Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24562 del 01/12/2016

Cassazione civile sez. lav., 01/12/2016, (ud. 13/09/2016, dep. 01/12/2016), n.24562

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLE TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11483-2014 proposto da:

M.A. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

CORSO VITTORIO EMANUELE II n. 18, presso lo STUDIO GREZ &

ASSOCIATI, rappresentato e difeso dall’avvocato EUGENIO PELOSI,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

METALZINCO S.P.A. P.I. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

CAIO MARIO 27, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO ALESSANDRO

MAGNI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ENRICO

CECCARELLI, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 184/2014 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 28/02/2014 R.G.N. 538/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/09/2016 dal Consigliere Dott. FEDERICO BALESTRIERI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RITA SANLORENZO che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso al Tribunale di Montepulciano, M.A., dirigente della Metalzinco s.p.a., impugnava il licenziamento, preceduto dalla contestazione disciplinare del 1.7.09, intimatogli dalla società il 21.7.09, per avere proseguito, tra il 2006 ed il 2009, a rifornire materiale aziendale alle società SELP e Metalmeccanica Pavese, nonostante esse fossero da tempo inadempienti nei pagamenti delle forniture, determinando una esposizione della Metalzinco pari ad Euro 400.000 circa.

Il Tribunale rigettava la domanda, ritenendo provati e gravi gli addebiti contestati.

Avverso tale sentenza proponeva appello il M., dolendosi della ritenuta sussistenza di una giusta causa di licenziamento; dell’inosservanza della procedura disciplinare di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 7 ed al C.C.N.L. di categoria, infine per non essersi il Tribunale pronunciato sulle ulteriori domande di carattere risarcitorio. Resisteva la Matalzinco s.p.a..

Con sentenza depositata il 20 febbraio 2014, la Corte d’appello di Firenze rigettava il gravame.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso il M., affidato ad unico motivo. Resiste la società con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto con riferimento ai principi dell’immediatezza e gravità della condotta (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

Quanto al primo profilo lamenta che emergeva dagli atti, ed in particolare dall’istruttoria svolta in Tribunale, che i vertici aziendali erano a conoscenza, sin dal 2006, delle esposizioni debitorie delle società SELP e Metalmeccanica Pievese, sicchè la contestazione del 1.7.09 ed il licenziamento del 21.7.09 risultavano violare il principio dell’immediatezza.

La censura è inammissibile per la sua novità, non risultando che essa sia stata proposta nella precedente fase del giudizio, nulla risultando al riguardo dalla sentenza impugnata e non avendo il ricorrente chiarito quando, in quali termini ed in quali atti la questione sarebbe stata proposta.

Nè la questione può ritenersi ricompresa nella doglianza della violazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, avendo la corte di merito chiarito che con essa il M. si dolse solo del mancato rispetto del termine a difesa di cinque giorni 3 dalla contestazione (circostanza motivatamente esclusa dalla corte distrettuale).

Quanto alla sussistenza della giusta causa, il ricorrente si limita sostanzialmente ad invocare i principi giurisprudenziali in materia, evidenziando poi unicamente la contraddizione a suo avviso esistente nella lettera della società del giugno 2009 (precedente il licenziamento) in cui si leggeva che “già da alcune settimane le è stato comunicato che il rapporto di lavoro…che lei intrattiene con la Metalzinco non può continuare”, sottolineando che la giusta causa di licenziamento non consente la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto, nella specie proseguito per talune settimane.

Anche tale censura è inammissibile, per un duplice ordine di ragioni: in primo luogo, nuovamente, per non risultare essere stata proposta in tali termini nella precedente fase del giudizio, nè il ricorrente indica quando ed in quali atti la questione, così come ora formulata, sarebbe stata proposta.

In secondo luogo deve comunque rilevarsi che in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ricorre o non ricorre a prescindere dalla motivazione (che può concernere soltanto una questione di fatto e mai di diritto) posta dal giudice a fondamento della decisione (id est: del processo di sussunzione), sicchè quest’ultimo, nell’ambito del sindacato sulla violazione o falsa applicazione di una norma di diritto, presuppone la mediazione di una ricostruzione del fatto incontestata (ipotesi non ricorrente nella fattispecie); al contrario, il sindacato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (oggetto della recente riformulazione interpretata quale riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione: Cass. sez. un. 7 aprile 2014, n. 8053), coinvolge un fatto ancora oggetto di contestazione tra le parti (ipotesi ricorrente nel caso in esame). Ne consegue che mentre la sussunzione del fatto incontroverso nell’ipotesi normativa è soggetta al controllo di legittimità, l’accertamento del fatto controverso e la sua valutazione ineriscono ad un vizio motivo, pur qualificata la censura come violazione di norme di diritto, vizio oggi limitato all’omesso esame di un fatto storico decisivo, in base al novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Nella specie la corte fiorentina ha ampiamente esaminato il fatto storico, anche alla luce di una accurata ricostruzione delle deposizioni testimoniali, accertando l’esistenza di una giusta causa di recesso.

Il ricorso non rispetta dunque il dettato di cui al novellato n. 5 dell’art. 360 c.p.c., comma 1, limitandosi in sostanza a richiedere un mero ed inammissibile riesame delle circostanze di causa.

2. – Il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile.

Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 100,00 per esborsi, Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e c.p.a. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 13 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 1 dicembre 2016

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