Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24559 del 18/10/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 18/10/2017, (ud. 04/05/2017, dep.18/10/2017),  n. 24559

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15557-2015 proposto da:

M.U., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TOMMASO

D’AQUINO 47, presso lo studio dell’avvocato LUIGI CORREALE,

rappresentato e difeso dall’avvocato ALFONSO AMATO, giusta delega in

atti;

– ricorrente –

contro

F.LLI MO. S.R.L., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VAGLIA 59, presso lo

studio dell’avvocato RAFFAELLO DELLI COLLI, che la rappresenta e

difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 10306/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 15/12/2014, R. G. N. 6634/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/05/2017 dal Consigliere Dott. GUGLIELMO CINQUE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA Mario, che ha concluso per l’inammissibilità e in subordine

per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato ALFONSO AMATO;

udito l’Avvocato RAFFAELLO DELLI COLLI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con la sentenza n. 10306/2014 la Corte di appello di Roma, in riforma della pronuncia emessa dal Tribunale di Cassino, dichiarava inammissibile la domanda avanzata da M.U., nei confronti della srl F.lli Mo., diretta ad ottenere la declaratoria di illegittimità del licenziamento collettivo intimato in data 14.10.2008.

2. A fondamento della decisione i giudici di secondo grado ritenevano fondato il motivo di appello relativo alla rinuncia all’impugnazione del recesso rilevando che: a) il M. era stato licenziato con lettera del 14.10.2008; il recesso era stato impugnato con lettera del 31.10.2008; in data 15.12.2008 era stato assunto con contratto a tempo determinato con decorrenza 16.12.2008 (scadenza al 30.9.2009); il 23.1.2009 era stata inviata una raccomandazione al suo difensore del seguente tenore: “comunico che per ragioni strettamente personali non intendo più promuovere alcuna azione nei confronti della F.lli Mo. snc per contestare l’avvenuta cessazione del mio rapporto di lavoro con la società stessa; la presente costituisce pertanto revoca del mandato a suo tempo conferitovi e resto in attesa di conoscere se e in quale misura vi debbo per eventuali attività svolte nel mio interesse”; in data 28.10.2009 era stato formalizzato il tentativo di conciliazione finalizzato al giudizio di impugnazione sia del licenziamento collettivo che del contratto a tempo determinato; b) nel caso in esame, l’atto sottoscritto e inviato al legale aveva la sostanza e la forma di una ordinaria rinuncia, effettuata in una sede non protetta, divenuta irreversibile per la mancata impugnazione nel termine semestrale.

3. Per la cassazione propone ricorso Mo.Um. affidato a tre motivi.

4. Resiste con controricorso la F.lli Mo. srl.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) nonchè la violazione di legge dell’art. 2113 c.c., art. 1324, 1362 e ss c.c., deducendo, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte distrettuale, l’insuscettibilità di qualificare come rinuncia il documento del 23.1.2009: a) per non essere stato mai consegnato alla società; b) per non essere un atto che avrebbe potuto essere rivelato pubblicamente in quanto indirizzato a soggetto tenuto al segreto professionale e per essere in sostanza una revoca del mandato a suo tempo conferito al proprio difensore; c) per avere natura di comunicazione formale al proprio legale; d) per essere stata rappresentata una rinunzia alla azione e non al diritto; e) per essere stati usati termini giuridicamente equivoci; f) perchè il comportamento complessivo tenuto da esso lavoratore non era compatibile con la volontà di rinunciare alla impugnativa stragiudiziale del licenziamento; g) perchè non era concepibile una rinuncia gratuita al diritto di ottenere la reintegra nel posto di lavoro.

2. Con il secondo motivo si censura la violazione o falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) per l’assenza di qualsivoglia consapevolezza o comunque cosciente intento di abdicare ai propri diritti determinati o determinabili nonchè l’ulteriore violazione degli artt. 1362 c.c. e ss e art. 2113 c.c.: in sostanza il ricorrente riproduce le stesse argomentazioni di cui al primo motivo deducendo una violazione dei canoni ermeneutici di cui agli artt. 1362 c.c. e ss.

3. Con il terzo motivo il M. si duole, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, dell’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti per non essere stata, valutatck, dalla Corte territoriale qualsivoglia disamina del comportamento complessivo di esso dipendente, anche posteriore alla redazione della nota.

4. I motivi, che attengono tutti alla interpretazione e alla qualificazione della dichiarazione, a firma di M.U. del 23.1.2009, devono essere trattati per la loro connessione logico-giuridica congiuntamente.

5. Essi sono infondati.

6. Giova premettere che, come affermato da questa Corte (cfr. Cass. 28.8.2013 n. 19831), la dichiarazione sottoscritta dal lavoratore può assumere valore di rinuncia o di transazione, con riferimento alla prestazione di lavoro subordinato ed alla conclusione del relativo rapporto, sempre che risulti accertato, sulla base dell’interpretazione del documento, che essa sia stata rilasciata con la consapevolezza di diritti determinati ovvero obiettivamente determinabili e con il cosciente intento di abdicarvi o di transigere sui medesimi. Il relativo accertamento costituisce giudizio di merito, censurabile, in sede di legittimità, soltanto in caso di violazione dei criteri di ermeneutica contrattuale o in presenza di vizi della motivazione.

7. Orbene la Corte territoriale, con valutazione fondata su apprezzamenti di fatto e logicamente corretti, attribuendo alla dichiarazione sopra citata la sostanza e la forma di una ordinaria rinuncia effettuata in una sede non protetta, ha precisato, in primo luogo, che essa aveva ad oggetto diritti disponibili. Non violando, poi, i criteri di ermeneutica negoziale, perchè ha analizzato il dato letterale del testo e ne ha desunto l’intento del soggetto, ha sottolineato che era stata espressa la chiara e consapevole volontà di non volere più contestare l’avvenuta cessazione del rapporto di lavoro. Ha, poi, specificato – sempre con argomentazioni logiche – che l’atto non era stato impugnato per vizi della volontà per cui la problematica delle ragioni per le quali l’interessato si era determinato all’iniziativa e del consenso e/o della volontà della parte contro interessata divenivano in sostanza irrilevanti.

8. L’applicazione dei principi enunciati e la valutazione in fatto dei giudici di seconde cure rendono, pertanto, prive di fondamento le censure di cui primo e secondo motivo di ricorso.

9. Nè, infine, può assumere importanza il comportamento successivo del M., avvenuto dopo lo spirare del termine per impugnare l’atto e, pertanto, non significativo e decisivo, così come non può rilevare il destinatario della dichiarazione perchè, essendo quest’ultima susseguente al conferimento di un mandato difensivo e a questo connessa, è ragionevole che fosse indirizzata al proprio Procuratore e non alla controparte.

10. Alla stregua di quanto esposto il ricorso deve essere rigettato.

11. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo.

PQM

 

LA CORTE

rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 4 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 18 ottobre 2017

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