Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24561 del 31/10/2013


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 24561 Anno 2013
Presidente: ODDO MASSIMO
Relatore: MANNA FELICE

SENTENZA

sul ricorso 24154-2007 proposto da:
MACIOCCU CORRADO MCCCRD64DO8D969E,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 14 A-4,
presso lo studio dell’avvocato PAFUNDI GABRIELE, che
lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato
LAVATELLI ERNESTO;
– ricorrente contro

MILITELLO

LUIGI

MLTLGU55G24H914J,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA ENNIO QUIRINO VISCONTI, 61,
presso lo studio dell’avvocato VENETO ARMANDO, che lo

Data pubblicazione: 31/10/2013

I

rappresenta

e

difende

unitamente

all’avvocato

PIZZORNI PIER GIORGIO;

avverso la sentenza n.

controricorrente

679/2006 della CORTE D’APPELLO

di GENOVA, depositata il 20/06/2006;

udienza del 02/10/2013 dal Consigliere Dott. FELICE
MANNA;
udito l’Avvocato ALESSIA CIPROTTI,
dell’avvocato

GABRIELE

PAFUNDI,

con delega

difensore

del

ricorrente che si è riportata agli atti depositati;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. CARMELO SGROI che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Corrado Macioccu proponeva contro Luigi Militello un’azione risarcitoria
per i danni che questi, incaricato di lavori edilizi, aveva arrecato
all’appartamento dello stesso Macioccu e alla soprastante unità immobiliare di

portante, ritenendola erroneamente un tramezzo.
Nel resistere in giudizio, il convenuto, premesso di aver già cessato
all’epoca dei fatti la propria attività di artigiano edile, sosteneva di aver
eseguito i lavori insieme con il Macioccu e a titolo di amicizia, e che
quest’ultimo aveva provveduto personalmente a demolire la parete.
L’adito Tribunale di Genova, ricondotto il rapporto al contratto d’opera,
accoglieva la domanda e condannava il convenuto al pagamento della somma
di E 8.263,31, oltre accessori.
Tale sentenza era riformata dalla Corte d’appello di Genova, che rigettava
la domanda compensando integralmente le spese.
Osservava la Corte territoriale che ai fini della distinzione tra lavoro
autonomo e lavoro subordinato erano rilevanti vari indici sintomatici, tra cui
la collocazione del rischio, la continuità o meno della prestazione, l’esistenza
o non di un orario di lavoro, la forma di retribuzione ed eventuali altri
elementi sussidiari. Rilevava, quindi, che l’attore non aveva assolto l’onere di
provare che il rapporto aveva avuto natura di contratto d’opera o d’appalto, né
aveva dimostrato l’insussistenza di un vincolo di subordinazione. Era emerso,
infatti, che le parti avevano concordato una retribuzione a giornata; che il
Macioccu aveva ammesso che la mattina in cui fu effettuata la demolizione
egli aveva iniziato a lavorare insieme con il Militello; e che questi gli aveva
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terzi. In particolare, imputava al Militello di aver demolito una parete

suggerito di chiedere i permessi necessari all’opera e di contrarre
un’assicurazione. Per contro, non era emersa l’esistenza di una sia pur minima
organizzazione imprenditoriale da parte del Militello, né il possesso da parte
di lui di una particolare attrezzatura. Inoltre, il Macioccu aveva ammesso che

lavorare insieme con il Militello; e dalle prove orali raccolte non era emerso il
compimento di altre opere se non di demolizione interna. Pertanto,
concludeva, era da escludere l’esistenza di un rapporto di lavoro autonomo,
poiché il Militello doveva seguire le direttive del Macioccu, era remunerato a
giornata di lavoro ed aveva prestato le proprie energie lavorative insieme con
quest’ultimo. Pertanto, la responsabilità del fatto dannoso non poteva ricadere
sull’appellante.
Per la cassazione di tale sentenza Corrado Macioccu propone ricorso,
affidato a quattro motivi.
Resiste con controricorso Luigi Militello, che ha depositato altresì
memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE
1.

Col primo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione degli

artt. 2090 e 2222 c.c. e il vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione
sull’accertamento della natura, autonoma o subordinata, del rapporto.
Sostiene parte ricorrente che dalla giurisprudenza di questa Corte si ricava
che, contrariamente a quanto ritenuto dai giudici d’appello, i r’n-ametri cui
occorre fare riferimento per stabilire la natura autonoma o subordinata del
rapporto di lavoro sono costituiti, in primis, dalla soggezione del lavoratore al
potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro e dall’inserimento organico
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al momento della demolizione del muro egli era presente ed aveva iniziato a

e continuativo del lavoratore nella struttura organizzativa dell’azienda, mentre
tutti gli altri possibili indicatori hanno valore indiretto e sussidiario. La Corte
territoriale ha omesso di considerare proprio tali elementi e, quindi, di
motivare riguardo ad essi. Inoltre, anche nel valutare i parametri secondari la

conclusioni cui è pervenuta, non tenendo conto delle caratteristiche concrete
della fattispecie. Ha attribuito, invece, grande rilievo alla modalità di
remunerazione a giornata, in realtà compatibile con il lavoro autonomo, alla
compresenza sul luogo di lavoro del committente, circostanza di per sé neutra,
e all’assenza di un’organizzazione imprenditoriale da parte del Militello,
omettendo di considerare altri elementi significativi, quali l’attività artigianale
svolta in passato da quest’ultimo.
Formula pertanto i seguenti quesiti di diritto ai sensi dell’art. 366-bis c.p.c.
(applicabile ratiosie temporis alla fattispecie): “voglia l’Ecc.ma Corte stabilire
se (i) ai fini della distinzione tra lavoro autonomo e lavoro subordinato, in
base a quanto stabilito dagli artt. 2222 e 2090 c.c. il giudice debba in primo
luogo valutare se nella fattispecie sussistano l’assoggettamento del lavoratore
al potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro, con conseguente
limitazione della sua autonomia e l’inserimento del lavoratore medesimo
nell’organizzazione aziendale; (ii) pertanto, solo nel caso in cui detti caratteri
distintivi non siano agevolmente apprezzabili a causa del concreto atteggiarsi
del rapporto occorra far riferimento ad altri criteri, complementari e sussidiari
— come l’osservanza di un orario di lavoro predeterminato, il versamento a
cadenze fisse di una retribuzione prestabilita, l’assenza in capo al lavoratore
di una sia pur minima struttura imprenditoriale —, i quali, benché privi di
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Corte d’appello non ha motivato o ha contraddittoriamente motivato le

valore decisivo se individualmente considerati, ben possono essere valutati
globalmente come indizi; (iii) ai fini di una valutazione non atomistica ma
complessiva della fattispecie dedotta, nella individuazione e nell’applicazione
di detti criteri occorra tener conto delle sue specifiche caratteristiche,

debbano nel caso di specie considerarsi significativi e quindi utilmente
impiegarsi; ed auribuendo a ciascuno di questi, in ragione della maggiore o
minore capacità rivelatrice in concreto attribuita, maggiore o minore
importanza ai fini del discernimento da compiersi”.
2. – Il secondo mezzo denuncia l’omessa pronuncia e/o l’omessa
motivazione sulla domanda subordinata di condanna del Militello per grave
negligenza, ai sensi degli artt. 2028, 2029, 2030 e 2043 c.c., domanda
riproposta in appello e su cui la Corte genovese avrebbe dovuto pronunciarsi
una volta accolta l’impugnazione del Militello sulla domanda principale.
Segue il quesito: “voglia l’Ecc.ma Corte stabilire se (i) nel caso in cui
l’appellato, richiesta in via principale la conferma della sentenza impugnata,
riproponga con le medesime modalità la domanda già proposta in via
subordinata davanti al giudice di primo grado — domanda con la quale
richiede pronuncia di condanna della controparte al risarcimento dei danni
subiti proponendo una prospettazione in diritto alternativa e più ampia rispetto
a quella delineata in via principale — la pronuncia con la quale il giudice
dell’impugnazione, in assenza di specifica motivazione su detta domanda
subordinata, ‘respinge la domanda’ proposta dall’attore debba considerarsi
esaustiva di tute le domande proposte o viziata da omessa pronuncia per non
aver deliberato sulla domanda subordinata medesima”; (li) nella prima di tali
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valutando in funzione di dette caratteristiche quali tra i vari possibili indici

ipotesi, la totale assenza, nella parte motiva della pronuncia, di specifici ed
espressi riferimenti alla diversa prospettazione in diritto intrinseca alla
domanda subordinata integri il vizio di omessa motivazione della pronuncia
medesima”.

artt. 439 e 426 c.p.c. La Corte d’appello, sostiene il ricorrente, ritenuta la
natura subordinata del rapporto di lavoro avrebbe dovuto disporre il
mutamento di rito, concedendo alle parti termine per il deposito di memorie
integrative, ampliando così le possibilità delle parti di chiedere nuovi mezzi di
prova e di sollevare nuove eccezioni, e del giudice di esercitare i poteri
istruttori d’ufficio previsti dall’art. 421 c.p.c.
Nei termini che seguono i quesiti: “voglia l’Ecc.ma Corte stabilire se (i)
proposta nel giudizio di primo grado la domanda di risarcimento di danni,
affermandosi in via principale che gli stessi sarebbero derivati da
inadempimento di obbligazioni, che l’attore non ha escluso essere sorte da un
rapporto subordinato col convenuto, ed in via subordinata da negligenza
nell’esecuzione delle opere ed accolta la domanda principale dal giudice di
prime cure, il quale abbia valutato essersi concluso tra le parti un contratto
d’opera, ove il giudice dell’impugn2zone ritenga che la fattispecie debba
invece ricondursi alla figura del lavoro subordinato, lo stessa debba, ai fini
dell’esame della domanda principale e/o di quella subordinata, disporre con
ordinanza resa ai sensi degli artt. 439 e 426 c.p.c., mutamento di rito, fissando
a tal fine udienza ex art. 420 c.p.c. e concedendo alle parti termine di legge
per il deposito di memorie integrative; (ii) nell’ipotesi in cui il giudice di
secondo grado ometta di disporre il mutamento di rito medesimo, risultando
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3. – Col terzo mezzo è denunciata la violazione e falsa applicazione degli

così preclusa sia la formulazione di ulteriori istanze istruttorie sia l’eventuale
iniziativa officiosa in materia probatoria, da tale omissione derivi un concreto
pregiudizio alla parte gravata dall’onere probatorio.
4. – Col quarto motivo d’impugnazione è dedotta l’omessa motivazione

applicazione dell’art. 2104 c.c.
Nell’ipotesi in cui dovesse ritenersi tacitamente respinta la domanda
subordinata del Macioccu, la Corte territoriale sarebbe comunque incorsa in
un ulteriore difetto di motivazione circa la reiezione della domanda
subordinata, violando l’altresì l’art. 2104 c.c. In base a tale norma il prestatore
di lavoro subordinato, dovendo usare la diligenza richiesta dalla natura della
prestazione, e ciò — ritiene la giurisprudenza — anche in assenza di direttive
datoriali, deve rispondere dell’attività svolta.
La censura conduce al seguente quesito: “voglia l’Ecc.ma Corte stabilire se
(i) l’estensione della responsabilità ex art. 2104 c.c. del lavoratore dipendente
per i danni arrecati al datore di lavoro vada determinata in modo direttamente
proporzionale alla sfera di autonomia decisionale e di discrezionalità tecnica
riconosciuta al dipendente medesimo in ragione delle mansioni svolte e dei
profili professionali che definiscono la qualifica; (ii) conseguentemente un
soggetto, il quale abbia in precedenza svolto in modo continuativo un’attività
di lavoro autonomo come artigiano edile, prescelto ed assunto alle dipendenze
di un terzo sprovvisto di specifiche conoscenze nel settore in ragione della sua
professionalità, che proceda all’abbattimento di una parete senza previa
verifica della sua funzione portante risponda ai sensi dell’art. 2104 c.c. dei
danni conseguentemente arrecati al proprio datore di lavoro”;

(iii) tale
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dell’esclusione della responsabilità del convenuto e/o la violazione e falsa

responsabilità si estenda al dover eventualmente segnalare al datore di lavoro
l’erroneità delle direttive impartite ed i rischi conseguenti alla loro
esecuzione; (iv) conseguentemente il prestatore di lavoro medesimo risponda
dei danni anche nel caso in cui, richiesto di eseguire la prestazione, abbia

responsabilità incomba comunque al prestatore di lavoro medesimo
dimostrare di aver operato tale segnalazione”.
5. – Il terzo motivo, che va trattato con priorità in quanto prospetta una
violazione di rito, non ha pregio.
La giurisprudenza di questa Corte è del tutto costante nell’affermare che
l’omesso cambiamento del rito, anche in appello, da quello speciale del lavoro
a quello ordinario o viceversa non spiega effetti invalidanti sulla sentenza, che
non è né inesistente né nulla, e la relativa doglianza, che può essere dedotta
come motivo di impugnazione, è inammissibile per difetto di interesse qualora
non si indichi uno specifico pregiudizio processuale che dalla mancata
adozione del diverso rito sia concretamente derivato, in quanto l’esattezza del
rito non deve essere considerata fine a se stessa, ma può essere invocata solo
per riparare una precisa ed apprezzabile lesione che, in conseguenza del rito
seguito, sia stata subita sul piano pratico processuale (così, per tutte e tra le
più recenti, Cass. n. 19942/08). Sicché in sede di legittimità è possibile far
valere, ai sensi del n. 4 dell’art. 360 c.p.c., la violazione degli artt. 426-427
c.p.c. unicamente nell’ipotesi in cui l’errore sul rito abbia inciso sulla
competenza o sulle decadenze processuali o sull’ammissibilità di mezzi di
prova.

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omesso tale segnalazione; (v) che in tale situazione, per andare esente da

Aspetti, questi ultimi, cui il motivo non collega alcuna specifica
compromissione della difesa.
6. – Il primo motivo è infondato.
Da tempo la giurisprudenza, sia di merito che di legittimità, ha

attraverso il metodo sillogistico o per sussunzione, a favore di quello per
approssimazione o per tipologia, ritenuto più idoneo a cogliere le sempre più
veloci trasformazioni che progresso tecnologico e mercato impongono al
mondo della produzione. Quest’ultimo metodo, che com’è noto valorizza i
c.d. indici sintomatici di subordinazione, tende ad attribuire rilievo
preminente, nella più recente giurisprudenza di questa Corte,
all’assoggettamento del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e
disciplinare del datore di lavoro (cfr. ex pluribus, Cass. nn. 3418/12, 2728/10,
13858/09 e 4171/06). Si tratta, tuttavia, di indici omogenei alla tradizionale
categoria socio-economica del conflitto industriale, e che in quanto tali non
sempre appaiono coerenti e proporzionati a situazioni che, per l’oggetto della
prestazione lavorativa o per le qualità soggettive delle parti, se ne discostano
in maniera evidkatte.
Non a caso la giurisprudenza della stessa sezione lavoro di questa Corte ha
precisato che nell’ipotesi in cui la prestazione dedotta in contratto sia
estremamente elementare, ripetitiva e predeterminata nelle sue modalità di
esecuzione e, allo scopo della qualificazione del rapporto di lavoro come
autonomo o subordinato, il criterio rappresentato dall’assoggettamento del
prestatore all’esercizio del potere direttivo, organizzativo e disciplinare non
risulti, in quel particolare contesto, significativo, occorre, a detti fini, far
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abbandonato la risalente tecnica di qualificazione dei rapporti di lavoro

ricorso a criteri distintivi sussidiari, quali la continuità e la durata del
rapporto, le modalità di erogazione del compenso, la regolamentazione
dell’orario di lavoro, la presenza di una pur minima organizzazione
imprenditoriale (anche con riferimento al soggetto tenuto alla fornitura degli

autorganizzazione in capo al prestatore, desunto anche dalla eventuale
concomitanza di altri rapporti di lavoro (Cass. nn. 9251/10, 1536/09 e
8569/04).
6.1. – Nella specie deve senz’altro escludersi che rispetto al contenuto del
rapporto, così come dedotto in giudizio dalla parte attrice, gli indici
dell’assoggettaniento del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e
disciplinare del datore di lavoro possano svolgere la loro funzione
individualizzante al fine d’inquadrare la natura del contratto stipulato dalle
parti. Infatti, stando alla domanda, la prestazione richiesta (l’esecuzione di
lavori edilizi in un appartamento), sebbene non necessariamente semplice né
ripetitiva, doveva comunque essere svolta da un solo prestatore, a vantaggio
di un soggetto non imprenditore e in un ambito residenziale. Ne deriva che
una verifica improntata alla ricerca di poteri disciplinari e di organizzazione di
cose e persone utilizzerebbe, nel caso prospettato, parametri del tutto fuori
contesto, e che, conseguentemente, l’allocazione del rischio dell’attività in
questione ben può essere apprezzata sulla base di altri indici sintomatici,
normalmente ritenuti secondari.
6.1.1. – Ciò posto, la Corte territoriale ha ravvisato elementi di
subordinazione nella pattuita remtmerazione a giornata; nella circostanza che
il Militello aveva suggerito al Macioccu di chiedere i permessi necessari e di
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strumenti occorrenti) e la sussistenza di un effettivo potere di

contrarre un’assicurazione; nel fatto che le direttive sul lavoro da svolgere le
aveva date il Macioccu, il quale la mattina in cui fu effettuata la demolizione
causa del danno di cui si discute aveva iniziato a lavorare insieme con il
Militello; nella Circostanza che le uniche opere accertate erano consistite

lavoro senza alcuna organizzazione di mezzi, avvalendosi di un solo
strumento (una semplice mazzetta).
Tale processo decisionale utilizza criteri distintivi sussidiari rilevanti a
stregua dell’indirizzo giurisprudenziale da ultimo richiamato e li valuta in
maniera logica e congrua. Esso, pertanto, si sottrae anche alle restanti critiche
svolte nel motivo, che nell’atomizzare gli elementi considerati nella sentenza
impugnata, per deprivarli di riferibilità univoca al lavoro subordinato, da un
lato contraddice la stessa tecnica qualificativa del rapporto per
approssimazione, che costituisce la cornice critica di riferimento entro cui si
muove la stessa censura; e dall’altro sollecita un inammissibile sindacato di
merito sull’apprezzamento dei fatti di causa operato dalla Corte territoriale.
7. – Il secondo motivo è infondato.
7.1. – La Corte genovese, ricostruendo il rapporto sostanziale dedotto in
termini di contratto di lavoro subordinato, ha logicamente escluso — in via
implicita, ma non per questo meno evidente — ogni altra ipotesi incompatibile
con esso.
Tra queste, la riconduzione della vicenda alla fattispecie ipotetica degli
artt. 2028-2030 c.c. Dette norme disciplinano la negotiorum gestio utilis, la
quale ha tra le sue condizioni applicative l’absentia domini, intesa non già
come impossibilità oggettiva e soggettiva di curare i propri interessi, bensì
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soltanto in demolizioni interne; e in ciò, che il Militello avev• ,. eseguito il

come semplice mancanza di un rapporto giuridico in forza del quale il gestore
sia tenuto ad intervenire nella sfera giuridica altrui, ovvero quale forma di
spontaneo intervento senza opposizione e/o divieto del dominus (v. Cass. nn.
12304/11 e 12280/07). Tale fonte obbligatoria è del tutto inconciliabile con

adeguatamente aggredito da motivi specifici idonei a intaccarne il substrato
logico-giuridico), accertamento che predica l’esatto contrario, ossia
l’esistenza di un rapporto giuridico avente ad oggetto l’adempimento di
un’obbligazione ex contractu.
Non solo, ma tale ipotesi normativa è insanabilmente antitetica rispetto alla
stessa allegazione dei fatti che sostanziano la domanda, delineandone la causa

petendi. Inalterati i fatti storici dedotti, non basta invocare norme diverse se
queste ne presuppongono di incompatibili. Ne deriva che la Corte d’appello
non avrebbe potuto pronunciarsi espressamente su tale prospettazione
giuridica se non in senso negativo, pena la falsa applicazione degli artt. 20282030 c.c.
7.1.2. – Analogamente è a dirsi quanto alla prospettata applicazione
dell’art. 2043 c.c. atteso che il principio per cui l’azione contrattuale e quella
extracontrattuale possono concorrere tra loro, sulla base dei medesimi fatti
allegati, non è generale e incondizionato.
La possibilità di tale concorso, in relazione ad un evento dannoso, unico
nella sua genesi soggettiva e risalente ad un unico comportamento del
medesimo autore, che leda non solo i diritti specifici derivanti al contraente
dalle clausole contrattuali ma anche i diritti assoluti (concernenti l’onore,
l’incolumità, la proprietà) del contraente medesimo, non è comprensivo di
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l’accertamento dei fatti così come operato dalla Corte territoriale (e non

qualsiasi danno giuridicamente rilevante derivato dall’inadempimento
contrattuale, ma riguarda pur sempre la lesione di interessi connessi col
vincolo negoziale, escluso, quindi, il pregiudizio (quale la distruzione o il
deterioramento di cose diverse da quella acquistata, il danno alla salute del

di fuori del contratto ed aventi, perciò, la consistenza di diritti assoluti (cfr.
Cass. n. 1696/80, alla quale hanno fatto seguito altre pronunce, tra cui le
nn.11410/08, 12704/02 e 4833/86).
Traslato alla fattispecie, il principio in questione comporta che, prospettato
un inadempimento contrattuale, non può ipotizzarsi proposta una concorrente
azione di responsabilità per fatto illecito, consistente nei danni arrecati alla
proprietà non del creditore, ma di terzi. Anche in tal caso, i fatti allegati non
consentono di estendere la cognizione al profilo della responsabilità aquiliana,
non potendosene ipotizzare nel caso specifico il concorso con l’azione
contrattuale.
8. – Il quarto motivo è infondato per due ragioni fra loro speculari.
8.1. – La prima è che ove una determinata questione giuridica – che
implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella
sentenza impugnata, il ricorrente che proponga detta questione in sede di
legittimità ha l’onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per
novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione
innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio
precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di Cassazione di
controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel

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compratore e simili) arrecato ad interessi del compratore nati e svolgentisi al

merito la questione stessa (v. Cass. n. 20518/08, 14590/05, 15950/04,
6656/04, 6542/04, 12571/03, 2331/03 16303/02).
8.2. – La seconda è data da ciò, che il giudice il quale ritenga che
l’istruzione probatoria abbia accertato positivamente fatti diversi da quelli

diverso profilo fattuale emerso — con o senza applicazione di norme differenti
da quelle invocate dalla parte —, ma deve rigettare la domanda nel merito,
pena il vizio di extrapetizione (che com’è noto ricorre ogni qual volta il
giudice ponga a fondamento della decisione un fatto costitutivo della pretesa
diverso da quello dedotto in giudizio, con la conseguente introduzione nel
processo di un titolo nuovo o differente rispetto a quello allegato nella
domanda: v. Cass. nn. 8713/98, 3670/96 e 3916/86).
8.2.1. – Nella specie, dalla pronuncia impugnata non risulta che nel
giudizio d’appello le parti abbiano dibattuto anche intorno al profilo della
responsabilità del Militello quale prestatore di lavoro subordinato. Deve
rimarcarsi, infatti, che la Corte territoriale ha trattato diffusamente dei
requisiti del lavoro subordinato non già per stabilire sotto quale delle due
opzioni dovesse essere accolta la domanda, ma al contrario per escludere che
fosse stato provato l’unico e solo titolo dedotto, ossia la responsabilità da
inadempimento di un contratto d’opera, e non altro (v. pag. 12).
Ciò chiarito e sottolineato, va aggiunto — a dimostrazione della novità della

causa petendi che parte ricorrente lamenta, senza ragione, essere stata
tralasciata dalla Corte ligure — che una domanda alternativa o subordinata di
risarcimento dei danni per responsabilità contrattuale, derivante dalla
violazione del dovere di diligenza che l’art. 2104 c.c. impone al prestatore di
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posti a base della causa petendi, non deve accogliere la domanda sotto il

lavoro subordinato, non risulta né dall’epigrafe della sentenza d’appello, né da
altro e diverso atto processuale, che il ricorrente non si dà peso di riprodurre o
indicare.
10. – In conclusione il ricorso va respinto.

P. Q. M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, che liquida in
E 1.700,00, di cui 200,00 per esborsi, oltre IVA e CPA.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile
della Corte Suprema di Cassazione, il 2.10.2013.

11. – Seguono le spese, allocate e liquidate come in dispositivo.

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