Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2456 del 31/01/2018


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Civile Ord. Sez. L Num. 2456 Anno 2018
Presidente: DI CERBO VINCENZO
Relatore: PICCONE VALERIA

ORDINANZA

sul ricorso 19882-2012 proposto da:
BARSANTI STEFANIA C.F. BRSSFN64T67L833N, GAGLIANO
ALESSIO, PERA GIOVANNA, VARRIALE ILARIA, MORICONI
DOLORES, BATTAGLINI MICHELA, MILITELLO ANDREA, DI
MAIO ELENA, PAOLI MARCO, CHIARINI LUCIA, TORRINI
ILARIA, GIUSTI LUISA, GIOVANNONI DARIA, MARCHETTI
CHERUBINA, elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE
GLORIOSO 13, presso lo studio dell’avvocato LIVIO
2017
4057

BUSSA, che li rappresenta e difende unitamente
all’avvocato ROBERTO GIUSTI, giusta delega in atti;
– ricorrenti contro

POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona

Data pubblicazione: 31/01/2018

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE EUROPA 175 – Direzione
Affari Legali Poste Italiane, presso lo studio
dell’avvocato SERGIO CAVUOTO, che la rappresenta e
difende, giusta delega in atti;

avverso la sentenza n. 121/2012 della CORTE D’APPELLO
di FIRENZE, depositata il 02/03/2012 R.G.N.
1344/2010.

– controricorrente

Camera di consiglio del 18 ottobre 2017 – n. 31 del ruolo
Presidente: Di Cerbo – Relatore: Piccone

RILEVATO
che con sentenza in data 26 gennaio 2012 la Corte di Appello di Firenze in parziale
riforma della sentenza emessa dal locale Tribunale, in applicazione dell’art. 32, comma
V, della legge n. 183/2010, condannava Poste Italiane S.p.A. al pagamento, in favore
di Stefania Barsanti, Lucia Chiarini, Alessio Gagliano, Daria Giovannoni, Luisa Giusti,
Cherubina Marchetti, Andrea Militello, Dolores Moriconi, Marco Paoli, Giovanna Pera,
Ilaria Varriale, Michela Battaglini, Elena Di Maio, Ilaria Torrini, in luogo dell’importo
risarcitorio stabilito in primo grado, di una indennità onnicomprensiva pari a 2,5
mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto per il periodo fino alla pronuncia che
aveva accertato la nullità del termine apposto ai contratti di lavoro intercorsi fra le
parti, oltre alla retribuzione per il periodo decorrente da quella data fino alla data di
definitiva cessazione del rapporto come accertata in sentenza, oltre accessori di legge;
che avverso tale sentenza Stefania Barsanti, Lucia Chiarini, Alessio Gagliano, Daria
Giovannoni, Luisa Giusti, Cherubina Marchetti, Andrea Militello, Dolores Moriconi,
Marco Paoli, Giovanna Pera, Ilaria Varriale, Michela Battaglini, Elena Di Maio, Ilaria
Torrini hanno proposto ricorso affidato a tre motivi, cui ha opposto difese l’intimata
con controricorso;

CONSIDERATO
che con il primo motivo di ricorso Stefania Barsanti, Lucia Chiarini, Alessio Gagliano,
Daria Giovannoni, Luisa Giusti, Cherubina Marchetti, Andrea Militello, Dolores
Moriconi, Marco Paoli, Giovanna Pera, Ilaria Varriale, Michela Battaglini, Elena Di Maio,
Ilaria Torrini denunziano violazione e falsa applicazione dell’art. 6 della Convenzione
Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali, dell’art.
1 del Protocollo n. 1 della Convenzione e dell’art. 32, comma 7 della legge n. 183 del
2010
che, in particolare, i ricorrenti lamentano l’adesione della Corte d’Appello alle
motivazioni della Corte Costituzionale e ne deducono la violazione di principi generali
del diritto dell’Unione immediatamente applicabili;
che, in realtà, l’esame del corpo del ricorso non consente di individuare le norme di
diritto europeo asseritamente violate, facendosi esclusivo riferimento alla normativa
CEDU ed alla decisioni della Corte di Strasburgo;
che non v’è dubbio che non solo a partire dalla sentenza Kucukdeveci (Corte Giust.
19/01/2010, C- 555/07) richiamata dai ricorrenti, ma già molto prima, a decorrere
dalla pronunzia Simmenthal (Corte Giust. 09/03/1978, causa C- 106/77), il giudice
nazionale che tenti, come doveroso, la strada dell’interpretazione conforme al diritto
dell’Unione ma infruttuosamente, sarà tenuto a disapplicare la norma interna
confliggente con quella dell’Unione;

RG. 19882/2012

PQM
La Corte dichiara il ricorso inammissibile. Condanna i ricorrenti al pagamento, in
favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro
4.000,00 per compensi ed euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura
del 15% ed accessori di legge.
Così deciso nella Adunanza camerale del 18 ottobre 2017

che nel caso di specie, tuttavia, la disapplicabilità della disposizione di cui all’art. 32 L.
n. 183 del 2010 nella parte relativa alla retroattività della disciplina, si fonda non su
disposizione di diritto europeo, bensì su norma convenzionale (l’art. 6 CEDU) che non
può dirsi confluita nel diritto dell’Unione almeno fino a quando non interverrà
l’adesione dell’Unione alla CEDU;
che a conclusioni non difformi conduce il riferimento all’art. 6 comma 3 del Trattato di
Lisbona che pone i soli diritti fondamentali – garantiti, fra le altre fonti, anche dalla
Convenzione – nell’ambito dei principi generali dell’Unione;
che l’interpretazione conforme, imposta al giudice nazionale ai sensi dell’art. 4 n. 3
TUE nell’applicazione del diritto europeo, va distinta dall’interpretazione
convenzionalmente orientata, che sempre il giudice deve percorrere ma che non può
in nessun caso condurre alla disapplicazione della norma interna contrastante con il
diritto CEDU, appartenendo quest’ultimo ad un sistema diverso che impone, come
chiarito a partire dalle ormai notissime sentenze gemelle (Corte Cost. 24/10/2007, nn.
348 e 349) il passaggio attraverso la questione di costituzionalità;
che il motivo, quindi, deve essere dichiarato inammissibile;
che anche il secondo e il terzo motivo, con cui si deducono violazione e falsa
applicazione dell’art. 8 della legge n. 604 del 1966 nonché omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, con riguardo
alla determinazione dell’indennità ex art. 32, da trattarsi congiuntamente in ragione
dell’intima connessione, vanno dichiarati inammissibili;
che, infatti, parte ricorrente mira ad ottenere una revisio prioris istantiae
relativamente alla determinazione dell’indennità, implicando, tale operazione
valutazioni di merito inammissibili in sede di legittimità;
che anche la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con
ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità, non il potere di riesaminare
il merito della vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma la sola facoltà di
controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale,
delle argomentazioni svolte dal giudice del gravame, al quale spetta, in via esclusiva,
il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le
prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive
risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità
dei fatti ad esse sottesi (sul punto, ex plurimis, Sez. V, n. 19547/2017);
che congruamente motivato appare, sul punto della entità risarcitoria, l’iter decisorio
della Corte d’appello con il riferimento alle condizioni delle parti, che presuppone,
implicitamente, l’esame di tutti i parametri di riferimento della norma, in particolare il
numero dei dipendenti impiegati e le dimensioni dell’azienda;
che il ricorso, quindi, deve essere dichiarato inammissibile;
che le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo;

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