Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24560 del 18/10/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 18/10/2017, (ud. 04/05/2017, dep.18/10/2017),  n. 24560

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16949-2015 proposto da:

SUPERPOL S.R.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIULIO

CESARE, 9, presso lo studio dell’avvocato PAOLA LIBBI, che la

rappresenta e difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

e contro

M.V., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dagli avvocati ENRICO VALENTE e MAURO CASALE, giusta delega

in calce;

– resistente –

avverso la sentenza n. 10546/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 29/04/2015, R. G. N. 2061/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/05/2017 dal Consigliere Dott. GUGLIELMO CINQUE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA Mario, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato IRMA BOMBARDINI per delega verbale PAOLA LIBBI;

udito l’Avvocato ENRICO VALENTE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di Roma, con la sentenza n. 10546/2014, in riforma della pronuncia emessa il 19.2.2013 dal Tribunale della stessa città, ha dichiarato l’invalidità del licenziamento intimato a M.V. in data 12.8.2011 condannando la Superpol srl a reintegrarlo nel posto di lavoro e a corrispondergli un’indennità commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto maturata dal recesso fino alla effettiva reintegra.

2. Il licenziamento era stato adottato perchè il M., dipendente della società quale guardia giurata, in servizio di guardia presso la filiale della Banca Toscana in Roma il 18.4.2011 non era stato trovato sul posto dr lavoro essendosi recato in un vicino supermercato, distante 40-50 mt. dalla filiale predetta.

3. A fondamento della decisione i giudici di seconde cure hanno rilevato che: a) l’eccezione di improcedibilità dell’appello ex art. 435 c.p.c. (per avere l’appellante ritirato le copie per la notifica per l’udienza del 10.3.2014 solo in data 28.2.2014, quando cioè era già spirato il termine di 25 giorni assegnato nei decreto di fissazione e perchè non vi era prova della tentata notifica) non era fondata sia in quanto non vi era prova della comunicazione del decreto ex art. 435 cpc, ma solo del ritiro in cancelleria, sia perchè era stato autorizzato il rinnovo della notifica; b) avendo riguardo alla contestazione, che richiamava gli obblighi previsti dagli artt. 2104,2105 e 2106 c.c. e dall’art. 81 del CCNL, mancava la proporzionalità tra fatto contestato e sanzione applicata in quanto, per comportamenti analoghi ben più gravi, la norma pattizia richiamata prevedeva la sospensione della retribuzione e dal servizio da uno a sei giorni; c) irrilevante era, poi, il riferimento nella lettera di licenziamento all’art. 127 CCNL, che riguarda l’abbandono del posto di lavoro, stante il divieto di mutare la contestazione.

4. Per la cassazione propone ricorso la Superpol srl affidato a due motivi.

5. M.V. ha svolto attività difensiva unicamente con memoria depositata per l’udienza pubblica.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente denunzia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione e falsa applicazione dell’art. 435 c.p.c., artt. 291 e 111 c.p.c.nonchè l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’eccezione di improcedibilità del ricorso in appello e alle argomentazioni, in merito alla notifica dell’atto di appello, nonchè la violazione e falsa applicazione degli artt. 139 c.c. e ss e la nullità del processo di secondo grado.

2. Con il secondo motivo la società lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362,1363,1364 e 1366 e 2119 c.c. nonchè della L. n. 604 del 1966, art. 1 e degli artt. 81 e 127 CCNL Dipendenti Istituti di Vigilanza Privata del 2.5.2006; la violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro e omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. In particolare, deduce l’errata interpretazione della norma pattizia (art. 81 CCNL) circa le norme di comportamento e i doveri dei lavoratori, composta da un prima parte, dedicata alla enunciazione di principi generali e, da una seconda parte, che delinea alcune ipotesi di inosservanza dei citati obblighi; che il richiamo arrt. 127 CCNL era connesso alle disposizioni di cui agli artt. 81 CCNL e 2119 cc; che la Corte distrettuale non aveva valutato la complessità di tutti gli aspetti soggettivi della condotta del M., del fatto che il dipendente si era allontanato senza alcuna autorizzazione, nè della centrale operativa nè della direttrice della Banca, errando sia nella valutazione di proporzionalità della sanzione sia nell’esame ponderato delle prove offerte da essa società.

3. Il primo motivo non è fondato.

4. Giova premettere la ricostruzione dei fatti.

5. Il ricorso di appello veniva depositato il 12 aprile 2013. Il decreto presidenziale di fissazione dell’udienza di discussione veniva emesso il 31.7.2013 per l’udienza del 10.3.2014. Tale decreto non venivà comunicato. L’appellante, spontaneamente, provvedeva al ritiro di due copie dell’atto per uso notifica che veniva richiesta in data 3.3.2014. La Corte distrettuale, su istanza dell’appellante di concessione di un termine per rinotifica del ricorso o di un termine per il deposito dell’originale notificato, rinviava al 31.3.2014. A tale udienza l’appellante depositava la copia notificata del ricorso dalla cui relata si evinceva, in data 5.3.2014, l’esito negativo perchè il destinatario dell’atto, procuratore costituito in primo grado Avv. Irma Bombardini, non “risultava all’interno”. La Corte di appello, rilevata la mancata notifica per irreperibilità del destinatario, concedeva termine di legge per il rinnovo della notifica, fissando la nuova udienza del 15.12.2014. La notifica, questa volta effettuata all’Avv. Irma Bombardini al medesimo indirizzo, andava a buon fine in data 20.11.2014.

6. L’odierno ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 435 c.p.c., art. 291 c.p.c. e art. 11 c.p.c. lamentando, in sostanza, che la notifica del ricorso in appello del 5.3.2014 doveva nei fatti considerarsi mai eseguita o comunque nulla; che alla successiva notifica del 20.11.2014 non era stata allegata la prima notifica ingenerando la convinzione di altre precedenti notifiche; che all’udienza del 31.3.2014 la Corte territoriale, vista la relata di notifica, avrebbe dovuto dichiarare la nullità della stessa e solo dopo concedere il rinnovo della notifica ai sensi dell’art. 291 c.p.c..

7. Le doglianze non sono fondate.

8. Questa Corte ha precisato che la mancanza di comunicazione all’appellante dell’avvenuto deposito del decreto di fissazione dell’udienza di discussione, escludendo l’insorgere dell’onere di quest’ultimo di provvedere alla notificazione dell’atto di gravame e del decreto stesso, non è incompatibile con la conservazione dell’effetto impeditivo del giudicato, conseguente al tempestivo deposito del ricorso in appello. Pertanto, quando sopravvenga, a causa di detta mancanza, l’impossibilità di eseguire tale notificazione nel rispetto dei termini di cui ai commi secondo e terzo dell’art. 435 c.p.c., deve essere disposta di ufficio, o ad istanza dell’appellante medesimo la fissazione di altra udienza di discussione in data idonea a consentire il rispetto di detti termini potendo, peraltro, il contraddittorio ritenersi validamente costituito anche quando il collegio, senza emettere un formale provvedimento di rinnovo, si sia limitato, all’udienza di discussione originariamente fissata, a disporre il rinvio della medesima (in termini Cass. 27.10.2010 n. 21978; Cass. 29.12.2016 n. 27375).

9. A seguito della declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 435 c.p.c., nella parte in cui non dispone che l’avvenuto deposito del decreto presidenziale di fissazione dell’udienza di discussione sia comunicato all’appellante e che da tale comunicazione decorra il termine per la notificazione all’appellato, deve affermarsi, poi, che l’appellante non è gravato da alcun onere notificatorio anteriormente alla regolare ricezione di tale comunicazione, nè è tenuto ad alcun onere di diligenza che gli impone, nell’imminente scadenza del termine di impugnazione, di verificare se e quando sia avvenuto il deposito dell’atto, in difetto del quale non gli è dato procedere all’attivazione del contraddittorio (cfr. in motivazione Cass. 14.11.1991 n. 12147).

10. Infine, questa Corte ha precisato che, nel rito del lavoro, nel caso di omessa o inesistente notifica del ricorso introduttivo del giudizio e del decreto di fissazione dell’udienza, è ammessa la concessione di un nuovo termine, perentorio, per la rinnovazione della notifica (Cass. 27.1.2015 n. 1483).

11. Alla stregua dei suddetti principi giurisprudenziali, pertanto, non è ravvisabile alcuna nullità nell’operato processuale della Corte distrettuale nè alcuna negligenza dell’allora appellante, nella procedura di notifica, che comporti la nullità della sentenza e del giudizio di secondo grado.

12. E ciò a prescindere dalla circostanza che la costituzione dell’appellato comporta in ogni caso la sanatoria dell’atto difforme al paradigma legale per il raggiungimento dello scopo giusta l’art. 156 c.p.c., comma 3 (in termini Cass. 10.1.2017 n. 279).

13. Nel caso in esame, infatti, l’appellato si è costituito e non risulta avere dedotto neanche in questa sede una lesione dei diritti di difesa e del contraddittorio per cui alcuna nullità può configurarsi, anche in considerazione del fatto che è stato osservato il termine di 25 giorni tra la notificazione del ricorso e la data di udienza (20.11.2014/15.12.2014).

14. Il secondo motivo è parimenti infondato.

15. La censura, con riferimento alle violazioni di legge denunciate ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sono insussistenti in difetto degli appropriati requisiti di erronea sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta regolata dalla legge, mediante specificazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o della prevalente dottrina (cfr. Cass 26.6.2013 n. 16038; Cass. 28.2.2012 n. 3010).

16. La ritenuta consistenza delle doglianze in una contestazione della valutazione probatoria e dell’accertamento in fatto della Corte territoriale, e non già in omissione di esame di fatti storici decisivi, esclude poi la ricorrenza del vizio ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile ratione temporis per la data di pubblicazione della sentenza impugnata.

17. Quanto alla proporzionalità, il relativo giudizio tra licenziamento disciplinare e addebito contestato è devoluto al giudice di merito la cui valutazione non è censurabile in sede di legittimità ove sorretta da motivazione sufficiente e non contraddittoria (Cass. 25.5.2012 n. 8293; Cass. 7.4.2011 n. 7948).

18. In realtà, il motivo scrutinato è essenzialmente inteso alla sollecitazione di una rivisitazione del merito della vicenda e alla contestazione della valutazione probatoria operata dalla Corte territoriale, sostanziante il suo accertamento in fatto, di esclusiva, spettanza del giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimità (Cass. 16.12.2011 n. 27197; Cass. 18.3.2011 n. 6288).

19. Infatti, la pretesa rilevanza disciplinare del fatto contestato si traduce in una censura inammissibile del corretto ed argomentato ragionamento motivo della Corte distrettuale che ha, invece, accertato e valutato il contrario. La valutazione sulla proporzionalità non può che essere di competenza del giudice del merito il quale, nella fattispecie, l’ha correttamente eseguita attraverso una motivazione congrua, attraverso una comparazione di quello, oggetto del presente esame, con altri illeciti disciplinari e, come tale, sottratta a censure di illegittimità.

20. Alla stregua di quanto esposto il ricorso deve essere rigettato.

21. Al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo.

PQM

 

LA CORTE

rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 4 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 18 ottobre 2017

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