anche in caso di trascrizione legittima.

Con il terzo motivo, infine, lamenta la violazione o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n 3, degli artt. 1218, 1176 e 2230 c.c. e della L. n. 89 del 1913 per averlo ritenuto inadempiente in quanto non aveva informato le parti stipulanti dell’esistenza di una trascrizione extra legem, che confermava, invece, la libertà del bene oggetto di compravendita.

2. Il ricorso di R.F. e A.M..

Con il primo e il secondo motivo, i ricorrenti hanno proposto censure analoghe a quelle mosse dal notaio S.: deducono, con la prima, il vizio di violazione di legge assumendo che la Corte aveva erroneamente ritenuto che la trascrizione della domanda risarcitoria del M. contro il Sa. avesse prodotto l’effetto giuridico di rendere loro conoscibile l’esistenza del pregiudizio che, con l’acquisto dell’immobile, essi avrebbero arrecato al credito del primo; riconducono, invece, la seconda doglianza al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5. Con il terzo motivo deducono, ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione dell’art. 112 c.p.c. e l’omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, consistente nell’apparente accoglimento della domanda di manleva – che era stata ingiustamente limitata alle spese di lite – con totale omissione della valutazione dell’ulteriore pregiudizio subito, primo fra tutti la perdita dell’immobile.

Con il quarto ed il quinto motivo, i ricorrenti denunciano, ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. e la contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, concernente la condanna alle spese pronunciata in favore del M., solo implicitamente statuita attraverso l’accoglimento della domanda di manleva, ma priva di una coerente ed esplicita decisione concernente l’obbligo di restituzione di esse in relazione alla sentenza di primo grado.

3. Preliminarmente, tuttavia, deve essere esaminata la questione (affrontata funditus da entrambe le parti nelle memorie), riguardante la procedibilità del ricorso, della quale si impone il rilievo d’ufficio.

Questa Corte ha recentemente affermato che “ai fini del rispetto di quanto imposto, a pena d’improcedibilità, dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, il difensore che propone ricorso per cassazione contro un provvedimento che gli è stato notificato con modalità telematiche deve depositare nella cancelleria della Corte di Cassazione copia analogica, con attestazione di conformità ai sensi della L. n. 53 del 1994, art. 9, commi 1-bis e 1-ter, del messaggio di posta elettronica certificata ricevuto, nonchè della relazione di notifica e del provvedimento impugnato, allegati al messaggio.” (Cass. 30765/2017 alla cui motivazione si rimanda).

2.1. Nel caso in esame, entrambi i ricorrenti, pur dando atto che l’impugnazione è stata proposta avverso la sentenza notificata a mezzo PEC il 14.3.2017, non hanno provveduto ad attestare la conformità dei documenti informatici comprovanti l’incombente, come si evince dall’esame dei fascicoli di parte nei quali, per ciò che qui interessa, manca la documentazione analogica autenticata (con sottoscrizione autografa del difensore) del messaggio di posta elettronica certificata relativo alla notifica della pronuncia oggetto del presente giudizio. Nè si rinviene la produzione di tale documentazione da parte del controricorrente che avrebbe potuto sanare, ai fini della procedibilità del ricorso, tale omissione.

2.2. Inoltre, si osserva, che i ricorsi per cassazione sono stati notificati (rispettivamente, in data 11.5.2017 e 12.5.2017) oltre il termine di sessanta giorni dalla pubblicazione della sentenza (9.3.2017): quindi, in assenza dell’unica ipotesi in cui perde rilievo la data della notifica del provvedimento impugnato (Cass. 10 luglio 2013, n. 17066, richiamata nel par. 22 di Cass. 30765/2017), era necessario che i ricorrenti osservassero rigorosamente le formalità imposte dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, come declinate nel giudizio di Cassazione, non ancora telematico, alla luce della normativa sulle notifiche a mezzo PEC (L. n. 53 del 1994, art. 9, commi 1 – bis e 1 – ter) che impone la autenticazione, con sottoscrizione autografa del difensore, della copia analogica delle ricevute di trasmissione ed avvenuta consegna, ovvero, nel caso in cui il difensore del ricorrente abbia ricevuto la notifica telematica dalla controparte, del messaggio di ricezione (in luogo della RdA e della RdAC).

3. Non possono, al riguardo, essere condivisi i rilievi che ha sollevato il ricorrente S. in ordine alle statuizioni contenute nel recente arresto di questa Corte sulla specifica questione (Cass. 30765/2017); ugualmente infondati risultano essere gli argomenti contenuti nelle memorie dei ricorrenti R. – A..

3.1. Il S., in particolare, criticando l’orientamento testè riportato – nella parte in cui ha affermato che l’avvocato destinatario della notifica della sentenza a mezzo PEC è tenuto ad autenticare la copia del messaggio “di cui dispone” e, dunque, “in luogo della ricevuta di accettazione e di avvenuta consegna” in possesso del mittente, le copie, autenticate con sottoscrizione autografa, del messaggio di ricezione, della relazione di notifica e del provvedimento impugnato -, assume che:

a. tale ricostruzione del sistema avrebbe modificato il testo normativo: la Corte, così opinando, avrebbe svolto un’attività non più interpretativa ma impropriamente integrativa ed additiva, contrastante, oltretutto, con un suo precedente arresto, espresso, sulla stessa questione, da Cass. 17450/2017; e che la L. n. 53 del 1994, art. 9, comma 1-ter non sarebbe applicabile al caso dell’avvocato destinatario della notifica avvenuta a mezzo PEC ma soltanto a quello del difensore – mittente;

b. ove dovesse, invece, confermarsi la diversa statuizione, dovrebbe comunque giungersi alla conseguenza che, in mancanza delle attestazioni di conformità, debba ritenersi non provata l’avvenuta notifica della sentenza e, quindi, il ricorso dovrebbe essere considerato tempestivo “purchè intervenuto entro il termine lungo di cui all’art. 327 c.p.c., comma 1, di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza impugnata” (pp. 10/11 della memoria S.).

Entrambi gli argomenti non sono condivisi da questo Collegio, che intende dare seguito all’arresto portato da Cass. 30765/2017.

3.2. La statuizione sul secondo rilievo costituisce l’antecedente logico rispetto alla disamina del primo.

Questa Corte, infatti, ha affermato, in epoca antecedente all’entrata in vigore del processo telematico, ma con principio di carattere generale, che “la previsione – di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, dell’onere di deposito a pena di improcedibilità, entro il termine di cui al primo comma della stessa norma, della copia della decisione impugnata con la relazione di notificazione, ove questa sia avvenuta, è funzionale al riscontro, da parte della Corte di cassazione – a tutela dell’esigenza pubblicistica (e, quindi, non disponibile dalle parti) del rispetto del vincolo della cosa giudicata formale – della tempestività dell’esercizio del diritto di impugnazione, il quale, una volta avvenuta la notificazione della sentenza, è esercitabile soltanto con l’osservanza del cosiddetto termine breve. Nell’ipotesi in cui il ricorrente, espressamente od implicitamente, alleghi che la sentenza impugnata gli è stata notificata, limitandosi a produrre una copia autentica della sentenza impugnata senza la relata di notificazione, il ricorso per cassazione dev’essere dichiarato improcedibile, restando possibile evitare la declaratoria di improcedibilità soltanto attraverso la produzione separata di una copia con la relata avvenuta nel rispetto dell’art. 372 c.p.c., comma 2, applicabile estensivamente, purchè entro il termine di cui all’art. 369 c.p.c., comma 1 e dovendosi, invece, escludere ogni rilievo dell’eventuale non contestazione dell’osservanza del termine breve da parte del controricorrente ovvero del deposito da parte sua di una copia con la relata o della presenza di tale copia nel fascicolo d’ufficio, da cui emerga in ipotesi la tempestività dell’impugnazione” (Cass. SU 9005/2010).

Tale principio induce, dunque, ad escludere che, ai fini della tempestività del ricorso per cassazione, possa ricorrersi “in via subordinata” al termine (c.d. lungo) di cui all’art. 327 c.p.c., ove sia carente la prova della notifica della sentenza alla quale il ricorrente si sia espressamente riferito, in relazione al termine (c.d. breve) di cui all’ art. 325 c.p.c., nell’atto di impugnazione: la conoscenza legale del provvedimento, ammessa dall’interessato nell’ambito della consumazione dei potere di ricorrere per cassazione, opera, difatti, su di un piano diverso da quello su cui poggia la relativa prova, attenendo l’una alla tempestività/ammissibilità dell’impugnazione e l’altra alla procedibilità.

Tanto premesso, anche il primo argomento non ha pregio, in quanto l’avvento del processo civile telematico e l’adeguamento delle norme in esso contenute alle regole processuali esistenti impongono all’interprete un coordinamento strettamente collegato alle cadenze ed alle peculiarità del meccanismo informatico che, lungi dall’assumere la valenza integrativa/additiva dell’interpretazione impropriamente denunciata, costituisce invece il doveroso svolgimento dell’attività ermeneutica che impone – a norme codicistiche invariate – di adottare le soluzioni finalizzate, per ciò che rileva in questa sede, a realizzare il funzionamento del sistema nell’osservanza dei principi di economia processuale, conservazione degli atti e ragionevole durata del processo.

Il coordinamento fra l’art. 360 c.p.c., comma 2, n. 2, L. n. 53 del 1994, art. 9, commi 1 – bis e 1 – ter e le successive modifiche introdotte dalla L. n. 179 del 2012, oggetto della condivisibile interpretazione offerta dalla già citata pronuncia di cui a Cass. 30765/2017, deve pertanto essere confermato.

Ugualmente infondato risulta il rilievo sollevato dai ricorrenti R. – A., i quali, dopo aver indicato, nel ricorso, che l’impugnazione era stata proposta avverso la sentenza notificata a mezzo PEC il (OMISSIS) dal difensore del resistente M., hanno affermato, nelle memorie, che la notifica era inidonea a far decorrere il c.d. termine breve, in quanto il difensore notificante si era limitato ad attestare la conformità dell’originale telematico omettendo di indicare nel messaggio “il nome file allegato, l’estensione del file medesimo e la descrizione dell’atto in relazione al quale era stata dichiarata la conformità” (pag. 1 – 2 della memoria).

Premesso che, in ordine all’utilizzo, in via subordinata, del c.d. termine lungo si richiamano le considerazioni poc’anzi espresse, si osserva, in relazione alle altre censure, che le omissioni denunciate attengono alle disposizioni portate dalle specifiche regole tecniche da ultimo introdotte con il D.M. 28 dicembre 2015, che questa Corte ha già avuto modo di qualificare come disposizioni di fonte secondaria e che, come tali, non sono idonee ad inficiare la validità della notifica, potendo, al più, configurare una mera irregolarità, sanabile sulla base del principio del raggiungimento dello scopo dell’atto di cui all’art. 156 c.p.c..

Deve ancora aggiungersi che questa Corte, intervenendo sulla questione, ha avuto modo di chiarire che “la notifica della sentenza effettuata alla controparte a mezzo PEC (L. n. 53 del 1994, ex art. 3 bis, nel testo, applicabile ratione temporis, modificato dal D.L. n. 179 del 2012, art. 16 quater, comma 1, lett. d), conv. con modif., dalla L. n. 228 del 2012) è idonea a far decorrere il termine breve d’impugnazione nei confronti del destinatario ove il notificante provi di aver allegato e prodotto la copia cartacea del messaggio di trasmissione a mezzo posta elettronica certificata, le ricevute di avvenuta consegna e accettazione e la relata di notificazione, sottoscritta digitalmente dal difensore, nonchè la copia conforme della sentenza che, trattandosi di atto da notificare non consistente in documento informatico, sia stata effettuata mediante estrazione di copia informatica dell’atto formato su supporto analogico e attestazione di conformità del citato D.L. n. 179 del 2012, ex art. 16 undecies” (Cass. 21597/2017).

Ed è stato altresì affermato che “l’irritualità della notificazione di un atto (nella specie, controricorso in cassazione) a mezzo di posta elettronica certificata non ne comporta la nullità se la consegna telematica (nella specie, in “estensione.doc”, anzichè “formato. pdf”) ha comunque prodotto il risultato della conoscenza dell’atto e determinato così il raggiungimento dello scopo legale (Cass. SSUU 7665/2016; nello stesso senso cfr. Cass. 20625/2017 e, ancor più recentemente Cass. SU 10266/2018).

Nel caso in esame, risulta che la sentenza sia stata conosciuta dalle parti a seguito di notifica, non essendo stato mosso, rispetto a ciò, alcun rilievo.

2.3. Il ricorso va, quindi, essere dichiarato, improcedibile.

3. Le spese del giudizio di legittimità devono essere compensate, in ragione della reciproca soccombenza, fra le due parti ricorrenti; seguono invece la soccombenza nei confronti del controricorrente M..

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte di entrambi i ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte, dichiara improcedibili i ricorsi.

Compensa le spese del giudizio di legittimità fra i ricorrenti; li condanna in solido alla rifusione delle stesse nei confronti del controricorrente M.F. che liquida in Euro 4200,00 per compensi, oltre accessori e rimborso spese forfettario nella misura di legge.

Ai sensi D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte di entrambi i ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della terza sezione civile,il 12 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 5 ottobre 2018

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