Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24563 del 04/11/2020

Cassazione civile sez. I, 04/11/2020, (ud. 17/09/2020, dep. 04/11/2020), n.24563

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8195/2019 proposto da:

H.I., difeso e rappresentato dall’avv. Luca Zuppelli, giusta

procura speciale in atti, domiciliato presso la Cancelleria della I

sezione Civile della Suprema Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, elettivamente domiciliato in Roma Via Dei

Portoghesi 12 Avvocatura Generale Dello Stato. che lo rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di BRESCIA, depositata il

12/02/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17/09/2020 dal Cons. Dott. FIDANZIA ANDREA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Brescia, con decreto depositato in data 12.02.2019, ha rigettato la domanda di H.I., cittadino del (OMISSIS), volta ad ottenere il riconoscimento della protezione umanitaria.

Il giudice di merito ha ritenuto che difettassero in capo al ricorrente i presupposti per la concessione della richiesta protezione, in primo luogo, per non avere ritenuto credibili le sue dichiarazioni in ordine al pericolo per la propria incolumità paventato. In proposito, il ricorrente aveva riferito di essersi allontanato dal suo paese d’origine per sfuggire a dei malviventi che, in un primo momento, gli avevano chiesto il pizzo e lo avevano indotto a chiudere il suo negozio e poi lo avevano minacciato, picchiando anche i suoi genitori, dopo che lo stesso li aveva denunciati alla polizia. Lo stesso ricorrente aveva, inoltre, riferito che i suoi parenti erano pressati dai creditori per la restituzione dei prestiti contratti per pagare le spese di viaggio sostenute in occasione della fuga dal paese d’origine.

Infine, il giudice di merito ha ritenuto che la situazione del paese ricorrente d’origine non è elemento sufficiente ad integrare una condizione di vulnerabilità, in difetto di una correlazione con la sua situazione individuale.

Ha proposto ricorso per cassazione H.I. affidandolo a tre motivi.

Il Ministero dell’Interno si è costituito in giudizio con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 14 e dell’art. 5, comma 6 T.U.I..

Lamenta il ricorrente che il giudice di merito non ha tenuto conto della documentazione prodotta, delle dichiarazioni precise e dettagliate svolte sin dalla proposizione della domanda di protezione internazionale e non ha attivato i poteri officiosi necessari ad un’adeguata conoscenza della situazione del paese di provenienza, senza valutare altresì la specificità della richiesta di protezione umanitaria. Evidenzia, inoltre, le gravi e sistematiche violazioni dei diritti umani perpetrate in (OMISSIS).

2. Il motivo è inammissibile per genericità.

Il ricorrente non ha avuto cura di indicare la natura ed il contenuto della documentazione prodotta, specificare le doglianze svolte in relazione alla valutazione delle sue dichiarazioni effettuata dal Tribunale e precisare sulla base di quali allegazioni il giudice di merito avrebbe dovuto attivare i propri poteri officiosi.

Infine, dall’esame del decreto impugnato emerge che la domanda di protezione umanitaria è stata valutata e rigettata e quindi il ricorrente non chiarisce quali censure svolga sul punto.

In ogni caso, la dedotta violazione dei diritti umani in (OMISSIS) non è da sola sufficiente a far ritenere sussistente una condizione di vulnerabilità tale da fondare una domanda di protezione umanitaria.

In proposito, questa Corte ha già affermato che, ai fini della concessione della protezione umanitaria, pur dovendosi partire, nella valutazione di vulnerabilità del richiedente, dalla situazione oggettiva del paese d’origine, questa deve essere necessariamente correlata alla condizione personale, atteso che, diversamente, si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti, e ciò in contrasto con il parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (in questi termini sez. 1 n. 4455 del 23/02/2018).

Nel caso di specie, il ricorrente non ha minimamente correlato la dedotta violazione dei suoi diritti fondamentali alla sua condizione personale, se non facendo riferimento alle vicende che avrebbero determinato la sua fuga, ritenute non credibili dal Tribunale di Brescia.

3. Con il secondo motivo è stata dedotta violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 per omessa, contraddittoria e insufficiente motivazione su fatti o questioni controverse e decisive ai fini del giudizio.

Lamenta il ricorrente che il giudice di merito ha motivato la valutazione d’inattendibilità del suo narrato sulla base di mere asserzioni inidonee a far comprendere le ragioni per cui la sua vicenda è stata considerata priva di autenticità e vaga ed è venuto meno al proprio dovere di cooperazione istruttoria.

4. Il secondo motivo è inammissibile.

Va preliminarmente osservato che, anche recentemente, questa Corte ha statuito che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito. (Cass. n. 3340 del 05/02/2019).

Nel caso di specie, la motivazione del Tribunale soddisfa il requisito del “minimo costituzionale”, secondo i principi di cui alla sentenza delle Sezioni Unite n. 8053/2014), essendo state indicate in modo dettagliato (vedi pag 4 del decreto impugnato) le ragioni per le quali il richiedente non è stato ritenuto credibile.

D’altra parte, il ricorrente neppure ha allegato – se non genericamente la grave anomalia motivazionale del decreto impugnato, come detto, unico vizio attualmente censurabile in Cassazione, non confrontandosi minimamente con la valutazione di inattendibilità e non credibilità del suo racconto effettuata dal giudice di merito, limitandosi ad una contestazione generica ed astratta avulsa del tutto dalla vicenda processuale di cui è causa e svolgendo comunque mere censure di merito.

Infine, il ricorrente ha lamentato che il giudice di merito è venuto meno all’obbligo di cooperazione istruttoria, non considerando che questa Corte ha più volte statuito che qualora le dichiarazioni del richiedente siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine – analogo discorso vale per il pericolo di “danno grave” – salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori” (Cass. 27 giugno 2018, n. 16925; e v. ancora, fra le altre, Cass. 31 maggio 2018, n. 13858 e n. 14006; Cass. 5 febbraio 2019, n. 3340).

5. Con il terzo motivo è stata dedotta l’illegittimità costituzionale del D.L. 17 febbraio 2017, n. 13 per violazione del requisito di straordinaria necessità ed urgenza nonchè violazione degli artt. 77 e 111 Cost. e dei limiti previsti dalla L. n. 400 del 1988, art. 15.

Lamenta il ricorrente che il decreto in oggetto ha previsto l’entrata in vigore delle norme più significative dopo 180 giorni a dispetto delle pretese ragioni di urgenza.

Inoltre, la previsione del rito camerale per un processo che ad oggetto i diritti fondamentali costituisce una palese violazione del principio del diritto di difesa e principio del contraddittorio.

6. Entrambe le questioni di legittimità sollevate sono infondate.

Quanto al dedotto difetto dei requisiti della necessità ed urgenza, questa Corte ha già statuito è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.L. n. 13 del 2017, art. 21, comma 1, conv. con modifiche in L. n. 46 del 2017, poichè la disposizione transitoria – che differisce di 180 giorni dall’emanazione del decreto l’entrata in vigore del nuovo rito – è connaturata all’esigenza di predisporre un congruo intervallo temporale per consentire alla complessa riforma processuale di entrare a regime. (Cass. n. 17717 del 05/07/2018).

Quanto alla previsione del rito camerale, questa Corte ha già statuito che è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 1, per violazione del diritto di difesa e del principio del contraddittorio, poichè il rito camerale ex art. 737 c.p.c., che è previsto anche per la trattazione di controversie in materia di diritti e di “status”, è idoneo a garantire il contraddittorio anche nel caso in cui non sia disposta l’udienza, sia perchè tale eventualità è limitata solo alle ipotesi in cui, in ragione dell’attività istruttoria precedentemente svolta, essa appaia superflua, sia perchè in tale caso le parti sono comunque garantite dal diritto di depositare difese scritte. (Cass. n. 17717 del 05/07/2018).

Il rigetto del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come in dispositivo.

PQM

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in Euro 2.100,00 oltre S.P.A.D..

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, se dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1.

Così deciso in Roma, il 17 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2020

 

 

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