Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24567 del 01/12/2016


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Cassazione civile sez. lav., 01/12/2016, (ud. 20/09/2016, dep. 01/12/2016), n.24567

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21232-2C71 proposto da:

C.E., (OMISSIS), C.F.P. (OMISSIS),

C.L. (OMISSIS), in proprio e nella qualità di eredi di

CO.FR., tutti elettivamente domiciliati in ROMA, CORSO

RINASCIMENTO 11, presso lo studio dell’avvocato GIANLUIGI

PELLEGRINO, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato

PAOLO PIVA, giusta delega in atti;

– ricorrenti –

contro

B.M., B.G., Z.L. vedova B.,

nella loro qualità di eredi di B.I.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1167/2009 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 14/09/2010 R.G.N. 31/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/09/2016 dal Consigliere Dott. FRANCESCA SPENA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il presente giudizio trova il suo antefatto nel giudicato intervenuto sulla domanda di risarcimento del danno proposta davanti al Tribunale di Parma nell’anno 1992 (citazione del 9.3.1992) dagli eredi di GI.DA. (la moglie CA.TE. ed i figli A. e F.), deceduto nel sinistro stradale verificatosi in (OMISSIS) allorquando il motoveicolo Kawaski da lui condotto investiva a forte velocità la motofalciatrice condotta dal signor B.I., che effettuava l’attraversamento della statale.

Gli eredi del Gi. avevano agito nei confronti degli eredi del B. – la moglie Z.L. ed i figli M. e G. – nonchè del proprietario del mezzo e datore di lavoro del B., signor CO.FR..

Con il giudicato (sentenza della Corte d’Appello di Bologna nr. 474/2000) veniva accertata la responsabilità concorrente ed in eguale misura (50%) dei due conducenti dei veicoli coinvolti e condannati gli eredi di B.I. (pro quota ed intra vires) e di C.F., deceduto in corso di causa, al risarcimento del danno in favore degli eredi di Gi.Da..

Gli eredi di Co.Fr. – C.E., L. e F.M. – provvedevano alla esecuzione del giudicato ed avviavano davanti al Tribunale di Parma l’attuale giudizio nei confronti degli eredi B. (atto di citazione notificato nel maggio 2005), chiedendo la condanna solidale dei convenuti, in via di regresso, alla restituzione della intera somma corrisposta (Euro 235.570,14).

Il Tribunale di Parma, con sentenza del 9.10.2008 (nr. 1512/2008), accoglieva integralmente la domanda.

La Corte d’appello di Bologna, dopo avere disposto il passaggio dal rito ordinario al rito speciale del lavoro, con sentenza del 17.11.2009 – 14.11.2010 (nr.1167/2009) accoglieva l’appello proposto dagli eredi B.; in riforma della sentenza appellata respingeva dunque integralmente la domanda orginaria.

Rigettava l’appello incidentale degli eredi C. in punto di spese del primo grado di giudizio. La Corte territoriale riteneva che gli appellanti eredi B. non potevano invocare la norma dell’art. 1227 c.c., comma 2, onde far valere la mancanza di copertura assicurativa della motofalciatrice, in quanto la norma operava unicamente nel rapporto tra il creditore ed il debitore/i e non nei rapporti interni tra condebitori.

Tuttavia gli eredi del proprietario della motofalciatrice/datore di lavoro nell’esercitare la azione di regresso avrebbe avuto l’onere di provare che il pagamento eseguito era superiore alla quota di loro spettanza, che assumevano pari a zero.

Le parti attrici non avevano adempiuto a tale onere di allegazione e di prova, poichè nell’atto introduttivo del giudizio si erano limitate ad esporre la precorsa vicenda processuale concludendo che in ragione del giudicato (sentenza della Corte d’appello di Bologna nr. 474/2000) gli eredi del conducente/lavoratore avrebbero dovuto tenerli indenni per tutto quanto versato.

La allegazione era deficitaria, giacchè il giudicato non aveva preso in considerazione i rapporti interni tra condebitori solidali nè in tal senso era stata formulata domanda.

L’unica circostanza di fatto risultante dal giudicato era la corresponsabilità di B.I. e di GI.DA. nel verificarsi del sinistro stradale ma tale fatto era irrilevante nella azione di regresso poichè atteneva al rapporto esterno tra il creditore ed i debitori in solido e non al rapporto tra condebitori.

Gli attori per adempiere al proprio onere avrebbero dovuto allegare fatti da cui desumere la colpa esclusiva del conducente/lavoratore defunto ( B.I.) e la esclusione di un concorso di colpa del proprietario dell’automezzo/datore di lavoro ( CO.FR.) nella causazione del sinistro.

Per la Cassazione della sentenza ricorrono C.E., C.L. e C.F.P., articolando tre motivi.

B.M., B.G. e Z.L. sono rimasti intimati.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo le parti ricorrenti hanno denunziato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione degli artt. 2049,2054 e 2055 c.c. nonchè – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

I ricorrenti hanno censurato la statuizione della Corte territoriale nella parte in cui affermava che il giudicato – sentenza della Corte d’appello di Bologna nr. 474/2000 – non atteneva ai rapporti interni tra i condebitori in solido.

Hanno dedotto che il disposto dell’art. 2055 c.c., comma 2, norma a fondamento della azione di regresso esercitata, attribuiva a colui che avesse risarcito il danno il diritto di regresso verso i corresponsabili, debitori in solido, nella misura determinata dalla gravità della rispettiva colpa, richiedendosi dunque per la attribuzione definitiva delle responsabilità nei rapporti interni la verifica della colpa di ciascuno dei condebitori solidali.

La responsabilità oggettiva – ex art. 2049 c.c. ed ex art. 2054 c.c., comma 3 – poteva avere rilievo, dunque, nei soli rapporti esterni.

Il giudicato di cui alla sentenza nr. 474/2000 – unitamente all’avvenuto risarcimento – costituiva idoneo presupposto della azione di regresso: esso, pur facendo riferimento ai rapporti esterni, individuava la esatta natura delle responsabilità addebitate rispettivamente al conducente-lavoratore ed proprietario della motofalciatrice-datore di lavoro, nel primo caso in termini di responsabilità diretta, nel secondo in termini di responsabilità oggettiva.

La azione di regresso imponeva all’attore l’onere di provare che la prestazione eseguita fosse superiore alla quota di sua spettanza, come affermato dalla Corte d’appello, nel solo caso di concorso diretto di tutti i corresponsabili nella causazione del danno e non anche nei casi di responsabilità diretta di uno solo o di alcuni dei coobbligati.

2. Con il secondo motivo le parti ricorrenti hanno dedotto – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione falsa applicazione dell’art. 2055 c.c. nonchè – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

Con il motivo si assume la illogicità e contradditorietà della motivazione nella parte in cui il giudice dell’appello affermava che la azione di regresso imponeva all’attore di provare che la prestazione eseguita fosse superiore alla quota di sua spettanza.

I ricorrenti hanno dedotto che – anche a voler prescindere della esclusiva responsabilità del defunto B. nella produzione dell’illecito, accertata nel giudicato – essi avrebbero avuto diritto almeno parziale al regresso, avendo adempiuto per intero e, dunque, per una quota sicuramente superiore a quella di loro spettanza.

Il lavoratore – conducente (e per lui gli eredi) avendo determinato in via diretta il danno, era obbligato in via di regresso almeno per una parte di quanto risarcito al danneggiato.

Soltanto in caso di pagamento parziale il corresponsabile avrebbe dovuto provare di avere pagato una quota superiore a quella cadente a suo carico.

3. Con il terzo motivo le parti ricorrenti hanno lamentato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 2055 c.c. nonchè, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullità della sentenza o del procedimento per omessa pronunzia, ex art. 112 c.p.c..

I ricorrenti hanno richiamato la disciplina dell’art. 2055 c.c., comma 3, a tenore del quale ove non sia possibile provare la gravità delle colpe dei corresponsabili le stesse si presumono uguali; hanno dunque dedotto che il giudice del regresso non avrebbe potuto esimersi dall’accertare le rispettive responsabilità ed eventualmente applicare in via residuale la presunzione di cui alla norma citata (salva unicamente l’ipotesi dell’ accertamento in positivo di una responsabilità esclusiva dell’attore in regresso).

Hanno lamentato che il giudice dell’appello non si era pronunziato sulla eventuale responsabilità esclusiva del C. nè aveva provveduto ad accogliere la domanda di regresso quanto meno in parte, ex art. 2055 c.c., comma 3.

Il primo motivo di ricorso è fondato.

In questa sede viene in rilievo la capacità espansiva del giudicato che, come da consolidata giurisprudenza di questa Corte, è fondata sui seguenti elementi:

a) che vi siano due giudizi tra le stesse parti che abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico;

b) che uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato;

c) che sussista un punto fondamentale comune ad entrambe le cause, formante la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nella sentenza definitiva sicchè ne risulti precluso il riesame nell’altra causa.

Nella fattispecie di causa il giudicato ha accertato che l’incidente in cui fu coinvolto GI.DA. fu cagionato dallo stesso G. e da B.I., in eguale misura.

Ha dunque accertato la responsabilità diretta per il sinistro stradale soltanto a carico dei conducenti dei due veicoli coinvolti nell’impatto.

CO.FR. è stato chiamato a rispondere quale responsabile indiretto, per la sua qualità di proprietario della motofalciatrice guidata dal B. nonchè di datore di lavoro del predetto.

Il giudicato investiva dunque:

– da un lato, la responsabilità diretta del lavoratore-conducente della motofalciatrice, ex art. 2043 c.c. e ex art. 2054 c.c., comma 1.

– dall’altro, la mancanza di un apporto causale del C., la cui responsabilità dipendeva da un titolo diverso rispetto alla generale previsione dell’art. 2043 c.c. (art. 2054 c.c., comma 3 e art. 2049 c.c.).

Dalla affermazione della natura indiretta della responsabilità del proprietario del veicolo/datore di lavoro – e per lui dei suoi eredi – contenuta nel giudicato, derivava, dunque, il diritto degli stessi eredi, odierni ricorrenti, all’integrale regresso (o, se si vuole, alla rivalsa) verso il responsabile diretto (il conducente/lavoratore, e per lui, gli eredi).

In caso di illecito aquiliano la pregiudizialità dell’accertamento del titolo di responsabilità dei condebitori verso il soggetto danneggiato rispetto alla azione di regresso è stata da tempo riconosciuta da questa Corte, proprio in riferimento ai danni derivanti dalla circolazione dei veicoli (Cass. 12 febbraio 1982 n. 856; 5 settembre 2005 n. 17763; 08 ottobre 2008 n. 24802).

Nei richiamati precedenti si è affermato che qualora per un incidente stradale siano corresponsabili nei confronti di un terzo, il conducente, il proprietario e il datore di lavoro il principio in forza del quale nella obbligazione solidale da fatto illecito l’onere di ciascun obbligato nei rapporti interni è proporzionale alla rispettiva colpa – sancito dall’art. 2055 c.c., comma 2 – comporta:

– da un lato, che non vi sia azione di regresso tra il proprietario del mezzo ed il datore di lavoro del conducente, poichè la azione di regresso è possibile solo nei confronti di chi sia effettivamente responsabile dell’evento (e quindi il conducente) e non anche tra soggetti che non siano responsabili ma chiamati a rispondere – in via solidale con il conducente – in forza di specifiche norme di legge;

– dall’altro, e per quanto in questa sede rileva, che il proprietario del veicolo ed il datore di lavoro del conducente – (solidalmente responsabili con il primo a norma rispettivamente, dell’art. 2054 c.c., comma 3, e art. 2049 c.c.) – possono esperire, nello stesso ma anche in separato giudizio, azione di rivalsa contro il conducente/dipendente, autore del fatto dannoso, per l’intera somma pagata al terzo danneggiato.

Tali principi vanno in questa sede ulteriormente ribaditi.

Dal tenore letterale dell’art. 2055 cc. si desume che il regresso tra responsabili in solido del fatto illecito presuppone che ciascuno di essi abbia nell’evento una parte di colpa: ciò si evince tanto dall’incipit dell’art. 2055, comma 1 (“se il fatto dannoso è imputabile a più persone”) sia dal contenuto precettivo del comma 2, che prevede il diritto al regresso tra condebitori nella misura della gravità della rispettiva “colpa” e delle conseguenze che ne sono derivate.

Benchè la norma non detti alcuna disciplina del regresso nell’ipotesi di concorso tra responsabili senza colpa e responsabili colpevoli è pacificamente riconosciuto che il responsabile per fatto altrui (mediato o indiretto) ove abbia risarcito il danno potrà esercitare l’azione di regresso nei confronti dell’autore immediato dell’illecito per l’intera somma pagata, dovendo escludersi in tal caso la possibilità di ripartire tra i coobligati l’onere del risarcimento in proporzione della rispettiva colpa e della entità della conseguenze che ne sono derivate. Nell’arresto di Cass. nr. 17763/2005 si è osservato trattarsi di un’applicazione del principio, dettato in generale per le obbligazioni solidali dall’art. 1298 c.c., comma 1, secondo cui quando l’obbligazione sia stata contratta nell’interesse esclusivo di alcuno dei debitori l’intero peso del debito sarà posto a suo carico.

La sentenza di merito avendo affermato che il responsabile indiretto, e per lui gli eredi, nell’agire in regresso verso l’autore immediato, e per lui gli eredi, ha l’onere di allegare e provare di non avere concorso a causare l’evento per colpa (ovvero, in altri termini, di provare nei rapporti interni la responsabilità esclusiva del condebitore convenuto) non si è attenuta ai sueposti principi.

La stessa deve essere pertanto cassata in accoglimento del primo motivo e gli atti rinviati ad altro giudice, che si individua nella Corte di Appello di Bologna in diversa composizione, affinchè provveda ad un nuovo esame della domanda di rivalsa alla luce del principio di diritto sopra esposto.

Resta assorbito l’esame del secondo e del terzo motivo del ricorso.

Il giudice del rinvio provvederà anche alla disciplina delle spese.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia – anche per le spese – alla Corte d’appello di Bologna in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 20 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 1 dicembre 2016

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