Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24564 del 01/12/2016


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Cassazione civile sez. lav., 01/12/2016, (ud. 14/09/2016, dep. 01/12/2016), n.24564

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – rel. Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22126-2011 proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE C.F. (OMISSIS), in

persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli

Avvocati CLEMENTINA PULLI, MAURO RICCI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

M.R. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

LARGO MESSICO 6, presso lo studio dell’avvocato ANDREA MELUCCO, che

la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

nonchè contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE C.F. (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 443/2011 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 07/03/2011 R.G.N. 2107/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/09/2016 dal Consigliere Dott. BERRINO UMBERTO;

udito l’Avvocato RICCI MAURO;

udito l’Avvocato MELUCCO ANDREA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA MARCELLO che ha concluso per l’accoglimento del ricorso per

quanto di ragione.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 16/2 – 7/3/2011 la Corte d’appello di Lecce ha accolto in parte l’impugnazione proposta da M.R. avverso la sentenza del giudice del lavoro del Tribunale di Brindisi, che le aveva respinto la domanda volta al conseguimento del diritto alla fruizione dell’assegno di invalidità civile per carenza del requisito reddituale e, per l’effetto, ha dichiarato che l’appellante aveva diritto alla suddetta provvidenza a decorrere dall’1/1/2005.

La Corte territoriale ha spiegato che era stato accertato con CTU lo stato invalidante della ricorrente, così pure come il possesso del requisito reddituale mediante il deposito di copia di certificazione dell’Agenzia delle Entrate di Brindisi del 4.2.2011, analogamente a quello dell’incollocamento.

Per la cassazione della sentenza ricorre l’Inps con due motivi.

Resiste con controricorso M.R..

Rimane solo intimato il Ministero dell’Economia e delle Finanze.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo l’Inps deduce la violazione della L. n. 118 del 1971, artt. 11 e 13, nonchè dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 414, 416 e 421 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, dolendosi della tardività della produzione documentale ammessa dalla Corte d’appello ai fini della dimostrazione del possesso del requisito reddituale. Al riguardo il ricorrente osserva che in primo grado l’assistita si era limitata ad allegare il possesso del requisito sanitario e non aveva prodotto, all’atto della costituzione del 24.7.2003, la relativa certificazione, che era stata depositata solo in un secondo momento, vale a dire in data 8/11/2007. Pertanto, il potere istruttorio del giudice, benchè ampiamente discrezionale, non poteva essere esercitato, secondo il ricorrente, per sanare preclusioni o decadenze in cui la controparte era incorsa in primo grado; nè poteva affermarsi il carattere della novità dell’elemento in discussione, tale da giustificare la tardiva produzione della relativa documentazione; nè poteva ritenersi indispensabile la relativa prova, atteso che fin dal ricorso introduttivo la controparte era onerata dalla dimostrazione della ricorrenza del requisito reddituale.

Quindi, secondo l’Inps, la questione di diritto da risolvere in questa sede di legittimità è se il requisito socio – economico, per il riconoscimento dell’assegno di invalidità la L. n. 118 del 1971, ex art. 13, debba essere allegato e provato, in quanto elemento costitutivo del diritto, col ricorso introduttivo del giudizio o possa essere acquisito successivamente nel corso del giudizio.

2. Il motivo è infondato.

E’ pacifico agli atti di causa – risultando dal ricorso e dal controricorso – che il deposito della certificazione reddituale avvenne in primo grado in un momento successivo all’introduzione del giudizio. Tuttavia, il controricorrente assume che l’Inps nulla dice circa il fatto che all’atto della costituzione in giudizio fu depositata l’autocertificazione e che unitamente alle note difensive depositate il 13.3.2006 fu prodotta certificazione dei redditi, limitandosi lo stesso ente a fare riferimento al deposito della certificazione reddituale aggiornata, depositata all’udienza dell’8.11.2007 ad integrazione della precedente certificazione. Inoltre, dalla sentenza impugnata emerge che la M. depositò copia di certificazione dell’Agenzia delle Entrate di Brindisi del 4.2.2011 e che sulla base del corredo documentale rappresentato dalla certificazione reddituale depositata in entrambi i gradi di giudizio la Corte territoriale ritenne provato il requisito reddituale necessario per il riconoscimento della provvidenza in esame.

3. Orbene, non si ravvisa nella fattispecie la denunciata violazione di legge in quanto, al riguardo, devono richiamarsi i seguenti principi, ormai indiscussi:

a) il rito del lavoro, e in particolare la materia della previdenza e assistenza, è caratterizzato dall’esigenza di contemperare il principio dispositivo con quello della ricerca della verità materiale (da ultimo, Cass., 1 agosto 2013, n. 18410; Cass. 26 luglio 2012, n. 13353; Cass., 4 maggio 2012, n. 6753);

b) a tal fine, gli artt. 421 e 437 c.p.c., attribuiscono al giudice il potere – dovere di provvedere di ufficio agli atti istruttori idonei a superare l’incertezza sui fatti costitutivi dei diritti in contestazione, sempre che tali fatti siano stati puntualmente allegati nell’atto introduttivo e quindi oggetto del dibattito processuale (v. ad es. Cass. Sez. 6 – L., ord. n. 1704 del 29.1.2015);

c) l’inciso “in qualsiasi momento”, contenuto nell’art. 421 c.p.c., comma 2, depone nel senso che il potere inquisitorio può essere esercitato prescindendo dalle preclusioni e dalle decadenze già verificatesi, ed il richiamo all’art. 420, comma 6, nel delimitare l’esercizio di tale potere alla fase di discussione, in cui appunto opera il comma 6 -, sta a significare che esso deve effettuarsi nel contraddittorio delle parti, conferendo a quella contro cui viene esercitato il diritto di difesa; ulteriore conseguenza è che se la controparte è incorsa in preclusioni o decadenze può a sua volta prescinderne al fine di reagire all’esercizio del potere ufficioso;

d) i poteri istruttori del giudice non sono segnati dai limiti previsti nel codice civile: tuttavia, essi incontrano un duplice limite, poichè, da una parte, devono essere esercitati nel rispetto del principio della domanda e dell’onere di deduzione in giudizio dei fatti costitutivi, impeditivi o estintivi del diritto controverso e, dall’altra, devono rispettare il divieto di utilizzazione del sapere privato da parte del giudice;

e) l’art. 421 (e il 437 per il giudizio di appello) dispensa la parte dall’onere della formale richiesta della prova e dagli oneri relativi alle modalità di formulazione dell’oggetto della prova, ma richiede pur sempre che, dall’esposizione dei fatti compiuta dalle parti o dall’assunzione degli altri mezzi di prova, siano dedotti, sia pure implicitamente, quei fatti e quei mezzi di prova idonei a sorreggere le ragioni della parte e a decidere la controversia, e cioè che sussistano significative “piste probatorie” emergenti dagli atti di causa, intese come complessivo materiale probatorio, anche documentale, correttamente acquisito agli atti del giudizio di primo grado (Cass., 5 febbraio 2007, n. 2379; Cass., 5 novembre 2012, n. 18924; Cass. Sez. Un. 17 giugno 2004, n. 11353; Cass. 6 luglio 2000, n. 9034): solo così, infatti, il giudice non si sostituisce alla parte, ma si limita a riempire le lacune probatorie di un accertamento che, pur se incompleto, presenta tuttavia notevoli gradi di fondatezza.

4. Ebbene, la Corte del merito si è attenuta a questi principi, considerato che la stessa ha fatto riferimento alla presenza di certificazione reddituale che consentì al primo giudice di procedere alla verifica del requisito sanitario tramite CTU, avvalendosi correttamente, in tal modo, dei suoi poteri istruttori nell’ammettere in secondo grado la certificazione dell’agenzia delle entrate del 4.2.2011 che serviva a completare quella del 13.3.2006 e dell’8.11.2007, depositata in prime cure dalla ricorrente dopo che quest’ultima aveva già allegato l’autocertificazione al ricorso introduttivo del giudizio. Sotto quest’ultimo riguardo, giova richiamare le S.U. di questa Corte che, con la nota sentenza del 3 aprile 2003, n. 5167, hanno affermato il principio di diritto secondo cui “La dichiarazione sostitutiva di certificazione sulla situazione reddituale, prevista dalla L. 13 aprile 1977, n. 114, art. 24 e, successivamente, dal D.P.R. 20 ottobre 1998, n. 403, art. 1, comma 1, lett. b), poi sostituito dal D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, art. 46, comma 1, lett. o), è idonea a comprovare detta situazione, fino a contraria risultanza, nei rapporti con la pubblica amministrazione e nei relativi procedimenti amministrativi, ma nessun valore probatorio, neanche indiziario, può esserle riconosciuto nell’ambito del giudizio civile, caratterizzato dal principio dell’onere della prova, atteso che la parte non può derivare da proprie dichiarazioni elementi di prova a proprio favore, al fine del soddisfacimento dell’onere di cui all’art. 2697 c.c.”.

Tale enunciazione di principio sta significare che l’autocertificazione non ha valore probatorio, nel senso che non può essere posta a fondamento della decisione neppure come indizio. Ciò tuttavia non esclude che essa possa essere utilizzata dal giudice di merito nella sua realtà fenomenica, come “documento” idoneo a sollecitare il suo potere ufficioso. In altri termini, la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà può costituire nella valutazione del giudice di merito, insindacabile ove congruamente motivata, un principio di prova (la cosiddetta pista probatoria) suscettibile di essere integrato da ulteriori acquisizioni processuali attraverso l’esercizio del potere del giudice previsto dagli artt. 421 e 437 c.p.c. (sulla valenza probatoria dell’autocertificazione quale “argomento di prova”, v. Cass. 1 aprile 2014, n. 7529; con riguardo al processo tributario, v. Cass. 30 settembre 2011, n. 20028; Cass. 5 settembre 2014, n. 18772; Cass., 19 ottobre 2015, n. 21153).

Il deposito in appello di documenti non prodotti in prime cure non è oggetto di preclusione assoluta, in quanto il giudice di appello, nell’esercizio dei poteri officiosi di cui all’art. 437 c.p.c., può sempre ammettere eccezionalmente detti documenti ove li ritenga indispensabili al fine della decisione. In applicazione di tali principi è stata in particolare ritenuta l’ammissibilità della produzione in appello di documenti fiscali attestanti i redditi cumulati dall’attore e dal coniuge, essendo questa meramente integrativa dei documenti già prodotti in primo grado, costituiti dalla certificazione di mancata presentazione della dichiarazione dei redditi da parte dell’attore (Cass. n. 6753 del 2012 cit.; v. pure Cass. ord. 14 novembre 2014, n. 24263).

5. D’altra parte è bene ricordare che le Sezioni unite di questa Corte (S.U. n. 8202 del 20.4.2005) hanno già chiarito che nel rito del lavoro il rigoroso sistema di preclusioni trova un contemperamento – ispirato alla esigenza della ricerca della “verità materiale”, cui è doverosamente funzionalizzato il rito stesso, teso a garantire una tutela differenziata in ragione della natura dei diritti che nel giudizio devono trovare riconoscimento – nei poteri d’ufficio del giudice in materia di ammissione di nuovi mezzi di prova, ai sensi del citato art. 437 c.p.c., comma 2, ove essi siano indispensabili ai fini della decisione della causa, poteri, peraltro, da esercitare pur sempre con riferimento a fatti allegati dalle parti ed emersi nel processo a seguito del contraddittorio delle parti stesse.

Ordunque, nella fattispecie l’autocertificazione dei redditi era entrata a far parte del contraddittorio, essendo stata regolarmente prodotta sin dal deposito del ricorso introduttivo del giudizio, tanto che ad integrazione della stessa la ricorrente aveva successivamente prodotto certificazione dell’Agenzia delle Entrate, per cui il corredo documentale così formatosi consentiva alla Corte d’appello di ammettere l’ulteriore documentazione reddituale aggiornata, sulla base della quale veniva definitivamente ritenuto sussistente il requisito in esame.

6. Col secondo motivo il ricorrente deduce l’omessa ed insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5), assumendo che è del tutto insoddisfacente l’apprezzamento operato dai giudici di merito in ordine alla sussistenza dell’elemento costitutivo del diritto, rappresentato dal possesso del requisito reddituale per l’accesso alla prestazione oggetto di domanda. Invero, secondo il ricorrente il giudice d’appello non aveva spiegato su quali elementi di prova aveva fondato il suo giudizio, essendosi limitato a fare un generico riferimento alla certificazione dell’Agenzia delle Entrate.

Il motivo è infondato, atteso che, con motivazione adeguata ed esente da rilievi di legittimità, la Corte d’appello ha, dapprima, premesso che in atti vi era la certificazione reddituale, tanto che il primo giudice aveva proceduto a disporre la consulenza d’ufficio, ed ha, poi, spiegato che il possesso del requisito reddituale era stato dimostrato mediante il deposito di copia di certificazione dell’Agenzia delle Entrate di Brindisi del 4.2.2011, analogamente a quello dell’incollocamento.

7. In definitiva, il ricorso va rigettato.

Le spese di lite del presente giudizio seguono la soccombenza del ricorrente e vanno liquidate come da dispositivo in favore della M.. Non va, invece, adottata alcuna statuizione nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze che è rimasto solo intimato.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna l’Inps al pagamento in favore di M.R. delle spese del presente giudizio nella misura di Euro 2100,00, di cui Euro 2000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge. Nulla per le spese nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze.

Così deciso in Roma, il 14 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 1 dicembre 2016

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