Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24554 del 31/10/2013


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 24554 Anno 2013
Presidente: RORDORF RENATO
Relatore: DIDONE ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso 5188-2007 proposto da:
MINISTERO DELLA DIFESA, in persona del Ministro pro
tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,
presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

Data pubblicazione: 31/10/2013

rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente 2013
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contro

FALLIMENTO EDILBETON ROMANA COSTRUZIONI S.P.A. (C.F.
01032841007), in persona del Curatore dott. ROBERTO
ANGELICI, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

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ASMARA 58, presso l’avvocato LOMANNO FERDINANDO, che
lo rappresenta e difende, giusta procura a margine
del controricorso;

controricorrente

avverso la sentenza n. 4260/2006 della CORTE

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 25/09/2013 dal Consigliere Dott. ANTONIO
DIDONE;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. FEDERICO SORRENTINO che ha concluso
per il rigetto del ricorso.

D’APPELLO di ROMA, depositata il 09/10/2006;

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Ritenuto in fatto e in diritto
1.- Con la sentenza impugnata (depositata il 9.10.2006) la
Corte di appello di Roma ha confermato la sentenza del
Tribunale di Roma con la quale è stata rigettata la

passivo del fallimento della s.p.a. Edilbeton Romana
Costruzioni presentata dal Ministero della Difesa per il
proprio credito di lire 98.403.572, vantato a titolo di
rimborso di quanto corrisposto ad altra impresa che aveva
completato i lavori già affidati in appalto alla società
fallita, a seguito della rescissione in danno del
contratto di appalto disposta dall’Amministrazione per
inadempimento della società appaltante.
La corte di merito ha ritenuto non provato il diritto
insinuato tardivamente, anche alla luce della
illegittimità del procedimento di autotutela perché
adottato senza contraddittorio con l’impresa appaltatrice.
Ciò a prescindere dalla circostanza che quest’ultima aveva
chiesto la risoluzione del contratto per inadempimento
dell’Amministrazione la quale, con sentenza del 2001, era
stata condannata a pagare alla società fallita una somma a titolo di danni – superiore a quella insinuata nel
passivo.

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domanda di ammissione tardiva ex art. 101 l. fall. al

Contro la sentenza della Corte di appello il Ministero
della Difesa ha proposto ricorso per cassazione affidato a
quattro motivi.
Resiste con controricorso la curatela fallimentare

2.1.- Con il primo motivo di ricorso l’Amministrazione
ricorrente denuncia violazione di norme di diritto e
formula – ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., applicabile
ratione temporis – il seguente quesito: «se viola l’art.
101 1. fall. l’affermazione secondo la quale risulta
preclusiva all’ammissione al passivo di un credito oggetto
di domanda tardiva di ammissione la circostanza della
contestazione dello stesso da parte del curatore».
Il motivo è infondato perché la motivazione del rigetto
dell’insinuazione è diversa da quella indicata nella
censura, avendo fatto riferimento la corte di merito alla
contestazione del curatore soltanto nella narrazione dei
fatti processuali.
2.2.- Con il secondo motivo parte ricorrente denuncia
vizio di motivazione – riproducendo due documenti nel
corpo del ricorso – lamentando «che il contenuto dei
documenti sopra trascritti siano stati ignorati, e
pertanto ingiustificatamente disattesi, dalla sentenza di
appello che non permette, in tal modo, un sindacato

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intimata.

sull’iter logico seguito per assumere la decisione – la
quale – «non chiarisce quali siano state le ragioni in
virtù delle quali sia stato possibile ritenere che 1)
l’avvenuta convocazione della parte di cui si dà atto nel

della stessa; 3) il verbale quindi redatto alla presenza
di testimoni così come previsto dall’art. 48 C.G.A.L.G.M.
non rappresentassero circostanze idonee a ritenere che
l’accertamento fosse stato svolto in contraddittorio».
Il motivo è inammissibile sia per violazione dell’art. 366
bis c.p.c., mancando il c.d. quesito “di fatto”, sia
perché la produzione in sede di legittimità dei documenti
diversi da quelli indicati nell’art. 372 c.p.c. è
inammissibile così come è inammissibile la pretesa che dei
documenti probatori tenga conto la Corte di legittimità.
2.3.- Con il terzo motivo parte ricorrente denuncia
violazione e falsa applicazione degli artt. 48 e 49 delle
C.G.A.L.G.M. (Condizioni Generali per l’Appalto dei Lavori
del Genio Militare) e formula – ai sensi dell’art. 366 bis
c.p.c. – il seguente quesito: «se rispetti le previsioni
di cui agli artt. 48 e 49 C.G.A.L.G.M. la procedura con la
quale a) l’impresa sia stata invitata ad assistere alla
redazione del verbale; b) preso atto della mancata
presentazione della stessa, si sia provveduto a redigere
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verbale del 10 marzo 1994; 2) la mancata presentazione

il suddetto verbale alla presenza di due testimoni e c) si
sia provveduto, quindi, a terminare l’esecuzione dei
lavori appaltando gli stessi ad altra impresa ponendo a
carico dell’impresa inadempiente i conseguenti oneri».
Costituisce accertamento di fatto della corte di merito
quello relativo al mancato rispetto del contraddittorio.
La censura, pertanto, è inammissibile, tendendo ad
ottenere una diversa lettura degli elementi probatori.
2.4.- Con il quarto motivo parte ricorrente denuncia vizio
di motivazione e lamenta che la corte di merito abbia
fondato la decisione su di una inesistente domanda di
risoluzione per inadempimento del contratto per cui è
causa

(concernendo, invece, la sentenza citata dal

tribunale un diverso contratto fra le stesse parti: come
riconosce la curatela fallimentare nel controricorso).
Il motivo è inammissibile perché non è stata formulata la
sintesi del fatto controverso ex art. 366 bis c.p.c.
La censura, comunque, è inammissibile anche perché manca
la decisività del motivo per essere la decisione di merito
fondata sulla mancanza di prova della legittimità del
procedimento di autotutela.
Il ricorso è rigettato.

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Le spese del giudizio di legittimità – nella misura
determinata in dispositivo – vanno poste a carico di parte
ricorrente.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il Ministero
ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di
legittimità liquidate in euro 3.200,00 di cui euro 200,00
per esborsi oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 25
settembre 2013

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