Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2455 del 04/02/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 2455 Anno 2014
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: TRIA LUCIA

SENTENZA

sul ricorso 21491-2010 proposto da:
FIORINO VITO C.F. FRNVT142B20L331Y, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA POLIBIO 15, presso lo studio
dell’avvocato LEPORE GIUSEPPE, rappresentato e difeso
dall’avvocato GALLO ACCURSIO, giusta delega in atti;
– ricorrente 2013
3076

contro

GENERALI ASSICURAZIONI DANNI S.P.A. in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA GIUSEPPE FERRARI 35, presso
lo studio dell’avvocato VINCENTI MARCO, che la

Data pubblicazione: 04/02/2014

rappresenta

e

unitamente

difende

all’avvocato

MAGADDINO ANDREA, giusta delega in atti;
– controricorrente nonchè contro

I.N.A.I.L. – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE

ANIA GIUSEPPE C.F. NAIGPP51025A176L;
– intimati –

Nonché da:
I.N.A.I.L – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE
CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO C.F. 01165400589, in
persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE
144, presso lo studio degli avvocati RASPANTI RITA,
ROSSI ANDREA, giusta delega in atti;
– controricorrente e ricorrente incidentale contro

ANIA

GIUSEPPE

C.F.

ASSICURAZIONI

NAIGPP51025A176L,

DANNI

S.P.A.

GENERALI

FIORINO

VITO

FRNVT142B20L331Y;
– intimati –

Nonché da:
ANIA GIUSEPPE c.f. NAIGPP51025A176L, domiciliato in
ROMA, VIA GROSSI GONDI FELICE 62, presso lo studio
FOTI

dell’avvocato
rappresenta

e

CARLO

difende

SEBASTIANO,
unitamente

che

lo

all’avvocato

CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO C.F. 01165400589,

PASQUALE TOCCO, giusta delega in atti;
– controricorrente e ricorrente incidentale contro

FIORINO VITO C.F. FRNVT142B20L331Y, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA POLIBIO 15, presso lo studio
dell’avvocato LEPORE GIUSEPPE, rappresentato e difeso
dall’avvocato GALLO ACCURSIO, giusta delega6n

;11„,e

– controricorrente al ricorseincidentalZ.nonchè contro

I.N.A.I.L. – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE
CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO C.F. 01165400589,
GENERALI ASSICURAZIONI DANNI S.P.A.;
– intimati –

avverso la sentenza n. 999/2009 della CORTE D’APPELLO
di PALERMO, depositata il 14/09/2009 R.G.N.
1498/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 29/10/2013 dal Consigliere Dott. LUCIA
TRIA;
udito l’Avvocato ACCURSIO GALLO;
udito l’Avvocato VINCENTI MARCO;
udito l’Avvocato ROSSI ANDREA (INAIL);
udito l’Avvocato FOTI CARLO SEBASTIANO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. PAOLA MASTROBERARDINO che ha concluso
per il rigetto del ricorso principale, rigetto

ttah/90

dell’incidentale

ANIA,

accoglimento

ricorso

incidentale INAIL.

Udienza del 29 ottobre 2013 — Aula B
n. 4 del ruolo—RG n. 21491/10
Presidente: Roselli – Relatore: Tria

1.— La sentenza attualmente impugnata, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di
Trapani n. 511/06 del 25 maggio 2006: 1) afferma che, dalla dinamica dell’infortunio sul lavoro
occorso a Giuseppe Ania il 9 dicembre 1999, si può ravvisare un concorso di colpa del lavoratore
nella misura del 30%; 2) riduce, pertanto, della suddetta misura percentuale le somme dovute dal
datore di lavoro Vito Fiorino rispettivamente all’Ania e all’INAIL; 3) conferma, per il resto, la
sentenza appellata.
La Corte d’appello di Palermo, per quel che qui interessa, precisa che:
a) Giuseppe Ania, mentre era intento alla realizzazione di un ponteggio per il rifacimento
dell’intonaco sottostante ad un viadotto autostradale, precipitò da una altezza di circa sei metri,
riportando gravi lesioni che comportarono, tra l’altro, le frattura del bacino e l’amputazione del
braccio e dell’avambraccio sinistro;
b) nell’occasione egli si trovava in compagnia di due colleghi di lavoro, che non hanno saputo
riferire nulla sulla dinamica dell’infortunio, perché in quel momento erano intenti ad eseguire altri
lavori;
c) lo stesso infortunato ha fornito, al riguardo, versioni contrastanti, prima dichiarando di
essere scivolato e poi, dinanzi a questa Corte, affermando di essere precipitato a causa della rottura
della tavola sulla quale si trovava;
d) è rimasto accertato — come risulta anche dal procedimento penale a carico del Fiorino,
definito con decreto penale di condanna — che: 1) il lavoratore non fece uso delle cinture di
sicurezza perché quelle in dotazione, essendo munite di una catena di soli cm. 60, erano inidonee
allo svolgimento del lavoro di montaggio del ponteggio, che stava eseguendo; 2) le tavole
costituenti il piano di calpestio del ponteggio non erano fissate o comunque tenute ferme onde
evitare la caduta del lavoratore; 3) tali tavole non erano in perfetto stato di conservazione; 4) i lavori
di realizzazione del ponteggio venivano svolti, in assenza della prescritta vigilanza, dal solo Ania,
nonostante la precarietà delle strutture man mano montate e la pericolosità del lavoro dovuta anche
all’altezza in cui veniva svolto;
e) ne consegue che è indubbia la responsabilità del datore di lavoro — qualunque sia la
dinamica dell’infortunio — e a tale conclusione porta anche la circostanza che il Fiorino il giorno
successivo all’incidente abbia disposto lo smontaggio del ponteggio, in quanto è chiaro che tale

1

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

condotta fu posta in essere per impedire agli organi preposti di eseguire gli opportuni accertamenti e
rilevare eventuali violazioni;

g) per quanto si è detto il concorso di colpa del lavoratore va determinato nella misura del
30%, pertanto la maggior somma richiesta in appello dall’INAIL a fronte di ulteriori prestazioni
erogate all’infortunato — la cui domanda è ammissibile, potendo l’Istituto precisare, anche in
appello, l’originario petitum deve essere ridotta nella stessa misura suindicata;

h) sui criteri adottati dal Tribunale per la liquidazione dei danni in favore dell’Ania e sulle
singole voci di danno liquidate (danno biologico ed estetico, danno morale e danno derivante dalla
capacità lavorativa specifica) non è stata mossa dal Fiorino alcuna censura, sicché sul punto si è
formato il giudicato interno;
i) deve essere confermata la sentenza di primo grado nella parte relativa al rigetto della
domanda con la quale il Fiorino ha chiesto di essere garantito dalla Generali Assicurazioni Danni
s.p.a., essendo indubbio che il rifacimento dell’intonaco sottostante ad un viadotto, previa
realizzazione di un ponteggio, rientri tra i lavori “inerenti a viadotti” che il contratto di
assicurazione, con una clausola di chiara formulazione, escludeva dalla copertura assicurativa.
2.— Il ricorso di Vito Fiorino domanda la cassazione della sentenza per quattro motivi.
Resistono, con controricorso: 1) Giuseppe Ania, che propone, a sua volta, ricorso incidentale,
per due motivi, cui replica il Fiorino con controricorso; 2) l’INAIL, che ugualmente, propone, a sua
volta, ricorso incidentale per un motivo; 3) le Assicurazioni generali s.p.a.
Vito Fiorino e l’INAIL depositano anche memorie ex art. 378 cod. proc. civ.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente tutti i ricorsi devono essere riuniti perché proposti avverso la medesima
sentenza.

I — Profili preliminari
1.— Deve essere, in primo luogo, respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso incidentale
dell’Ania proposta dal ricorrente principale — nel proprio controricorso di replica — sul duplice
rilievo: a) della mancanza, nella copia notificata, delle pagine finali dell’atto (da pagina 38 in poi);
b) dell’assenza degli elementi che consentano di individuare l’origine e l’oggetto della controversia,
lo svolgimento del processo e le posizioni assunte dalle parti, nonché della esposizione sommaria
dei fatti richiesta, a pena di decadenza, dal combinato disposto degli artt. 366, n. 3, e 371 cod. proc.
civ.
2

f) tuttavia, alla determinazione dell’evento ha contribuito anche l’Ania, che, essendo il
lavoratore più esperto “con mansioni di coordinatore degli altri operai”, avrebbe dovuto: 1) prima di
salire sul ponteggio, procedere al corretto ancoraggio delle tavole alla struttura; 2) servirsi della
scala fornitagli dal datore di lavoro; 3) farsi coadiuvare dagli altri operai nell’esecuzione dei lavori
in oggetto visto che si svolgevano all’altezza di sei metri;

Nel presente caso l’originale del controricorso con ricorso incidentale è completo e le pagine
asseritamente mancanti sono, per quanto riguarda le argomentazioni delle censure, soltanto due e,
come risulta dalle argomentazioni del controricorso di replica, la suindicata incompletezza non ha
minimamente leso il diritto di difesa del Fiorino.
1.2.- Quanto al secondo profilo, si ricorda che, in base a consolidati e condivisi indirizzi di
questa Corte:
a) nel giudizio per cassazione, l’autosufficienza del controricorso (e del ricorso incidentale,
nel caso in cui questo risulti proposto) è assicurata, ai sensi dell’art.370, secondo comma, cod. proc.
civ., e dell’art.366, primo comma, cod. proc. civ., anche quando il controricorso, come nella specie,
non contenga l’autonoma esposizione sommaria dei fatti della causa, ma si limiti a fare riferimento
ai fatti esposti nella sentenza impugnata ovvero alla narrazione di essi contenuta nel ricorso, e ciò
anche se il richiamo sia soltanto implicito (Cass. 2 febbraio 2006, n. 2262; Cass. 28 maggio 2010, n.
13140);
b) comunque, anche a volere ritenere che laddove il controricorso racchiuda anche un ricors
incidentale debba contenere, in ragione della propria autonomia rispetto al ricorso principale,
l’esposizione sommaria dei fatti di causa, ai sensi del combinato disposto degli artt. 371, terzo
comma, e 366, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. — diversamente dal semplice controricorso, che.
avendo la sola funzione di contrastare l’impugnazione altrui, non necessita dell’esposizione
sommaria dei fatti di causa, potendo richiamarsi a quanto già esposto nel ricorso principale (Cass.
11 gennaio 2006, n. 241) — in ogni caso, sotto il suddetto profilo, il ricorso incidentale è da
considerare inammissibile ove si limiti ad un mero rinvio all’esposizione del fatto contenuta nel
ricorso principale, mentre il requisito imposto dal citato art. 366 cod. proc. civ. può reputarsi
sussistente quando, nel contesto dell’atto di impugnazione, si rinvengano gli elementi indispensabili
per una precisa cognizione dell’origine e dell’oggetto della controversia, dello svolgimento del
processo e delle posizioni assunte dalla parti, senza necessità di ricorso ad altre fonti (Cass. 8
gennaio 2010, n. 76; Cass. 27 luglio 2005, n. 15672; Cass. 29 luglio 2004, n. 14474).
Ne consegue che, nella specie, è da escludere l’inammissibilità del controricorso del
lavoratore contenente il ricorso incidentale perché, diversamente da quanto sostiene il Fiorino, dalla
lettura dell’atto risulta che il ricorrente incidentale ha rappresentato i fatti, sostanziali e processuali
in modo adeguato a far intendere immediatamente il significato e la portata delle critiche rivolte alla
sentenza impugnata senza dover ricorrere al contenuto di altri atti del processo.
3

1.1.- Con riguardo al primo profilo, va osservato che per costante e condiviso orientamento di
questa Corte, ai fini del riscontro degli atti processuali deve aversi riguardo agli originali e non alle
copie, per cui l’eventuale mancanza di una o più pagine (nella specie, tre) nella copia del ricorso per
cassazione notificata può assumere rilievo soltanto se lesiva del diritto di difesa. Ciò, peraltro, va
escluso quando le pagine omesse risultino irrilevanti al fine di comprendere il tenore della difesa
avversaria e quando l’atto di costituzione della parte contenga una puntuale replica alle deduzioni
contenute nell’atto notificato, comprese quelle contenute nella parte mancante (Cass. SU 22
febbraio 2007, n. 4112, indirizzo consolidato, vedi, fra le tante: Cass. 22 gennaio 2010, n. 1213).

II — Sintesi dei motivi del ricorso principale

2.— Il ricorso principale è articolato in quattro motivi.
2.1.- Con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ.,
insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo del giudizio, in
riferimento alla dinamica del sinistro.
Si sostiene che la Corte palermitana sarebbe giunta all’erronea conclusione di addossare al
lavoratore solo il 30% della responsabilità del sinistro — anziché la esclusiva responsabilità o
comunque una maggiore percentuale di responsabilità — perché dopo avere, contraddittoriamente,
assunto come “pacifiche” alcune circostanze del fatto che (invece, non sono state provate), poi, in
modo ulteriormente contraddittorio, ha affermato la corresponsabilità dell’Ania per non aver
proceduto, prima di salire sul ponteggio, al corretto ancoraggio delle tavole della struttura,
servendosi della scala fornita dal datore di lavoro e facendosi coadiuvare dagli altri operai
nell’esecuzione dei lavori che stava svolgendo.
Ad avviso del Fiorino, le suddette circostanze del fatto, a suo dire, sfornite di prova sarebbero:
a) la dipendenza del mancato uso delle cinture di sicurezza, da parte dell’Ania, dalla loro inidoneità
all’uso, perché essendo dotate di una catena lunga soli cm. 60 non consentivano al lavoratore di
effettuare gli spostamenti necessari per eseguire il lavoro di montaggio del ponteggio, cui era
intento al momento dell’infortunio; b) il fatto che le tavole costituenti il piano di calpestio del
ponteggio non erano fissate o comunque tenute ferme in modo tale da evitare che cadessero; c) il
fatto che le tavole stesse non erano in perfetto stato di conservazione; d) il fatto che i lavori di
montaggio del ponteggio erano eseguiti dal solo Ania senza la collaborazione degli altri operai,
nonostante la precarietà della strutture che venivano man mano montate.
Ne consegue che dalla lettura dei due brani della motivazione della sentenza impugnata nei
quali vengono, rispettivamente, esaminate le responsabilità del Fiorino e quelle dell’Ania nella
causazione del sinistro si desumerebbe — data la loro contraddittorietà — che la Corte territoriale ha
omesso di individuare l’esatta dinamica dell’infortunio.
Infatti, la Corte non ha appurato se la caduta dell’Ania sia stata dovuta ad un accidentale
scivolata del piede sulla tavola ovvero alla rottura della tavola stessa, elemento che era
fondamentale chiarire.
2.2.- Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ.,
violazione e falsa applicazione dell’art. 2087 cod. civ.
Si ribadiscono, da altra angolazione, le censure già esposte nel precedente motivo, ponendo
l’accento sul fatto che, diversamente da quanto affermato dalla Corte d’appello, il datore di lavoro,
rispettando l’art. 2087 cod. civ., aveva fornito ai propri dipendenti tutti i presidi di sicurezza
necessari per il tipo di lavorazione in oggetto.
D’altra parte, la Corte palermitana non poteva fondare il proprio convincimento su alcune
circostanze contestate al Fiorino nel procedimento penale a suo carico, definito con decreto penale
4

a

di condanna del Tribunale di Enna, visto che tale atto non può fare stato nel processo civile ex art.
460 cod. proc. pen. e neppure in tale processo hanno efficacia probatoria diretta gli atti raccolti nel
suddetto procedimento penale, non conclusosi con una sentenza dibattimentale.

Infatti, a prescindere dal valore giuridico nullo da attribuire alla suddetta “presunzione di
colpevolezza -, comunque è emerso in modo inequivocabile, nella fase istruttoria del giudizio di
primo grado, che il ponteggio è stato smontato non per ordine datoriale, bensì per applicazione della
prassi abituale secondo cui tutti i venerdì i ponteggi venivano smontati, per timore di furti.
Né possono esservi dubbi sul fatto che l’Ania fungesse da caposquadra e avesse maggiore
esperienza di tutti gli altri lavoratori del cantiere, avendo nella sostanza la direzione esecutiva del
cantiere e degli altri operai.
Infine, secondo il Fiorino, non essendovi alcuna responsabilità del datore di lavoro, avrebbe
dovuto essere rigettata anche la domanda di rivalsa dell’INAIL.
2.3.- Con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., violazione
e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1370 cod. civ., con riferimento al contenuto del contratto di
assicurazione, stipulato dal Fiorino con le Assicurazioni generali s.p.a.
Si contesta la decisione della Corte palermitana di rigetto della censura del Fiorino con la
quale si impugnava la decisione di primo grado ove ha respinto la domanda di garanzia proposta dal
datore di lavoro nei confronti di Assicurazioni generali s.p.a.
Si sostiene che, diversamente da quanto ritenuto dal giudice di primo grado e dalla Corte
d’appello, la clausola del contratto di assicurazione di esclusione della copertura per i lavori inerenti
ponti. viadotti e gallerie non avrebbe dovuto considerarsi applicabile nella specie, in quanto la
lavorazione cui era intento l’Ania al momento del sinistro consisteva nella realizzazione di un
ponteggio per il rifacimento dell’intonaco sottostante un viadotto autostradale.
Il fatto che l’allestimento del ponteggio avvenisse sotto un viadotto per eseguire futuri lavori
di manutenzione dovrebbe portare ad escludere che si trattasse di lavorazione “inerente” al viadotto,
perché essa non si svolgeva – sopra” al viadotto – con i conseguenti pericoli – ma al di sotto dello
stesso. come attività a sé stante.
2.4.- Con il quarto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., erronea
e/o omessa decisione su un punto fondamentale della controversia, relativamente alla liquidazione
del danno e alle sue componenti.

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Neanche la Corte territoriale avrebbe potuto ritenere che il Fiorino il giorno successivo
all’incidente avesse disposto che il ponteggio dal quale è caduto l’Ania venisse smontato al fine di
impedire agli organi all’uopo preposti di eseguire gli opportuni accertamenti e rilevare eventuali
violazioni alla normativa antinfortunistica.

Si censura la decisione della Corte palermitana di avere ritenuto passata in giudicato la parte
della sentenza di primo grado relativa ai criteri ivi adottati per la liquidazione dei danni e alle voci
liquidate.
Si sostiene che il Fiorino nell’atto di appello aveva contestato la disposta liquidazione del
danno biologico posta a carico del datore di lavoro, già compresa nella copertura assicurativa
dell’INAIL ai sensi del d.lgs. n. 38 del 2000.

III — Sintesi dei motivi del ricorso incidentale di Giuseppe Ania
3.— Il suddetto ricorso incidentale è articolato in due motivi.
3.1.- Con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ.,
insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia prospettato
dalle parti, in riferimento alla dinamica del sinistro.
In modo speculare rispetto al Fiorino, l’Ania sostiene che la Corte territoriale avrebbe errato
ad attribuire il 30% della responsabilità dell’accaduto al lavoratore e che la motivazione della
sentenza impugnata adottata sul punto sarebbe viziata, nei suddetti sensi.
Infatti — a parte la dichiarazione resa in ospedale nell’immediatezza del fatto alla Questura di
Enna, nella quale il lavoratore ha riferito di essere scivolato dalla tavola sulla quale si trovava — in
realtà, dall’istruttoria svolta è emerso con chiarezza che la tavola di appoggio si è spezzata sotto il
peso dell’Ania, il quale non indossava la cintura fornitagli perché era munita di una catena troppo
corta (circa cm. 60) per potere svolgere il lavoro di costruzione del ponteggio cui era intento al
momento dell’incidente e per tale motivo è precipitato nel vuoto da un’altezza di circa sei metri,
subendo le gravi lesioni accertate dalla CTU medica.
Il lavoratore stesso, sentito dalla Corte d’appello, ha rettificato l’originaria versione dei fatti,
spiegando di averla fornita quando era gravato da intensissimi dolori al braccio lesionato.
Dalla stessa istruttoria è emerso che l’Ania aveva inutilmente chiesto al datore di lavoro di
fornire agli operai cinture di sicurezza dotate di catene più lunghe di quelle utilizzate e di sostituire i
tavoloni di legno (che erano usurati) con pedane di metallo.
In questa situazione la motivazione posta a base del rilevato concorso di colpa del lavoratore
sarebbe del tutto contraddittoria, in quanto la Corte, dopo avere individuato una serie di mancanze
del datore di lavoro da sole idonee a determinare il verificarsi dell’evento — fornitura di cinture di
sicurezza inidonee alle lavorazioni da eseguire, utilizzazione di tavole non perfettamente adeguate,
omessa vigilanza dell’esecuzione dei lavori particolarmente pericolosi da svolgere e così via —
perviene a configurare il concorso di colpa dell’Ania facendo riferimento a tre ulteriori elementi
inidonei al suddetto fine.

6

Si sostiene che il Fiorino poteva essere condannato al risarcimento del solo danno morale,
essendo intervenuto il decreto penale di condanna a suo carico.

Tuttavia la stessa Corte, con riguardo alle tre suddette circostanze, non considera che: 1)
l’ancoraggio delle tavole non avrebbe impedito che la tavola sulla quale si trovava il lavoratore si
spezzasse, tanto più che sembra che la tavola spezzata fosse ben posizionata, ancorché non
agganciata, non essendo previsti sistemi di aggancio delle tavole con elementi di ferro del
ponteggio; 2) l’eventuale utilizzazione della scala in dotazione — peraltro, di altezza insufficiente a
raggiungere i sei metri — non avrebbe potuto influire sul verificarsi dell’evento, perché il lavoratore
è caduto quando ormai si trovava sul piano di lavoro e non nell’atto di salire per raggiungerlo; 3)
l’organizzazione del lavoro era determinata dal Fiorino e non era nella disponibilità di un
dipendente distrarre altri colleghi dalle mansioni loro assegnate per altre operazioni, comunque un
maggiore peso sul tavolone sul quale si trovava l’Ania (dovuto alla ipotetica presenza di colleghi)
avrebbe facilitato e non certo impedito la rottura del tavolone stesso.
Ad avviso dell’Ania, la motivazione della sentenza impugnata non è solo contraddittoria e
illogica, per quanto si è detto, ma è anche insufficiente, visto che la Corte palermitana non ha
spiegato le ragioni che l’hanno indotta a ritenere che i suddetti tre elementi avrebbero potuto
impedire il sinistro o influire sulle sue conseguenze, sì da giustificare il concorso di colpa del
lavoratore.
3.2.- Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ.,
violazione e falsa applicazione delle seguenti disposizioni: art. 2087 cod. civ.; art. 4 del d.P.R. 27
aprile 1955, n. 547; artt. 10, 16, 17, 23, 38 e ss. del d.P.R. 7 gennaio 1956, n. 164; artt. 2049 e 2050
cod. civ.; artt. 3, 4, 21, 22, 35, 36, 37, 40 e ss. del d.lgs. n. 626 del 1994.
Si sostiene che la Corte palermitana abbia deciso questioni di diritto in modo non conforme
alla giurisprudenza di legittimità, senza offrire elementi validi per giustificare il proprio dissenso.
In particolare, si fa riferimento all’attribuzione all’Ania di un ruolo e di una funzione diverse
da quelle sue proprie di semplice muratore.
Si rileva che dalla circostanza che il Fiorino quando era assente dava le direttive all’Ania,
come dipendente più anziano, non si poteva desumere che questi fosse responsabile della sicurezza.
Si sottolinea, altresì, che la Corte d’appello non ha attribuito il dovuto rilievo al fatto che il
datore di lavoro non aveva predisposto alcuna vigilanza per l’esecuzione dei lavori e l’uso delle
cinture di sicurezza, né aveva fatto frequentare ai dipendenti dei corsi di formazione sui rischi del
lavoro e neppure aveva previsto dei piani di sicurezza adeguati.
Del resto, i ponteggi sono per loro natura strutture pericolose e come tali avrebbero dovuto
essere trattati, invece nella specie non è stata adottata alcuna misura volta a garantire i lavoratori dal
rischio di cadute, nella fase di montaggio delle impalcature.
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La Corte, infatti, sottolinea che, essendo l’Ania, il lavoratore più esperto, con mansioni di
coordinatore degli altri operai, avrebbe dovuto: 1) prima di salire sul ponteggio, procedere al
corretto ancoraggio delle tavole alla struttura; 2) servirsi della scala fornitagli dal datore di lavoro;
3) farsi coadiuvare dagli altri operai nell’esecuzione dei lavori in oggetto visto che si svolgevano
all’altezza di sei metri.

L’Ania aveva fatto precise richieste al riguardo,che però non sono state prese in
considerazione dal Fiorino.
Comunque, è da escludere che la condotta del lavoratore, anche se imprudente, possa
configurare un’ipotesi di “rischio elettivo” e quindi è da escludere che possa configurarsi un
concorso di colpa del lavoratore stesso, anche se esperto, in conformità con la consolidata
giurisprudenza di legittimità.

4.— Con il motivo del ricorso incidentale l’Istituto denuncia, in relazione all’art. 360, n. 3, cod.
proc. civ., violazione degli artt. 10 e 11 del d.P.R. n. 1124 del 1965.
Si contesta il punto della sentenza impugnata in cui la Corte palermitana, dopo aver accertato
il concorso di colpa della vittima dell’infortunio sul lavoro determinandolo nella misura del 30%,
ha, per questo solo fatto, ridotto, in pari misura, l’ammontare delle somme richieste dall’INAIL in
via di rivalsa nei confronti del datore di lavoro dell’infortunato.
Si sottolinea che, nel corso del giudizio, non vi era stata alcuna contestazione sugli importi
richiesti dall’Istituto, né era stato allegato o provato che si trattava di somme di importo superiore al
danno conseguibile dal lavoratore infortunato.
Peraltro, il capo della sentenza di primo grado relativo alla determinazione di tali somme non
era stato impugnato, sicché almeno la somma capitale non avrebbe potuto essere ridotta, pur in
presenza del concorso di colpa del lavoratore.
V — Esame dei primi due motivi del ricorso principale e dei ricorsi incidentali di
Giuseppe Ania e dell’INAIL
5.- Per le ragioni di seguito esposte, il ricorso principale è da respingere, mentre sono da
accogliere i due ricorsi incidentali.
Inoltre, per chiarezza espositiva, appare opportuno esaminare per primi i primi due motivi del
ricorso principale e, a seguire, il ricorso incidentale dell’Ania e quello dell’INAIL e, infine, gli
ultimi due motivi del ricorso principale.
6.- Sia i primi due motivi del ricorso principale sia i due motivi del ricorso incidentale
dell’Ania contestano — da opposte prospettive — la sentenza impugnata nella parte relativa alla
ricostruzione dell’infortunio e in particolare alla valutazione del comportamento del lavoratore, che
ha portato la Corte palermitana ad affermare che la condotta colposa dell’Ania avrebbe concorso
nella misura del 30% al verificarsi del sinistro.
In estrema sintesi:
1) il ricorrente principale sostiene che la Corte palermitana, in applicazione dell’art. 2087 cod.
civ., avrebbe dovuto attribuire al lavoratore la esclusiva responsabilità o comunque una maggiore
percentuale di responsabilità della causazione del sinistro e che, comunque, la motivazione sul
8

IV — Sintesi del motivo del ricorso incidentale dell’INAIL

2) il ricorrente incidentale Ania, specularmente, afferma che, in applicazione del medesimo
art. 2087 cod. civ. e delle altre norme antinfortunistiche richiamate la Corte d’appello avrebbe
dovuto considerare le accertate mancanze del datore di lavoro — fornitura di cinture di sicurezza
inidonee alle lavorazioni da eseguire, utilizzazione di tavole non perfettamente adeguate, omessa
vigilanza dell’esecuzione dei lavori particolarmente pericolosi da svolgere e così via — idonee da
sole a determinare il verificarsi dell’evento, mentre è pervenuta, con motivazione contraddittoria e
carente, a configurare il concorso di colpa dell’Ania facendo riferimento a tre ulteriori elementi —
mancata effettuazione del corretto ancoraggio delle tavole al ponteggio prima di salirvi, non
utilizzazione della scala fornita dal datore di lavoro, mancata richiesta di collaborazione agli altri
operai nell’esecuzione dei lavori in oggetto visto che si svolgevano all’altezza di sei metri — del
tutto inadeguati al suddetto fine.
7.- In linea generale, deve essere ricordato che la deduzione con il ricorso per cassazione di un
vizio di motivazione della sentenza impugnata non conferisce al Giudice di legittimità il potere di
riesaminare il merito della vicenda processuale, bensì la sola facoltà di controllo della correttezza
giuridica e della coerenza logica delle argomentazioni svolte dal Giudice del merito, non essendo
consentito alla Corte di cassazione di procedere ad una autonoma valutazione delle risultanze
probatorie, sicché le censure concernenti il vizio di motivazione non possono risolversi nel
sollecitare una lettura delle risultanze processuali diversa da quella accolta dal Giudice del merito
(vedi, tra le tante: Cass. 18 ottobre 2011, n. 21486; Cass. 20 aprile 2011, n. 9043; Cass. 13 gennaio
2011, n. 313; Cass. 3 gennaio 2011, n. 37; Cass. 3 ottobre 2007, n. 20731; Cass. 21 agosto 2006, n.
18214; Cass. 16 febbraio 2006, n. 3436; Cass. 27 aprile 2005, n. 8718).
Infatti, la prospettazione da parte del ricorrente di un coordinamento dei dati acquisiti al
processo asseritamente migliore o più appagante rispetto a quello adottato nella sentenza
impugnata, riguarda aspetti del giudizio interni all’ambito di discrezionalità di valutazione degli
elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti che è proprio del giudice del merito, in base al
principio del libero convincimento del giudice, sicché la violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc.
civ. è apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui
all’art. 360, primo comma, numero 5, cod. proc. civ., e deve emergere direttamente dalla lettura
della sentenza, non già dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità (Cass. 26
marzo 2010, n. 7394; Cass. 6 marzo 2008, n. 6064; Cass. 20 giugno 2006, n. 14267; Cass. 12
febbraio 2004, n. 2707; Cass. 13 luglio 2004, n. 12912; Cass. 20 dicembre 2007, n. 26965; Cass. 18
settembre 2009, n. 20112).
7.1.- Nella specie il Giudice di appello — sulla base della valutazione del materiale probatorio
— ha accertato che: 1) l’Ania, al momento del sinistro era intento alla realizzazione di un ponteggio
per il rifacimento dell’intonaco sottostante ad un viadotto autostradale; 2) è precipitato da una
altezza di circa sei metri, riportando gravi lesioni che comportarono, tra l’altro, le frattura del bacino
e l’amputazione del braccio e dell’avambraccio sinistro; 3) nonostante la non coincidenza delle
9

punto sarebbe contraddittoria o carente in quanto la Corte territoriale ha omesso di appurare se la
caduta del lavoratore è stata determinata da una accidentale scivolata del piede sulla tavola dove
lavorava ovvero dalla rottura della tavola stessa;

Sulla base di tali elementi la Corte palermitana, con congrua motivazione, ha affermato la
responsabilità del Fiorino, così facendo corretta applicazione dell’art. 2087 cod. civ. e della
normativa antinfortunistica antecedente il d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, da applicare nella specie.
In base a tale normativa, infatti, in caso di esecuzione di opere di montaggio o smontaggio
delle impalcature trovano applicazione sia la norma generale dell’art. 10 del d.P.R. n. 164 del 1956
— che, in riferimento a qualsiasi opera che esponga i lavoratori a rischi di caduta dall’alto, impone
l’utilizzazione della cintura di sicurezza debitamente agganciata qualora non sia possibile disporre
di impalcati di protezione o parapetti — sia l’art. 2087 cod. civ. — che impone l’adozione delle
opportune misure antinfortunistiche in caso di situazioni non direttamente contemplate dalla
normativa antinfortunistica, ogni volta in cui non sia accertata l’impossibilità di caduta degli operai
da qualunque punto del piano di lavoro, per effetto di specifici apprestamenti — sia, infine, l’art. 17
del citato d.P.R. n. 164 del 1956, che impone all’imprenditore o alla persona da lui nominata di
provvedere alla diretta sorveglianza dei lavori di montaggio e smontaggio delle opere provvisionali
e quindi di impedire, quale destinatario delle norme antinfortunistiche, che i lavoratori operino
prima che siano stati predisposti adeguati sistemi per garantire la loro sicurezza (vedi, per tutte:
Cass. 11 maggio 2002, n. 6769; Cass. 25 agosto 1995, n. 9000).
8.- Ne consegue che il Fiorino non può certamente dolersi della pretesa illogicità e
contraddittorietà della motivazione relativa alla affermazione della Corte palermitana della
sussistenza della responsabilità del datore di lavoro per le lesioni riportate dal lavoratore né, tanto
meno, della violazione dell’art. 2087 cod. civ. sul punto.
Questo comporta il rigetto dei primi due motivi del ricorso principale.
9.- I suddetti vizi sono, invece, riscontrabili con riguardo alla parte della motivazione nella
quale è stato affermato il concorso di colpa del lavoratore, nella misura del 30%.
Per costante orientamento di questa Corte, cui il Collegio intende dare continuità:
a) le norme dettate in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro sono dirette a tutelare il
lavoratore non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma anche da quelli ascrivibili
10

versioni sulla dinamica del sinistro fornite dall’interessato (rispettivamente alla Questura di Enna
durante il ricovero ospedaliero successivo al sinistro e poi in sede giudiziaria), ciò che conta è che è
comunque rimasto acclarato — anche dal procedimento penale a carico del Fiorino, definito con
decreto penale di condanna, dai cui atti si possono attingere elementi di giudizio, in base
all’orientamento costante di questa Corte (vedi, da ultimo, Cass. 26 novembre 2013, n. 26401) —
che: a) il lavoratore non fece uso delle cinture di sicurezza perché quelle in dotazione, essendo
munite di una catena di soli cm. 60, erano inidonee allo svolgimento del lavoro di montaggio del
ponteggio, che stava eseguendo; b) le tavole costituenti il piano di calpestio del ponteggio non erano
fissate o comunque tenute ferme onde evitare la caduta del lavoratore; c) tali tavole non erano in
perfetto stato di conservazione; d) i lavori di realizzazione del ponteggio venivano svolti, in assenza
della prescritta vigilanza, dal solo Ania, nonostante la precarietà delle strutture man mano montate e
la pericolosità del lavoro dovuta anche all’altezza in cui veniva svolto.

b) in materia di prevenzione dagli infortuni sul lavoro, il d.P.R. n. 547 del 27 aprile 1955, con
indicazioni che hanno trovato conferma nel sistema delineato dal d.lgs. n. 626 del 19 settembre
1994, prevede una distribuzione di responsabilità ripartita in via gerarchica tra datore di lavoro,
dirigenti e preposti, figura, quest’ultima, che ricorre nel caso in cui il datore di lavoro, titolare di
una attività aziendale complessa ed estesa, operi per deleghe secondo vari gradi di responsabilità, e
che presuppone uno specifico addestramento a tale scopo, nonché il riconoscimento, con mansioni
di caposquadra, della direzione esecutiva di un gruppo di lavoratori e dei relativi poteri per
l’attribuzione di compiti operativi nell’ambito dei criteri prefissati (Cass. 15 dicembre 2008, n.
29323);
c) peraltro, l’attribuzione a un soggetto della qualità di “preposto” ai fini del suo
assoggettamento agli obblighi previsti dall’art. 4 del d.P.R. n. 547 del 1955, va fatta, con
riferimento alle mansioni effettivamente svolte nell’ambito dell’impresa e non in base alla formale
qualificazione giuridica attribuita (Cass. 16 febbraio 2012, n. 2251; Cass. 6 novembre 2000, n.
1444).
9.1.- Ne deriva che, essendo, pacificamente, da escludere che, nella specie, ricorra l’ipotesi
del cd. rischio elettivo (idoneo ad interrompere il nesso causale, ma ravvisabile solo quando
l’attività posta in essere dal prestatore non sia in rapporto con lo svolgimento del lavoro o sia
esorbitante dai limiti di esso), gli elementi accertati dalla Corte palermitana in ordine alle mancanze
ascrivibili al Fiorino avrebbero dovuto considerarsi da soli sufficiente ad affermarne la esclusiva
responsabilità nella causazione del sinistro, in base alla citata normativa, a partire dall’art. 2087 cod.
civ.
Per completezza, va precisato che laddove la Corte d’appello ha affermato la sussistenza di un
concorso di colpa del lavoratore — oltretutto determinandone la misura nel 30%, senza alcuna
giustificazione — non solo si è discostata dall’anzidetta normativa, ma lo ha fatto con motivazione
carente e illogica perché basata sul richiamo ad elementi in parte del tutto irrilevanti (come la
mancata utilizzazione della scala fornita dal datore di lavoro, visto che l’Ania già era giunto sul
posto di lavoro al momento del sinistro) e in parte non ascrivibili all’Ania, che essendo privo della
qualità di “preposto” e della connessa direzione esecutiva dei lavoratori, non poteva sostituirsi al
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ad imperizia, negligenza ed imprudenza dello stesso, con la conseguenza che il datore di lavoro è
sempre responsabile dell’infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee
misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso
da parte del dipendente, non potendo attribuirsi alcun effetto esimente, per l’imprenditore,
all’eventuale concorso di colpa del lavoratore, la cui condotta può comportare l’esonero totale del
medesimo imprenditore da ogni responsabilità solo quando presenti i caratteri dell’abnormità,
inopinabilità ed esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute, così da
porsi come causa esclusiva dell’evento, essendo necessaria, a tal fine, una rigorosa dimostrazione
dell’indipendenza del comportamento del lavoratore dalla sfera di organizzazione e dalle finalità del
lavoro, e, con essa, dell’estraneità del rischio affrontato a quello connesso alle modalità ed esigenze
del lavoro da svolgere (Cass. 10 settembre 2009, n. 19494; Cass. 23 aprile 2009, n. 9689; Cass. 25
febbraio 2011, n. 4656);

Fiorino nel dare disposizioni in merito all’ancoraggio delle tavole alla struttura ovvero allo
svolgimento delle mansioni impartitegli con la collaborazione degli altri operai (data l’altezza di sei
metri da terra).

10.- I vizi rilevati in merito all’affermazione del concorso di colpa dell’Ania nella
determinazione del sinistro — pari al 30% — si riflettono anche nella parte della motivazione nella
quale la Corte palermitana ha ridotto nella medesima percentuale l’ammontare delle maggiori
somme richieste dall’INAIL al Fiorino, in via di rivalsa, oltretutto senza previamente determinare,
come in qualsiasi altra ipotesi di rivalsa, l’ammontare del danno risarcibile in relazione alla misura
dell’accertato concorso di colpa e, quindi, verificare se sulla somma così determinata vi sia capienza
per la rivalsa dell’INAIL, procedendo, solo in caso di esito negativo di tale accertamento, a ridurre
la somma spettante all’Istituto per le prestazioni erogate all’assicurato (o ai suoi eredi) in modo che
la stessa non superi quanto dovuto dal danneggiante, come stabilito dalla costante e condivisa
giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis: Cass. 2 febbraio 2010, n. 2350; Cass. 11 dicembre
2001, n. 15633; Cass. 16 giugno 2000, n. 8196; Cass. 3 ottobre 2000, n. 13121; Cass. 20 agosto
1996, n. 7669).
Ne consegue l’accoglimento del ricorso incidentale dell’INAIL.
VI — Esame del terzo e del quarto motivo del ricorso principale
11.- Per quel che riguarda il terzo motivo del ricorso principale, va ricordato che, in base a
consolidati e condivisi indirizzi di questa Corte:
a) l’interpretazione della volontà delle parti in relazione al contenuto di un contratto o di una
qualsiasi clausola contrattuale — che, comporta indagini e valutazioni di fatto affidate al potere
discrezionale del giudice del merito, non sindacabili in sede di legittimità ove non risultino violati i
canoni normativi di ermeneutica contrattuale e non sussista un vizio nell’attività svolta dal giudice
di merito, tale da influire sulla logicità, congruità e completezza della motivazione — può essere
censurata per erroneità nel ricorso per cassazione, ma il ricorrente, in applicazione del principio di
specificità dei motivi di ricorso, ha l’onere di trascrivere integralmente le clausole contestate in
quanto al giudice di legittimità è precluso l’esame degli atti per verificare la rilevanza e la
fondatezza della censura e deve, inoltre, precisare quali norme ermeneutiche siano state in concreto
violate e specificare in qual modo e con quali considerazioni il giudice di merito se ne sia discostato
(vedi, tra le tante: Cass. 18 novembre 2005, n. 24461; Cass. 6 febbraio 2007, n. 2560; Cass. 31
gennaio 2006, n. 2128);
b) in tema di interpretazione del contratto — che costituisce operazione riservata al giudice di
merito, le cui valutazioni sono censurabili in sede di legittimità soltanto per violazione dei canoni
legali di ermeneutica contrattuale o per vizio di motivazione — ai fini della ricerca della comune
intenzione dei contraenti, il principale strumento è rappresentato dal senso letterale delle parole e
delle espressioni utilizzate nel contratto, il cui rilievo deve essere verificato alla luce dell’intero
contesto contrattuale, sicché le singole clausole vanno considerate in correlazione tra loro, dovendo
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Di qui l’accoglimento del ricorso incidentale dell’Ania.

11.1.- Nella specie, la pur parziale trascrizione delle clausole la cui interpretazione è
contestata dal Fiorino consente di respingere il motivo in quanto dalle relative argomentazioni si
desume ictu ocu/i che, con esse, più che denunciarsi la mancata osservanza dei criteri legali di
ermeneutica contrattuale, si contrappone l’interpretazione proposta dal ricorrente a quella accolta
nella sentenza impugnata, oltretutto con argomentazioni in parte erronee e in parte palesemente
illogiche nelle quali si sostiene che:
a) la intenzione dei contraenti non dovrebbe desumersi dal “mero senso letterale delle parole”,
mentre come si è detto, in base all’art. 1362 cod. civ., come interpretato da questa Corte, ai fini
della ricerca della comune intenzione dei contraenti, il principale strumento è rappresentato dal
senso letterale delle parole e delle espressioni utilizzate nel contratto, se di significato inequivoco;
b) la ragione della concordata esclusione della garanzia assicurativa per “i lavori inerenti a
ponti, viadotti e gallerie” è stata quella del maggior grado di pericolosità di tali lavori “a causa
dell’altezza” nella quale vengono svolti, senza considerare tale elemento caratterizza la presente
fattispecie, nella quale il lavoratore si è infortunato cadendo da una altezza da circa sei metri.
Se a tutto ciò si aggiunge che il concetto stesso di “inerenza” non può far sorgere alcun
dubbio sull’esattezza dell’interpretazione dei Giudici del merito in ordine alla clausola di cui si
tratta, se ne desume il rigetto del motivo de quo.
12.- Il quarto motivo del ricorso principale è inammissibile.
12.1.- A prescindere dal fatto che il tipo di vizio denunciato è configurabile più che come
vizio di motivazione, come error in procedendo — prospettabile ai sensi del n. 4 dell’art. 360 e che
consente a questa Corte l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito a
differenza della censura di vizio di motivazione — va comunque precisato che il suddetto esame
presuppone l’ammissibilità del motivo di censura, essendo, quindi, circoscritto al passaggio dello
sviluppo processuale in cui il vizio denunciato si colloca onde la Corte possa verificare la
fondatezza del motivo di ricorso
Peraltro la suddetta ammissibilità postula, tra l’altro, il rispetto del principio della specificità
della deduzione della censura.
Tale principio — che trova la propria ragion d’essere nella necessità di consentire al giudice di
legittimità di valutare la fondatezza del motivo senza dover procedere all’esame dei fascicoli di
ufficio o di parte — vale anche in relazione ai motivi di appello rispetto ai quali si denuncino errori
da parte del giudice di merito, sicché ove il ricorrente contesti l’interpretazioni che di tali motivi ha
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procedersi al loro coordinamento a norma dell’art. 1363 cod. civ. e dovendosi intendere per “senso
letterale delle parole” tutta la formulazione letterale della dichiarazione negoziale, in ogni sua parte
ed in ogni parola che la compone, e non già in una parte soltanto, quale una singola clausola di un
contratto composto di più clausole, dovendo il giudice collegare e raffrontare tra loro frasi e parole
al fine di chiarirne il significato (vedi, tra le altre: Cass. 26 febbraio 2009, n. 4670; Cass. 23 aprile
2010, n. 9786; Cass. 29 settembre 2005, n. 19140).

dato la Corte d’appello deve riportare nel ricorso, nel loro impianto specifico, i predetti motivi come
formulati (vedi, per tutte: Cass. 10 gennaio 2012, n. 86; Cass. 21 maggio 2004, n. 4734).

12.2.- Nella specie, il Fiorino non riproduce nel presente ricorso le parti dell’atto di appello
nella quali sarebbe contenuta la propria contestazione della liquidazione del danno biologico in
favore dell’Ania, che smentirebbe l’affermazione della Corte palermitana secondo cui si è formato
il giudicato interno sul punto.

VII

Conclusioni

13. In sintesi, il ricorso principale deve essere respinto e i due ricorsi incidentali vanno
accolti, la sentenza impugnata deve essere, quindi, cassata, con rinvio, anche per le spese del
presente giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Caltanissetta, che si atterrà, nell’ulteriore
esame del merito della controversia, a tutti i principi su affermati e, quindi, anche ai seguenti:


1) “in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro e, in particolare, in caso di esecuzione
di opere di montaggio o smontaggio delle impalcature e di lavorazioni che espongano i lavoratori a
rischi di caduta dall’alto — cui si collegano sia l’obbligo per il dipendente dell’utilizzazione della
cintura di sicurezza debitamente agganciata qualora non sia possibile disporre di impalcati di
protezione o parapetti, sia l’obbligo per l’imprenditore o la persona da lui nominata di provvedere
alla diretta sorveglianza dei lavori di montaggio e smontaggio delle opere provvisionali e quindi di
impedire, quale destinatario delle norme antinfortunistiche, che i lavoratori operino senza adeguati
sistemi volti a garantire la loro sicurezza — il datore di lavoro è sempre responsabile dell’infortunio
occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia quando non
accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente, se non
viene specificamente dimostrato che ricorrono tutti gli elementi propri dell’ipotesi del cd. rischio
elettivo. Ne consegue che è da ascrivere all’esclusiva responsabilità del datore di lavoro l’infortunio
occorso ad un lavoratore precipitato al suolo mentre era intento alla realizzazione di un ponteggio
all’altezza di circa sei metri da terra ove — pur in mancanza di una precisa ricostruzione della
dinamica del fatto in tutti i suoi particolari — sia stato accertato, anche attingendo elementi di
giudizio dall’esame degli atti anche dal procedimento penale a carico del datore di lavoro definito
con decreto penale di condanna, che: a) il lavoratore non aveva fatto uso delle cinture di sicurezza
perché quelle in dotazione, erano munite di una catena troppo corta per l’esecuzione del lavoro di
montaggio del ponteggio; b) le tavole costituenti il piano di calpestio del ponteggio (ove operava il
lavoratore) non erano fissate o comunque tenute ferme onde evitare la caduta del lavoratore stesso;
c) tali tavole non erano in perfetto stato di conservazione; d) i lavori di realizzazione del ponteggio
venivano svolti, in assenza della prescritta vigilanza, dal lavoratore infortunatosi da solo, nonostante
la precarietà delle strutture man mano montate e la pericolosità del lavoro dovuta anche all’altezza
in cui veniva svolto”;
2) “in materia di prevenzione dagli infortuni sul lavoro, ai fmi della ripartizione di
responsabilità stabilita, in via gerarchica, tra datore di lavoro, dirigenti e preposti, la figura del
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Ciò impedisce a questo Giudice di legittimità di verificare la fondatezza delle censure
formulate al riguardo e determina l’inammissibilità del quarto motivo del ricorso principale.

preposto ricorre nel caso in cui il datore di lavoro, titolare di una attività aziendale complessa ed
estesa, operi per deleghe secondo vari gradi di responsabilità, e presuppone uno specifico
addestramento a tale scopo oltre al riconoscimento, con mansioni di caposquadra, della direzione
esecutiva di un gruppo di lavoratori e dei relativi poteri per l’attribuzione di compiti operativi
nell’ambito dei criteri prefissati. Ne consegue che non può essere considerato “preposto”, ai
suddetti fini, l’operaio più anziano di una squadra, pur dotato di maggiore esperienza rispetto agli
altri, ma privo di uno specifico addestramento al ruolo di capo squadra nonché dei poteri di
direzione esecutiva dei lavori della squadra stessa”.

La Corte riunisce tutti i ricorsi. Rigetta il ricorso principale, accoglie gli incidentali. Cassa la
sentenza impugnata, in relazione ai ricorsi accolti, e rinvia, anche per le spese del presente giudizio
di cassazione, alla Corte d’appello di Caltanissetta.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione lavoro, il 29 ottobre 2013.

P.Q.M.

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