Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24554 del 02/10/2019

Cassazione civile sez. trib., 02/10/2019, (ud. 14/05/2019, dep. 02/10/2019), n.24554

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. PANDOLFI Catello – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al n. 12188/2013 proposto da:

Kaspor srl, rappresentata e difesa dall’Avv. Pier Cesare Tacchi

Venturi con domicilio eletto in Roma viale Parioli n. 43, presso lo

studio dell’avv. prof. Francesco D’Ayala Valva.

– Ricorrente –

Contro

Agenzia delle Entrate rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale

dello Stato con domicilio eletto in Roma via dei Portoghesi 12;

– Controricorrente –

Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Veneto

sezione di Verona n. 133/15/12 depositata il 29/11/2012.

Udita la relazione del Consigliere Dott. Catello Pandolfi nella

camera di consiglio del 14/05/2019.

Fatto

RILEVATO

La società Kaspor srl, operante nel settore del confezionamento di capi abbigliamento, ha proposto ricorso per cassazione avverso l’avviso di accertamento di maggior reddito imponibile ai fini IRES, IVA e IRPA per l’anno 2005.

A base del ricorso ha posto due motivi.

Il primo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, con cui contesta l’apodittica affermazione del giudice regionale, secondo cui l’appello fosse privo del requisito della specificità. Lamenta, inoltre, che la CTR non avesse esplicitato le ragioni per cui aveva applicato lo standard dello studio di settore prescelto. Il secondo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 sexies; del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), in relazione al D.L. n. 331 del 1993, art. 63 sexies e dell’art. 2697 c.c. per essere l’avviso di accertamento fondato esclusivamente sullo scostamento del reddito dichiarato dagli standard previsti dallo studio di settore TDOTB applicato al caso di specie. Resiste l’Agenzia delle Entrate con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

Quanto al primo motivo, relativo all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e quindi all’omessa motivazione di un fatto decisivo, è da rilevare come la doglianza non sia conforme alla formulazione novellata del suindicato articolo. In base ad essa, infatti, la censura deve avere ad oggetto l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti. La giurisprudenza di questa Corte ha più volte affermato che il fatto cui si riferisce la norma è da intendere come fatto in senso storico/naturalistico, che la parte deve individuare nel suo ricorso in modo chiaro e specifico. La censura, dunque, non può riferirsi all’apprezzamento dei fatti e/o delle prove compiute dal giudice di merito o all’omessa valutazione di deduzioni difensive. Nè alla persuasività o meno del suo ragionamento, aspetto afferente alla sufficienza della motivazione e perciò non più rientrante nell’ambito del motivo in esame, come delineato dalla novella.

In altri termini, l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv. in L. n. 134 del 2012, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (ex multis, Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 27415 del 29/10/2018).

Nella specie, le assunte carenze motivazionali della sentenza impugnata attengono ad aspetti che non concretano un fatto in senso storico naturalistico, per cui il contribuente, con il motivo, sollecita, in sostanza, una revisione delle insindacabili valutazioni delle risultanze processuali svolte dal giudice di merito. Il motivo è pertanto inammissibile.

Con il secondo, lamenta la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 ed art. 39, comma 1, lett. d), in relazione al D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies ed all’art. 2697 c.c..

In particolare, il contribuente si duole che “la pretesa erariale sia fondata “esclusivamente” sull’utilizzo dello studio di settore (OMISSIS) “non evoluto”, della cui applicazione non è data spiegazione.

La doglianza non è fondata in quanto la CTR non ha basato la sua decisione esclusivamente sullo scostamento di quanto dichiarato dai parametri dello studio di settore, ma è anzi pervenuta, in esito al contraddittorio endoprocedimentale, ad una valutazione comprensiva anche delle deduzioni della contribuente. Infatti, ha ridotto, di oltre la metà, la misura dei maggiori ricavi, inizialmente contestati, da Euro 138.266,00 a Euro 56.700,00, assumendo come parametro lo studio “evoluto” (OMISSIS), rielaborato in senso più favorevole alla società, calcolando il maggior reddito imponibile in base alla differenza tra il “ricavo puntuale” emerso dallo studio di settore (OMISSIS) (Euro 486.780,00) e il ricavo dichiarato (Euro 430.080,00).

Ha adottato Il suddetto “studio” (in luogo dell’altro) proprio in base agli elementi forniti dalla società e con effetti ad essa più favorevole, dal momento che l’adozione dello studio (OMISSIS) avrebbe dato luogo ad un “ricavo puntuale” molto maggiore (Euro 548.261,00), implicante la contestazione di un reddito imponibile superiore.

L’ufficio, contrariamente a quanto asserito dalla ricorrente, ha, dunque, ben esplicato le ragioni per cui ha adottato detto studio di settore, come è desumibile dallo stesso stralcio dell’avviso di accertamento riportato, per ragioni di autosufficienza, nel ricorso.

L’Amministrazione, in definitiva, si è attenuta allo schema proprio dell’accertamento analitico induttivo mediante studi di settore, pervenendo all’accertamento non per effetto dell’esclusiva applicazione dello studio di settore, ma in esito alla combinazione e integrazione tra i parametri standardizzati e le deduzioni offerte dal contribuente, accogliendole in larga misura, anche se ritenute non sufficienti a giustificare il reddito dichiarato.

La ricorrente lamenta, infine, che la CTR abbia rilevato nell’attività d’impresa, una “diseconomia di gestione perpetuatasi nell’ultimo decennio”, inserendo tale valutazione tra le ragioni del rigetto dell’appello. La società sostiene che, in tal modo, la commissione territoriale abbia introdotto un elemento di giudizio nuovo di cui non v’è traccia nell’avviso di accertamento, esorbitando da esso. Afferma, infatti, che l’atto di accertamento delimita le ragioni della pretesa erariale e impedisce al giudice tributario di considerare circostanze nuove e diverse da quelle in esso considerate dall’Ufficio.

La doglianza appare infondata.

La CTR, invero, non ha inserito nel suo iter valutativo alcun ulteriore elemento di valutazione, rispetto a quelli posti a motivo dell’avviso di accertamento, di cui già non disponesse. Ha solo qualificato “diseconomie di gestione” i dati economici dedotti dall’Amministrazione e quindi già parte del thema decidendum. Dati indicativi di una non occasionale e marcata differenza tra il volume di affari, le componenti positive da scritture contabili e l’utile da conto economico, rappresentati dall’amministrazione in appello, come ricorda il prospetto riassuntivo riportato dall’Ufficio nel controricorso. Evidenze di bilancio qualificabili dalla CTR, alla cui valutazione erano stati sottoposti, appunto, come diseconomia di gestione, cioè circostanze che hanno indotto, l’Ufficio prima e la Commissione territoriale poi, a presumere che la prosecuzione dell’attività aziendale fosse stata possibile, malgrado la vistosa modestia degli utili, solo in forza di una redditività reale maggiore di quella dichiarata. Indizio grave, legittimante il ricorso all’accertamento mediante studi di settore, rispetto al quale la società non ha fornito motivazioni tali da rendere ingiustificata la presunzione.

E’ poi irrilevante, di per sè, che la contabilità – come sottolinea la ricorrente per sostenere l’incongruità dell’operato dell’Ufficio – sia stata considerata formalmente corretta posto che, in tema di accertamento, l’Amministrazione finanziaria può determinare il reddito del contribuente in via induttiva, pur in presenza di contabilità formalmente regolare, ove quest’ultima sia intrinsecamente inattendibile per l’antieconomicità del comportamento del contribuente (ex multis Sez. 5, Ordinanza n. 27552 del 30/10/2018).

Il ricorso va quindi rigettato, con condanna della soccombente al pagamento delle spese.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna la soccombente al pagamento in favore della controricorrente delle spese che liquida in Euro 4.000,00 oltre che delle spese liquidate a debito. Si dà atto della sussistenza dei presupposti, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 14 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 2 ottobre 2019

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