Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24549 del 02/10/2019

Cassazione civile sez. trib., 02/10/2019, (ud. 30/04/2019, dep. 02/10/2019), n.24549

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – rel. Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 1590/2014 R.G. proposto da:

Studio Legale Tributario Associato Casalini & Zambon, in persona

del l.r.p.t. Maurizio Casalini, rappresentato e difeso dall’avv.

Zambon Elena, presso cui elettivamente domicilia in Vicenza al viale

Roma n. 8;

– ricorrente – controricorrente incidentale –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 53/30/13 della Commissione Tributaria

Regionale del Veneto, depositata in data 8/5/2013 e non notificata.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 30 aprile

2019 dal Consigliere Andreina Giudicepietro.

Fatto

RILEVATO

che:

1. lo Studio Legale Tributario Associato Casalini & Zambon, in persona del l.r.p.t. Casalini Maurizio, ricorre con tre motivi contro l’Agenzia delle Entrate per la cassazione della sentenza n. 53/30/13 della Commissione Tributaria Regionale del Veneto, depositata in data 8/5/2013 e non notificata, che ha accolto l’appello dell’Ufficio, riformando la sentenza di primo grado favorevole al contribuente, in controversia avente ad oggetto l’impugnativa del silenzio – rifiuto sull’istanza di rimborso IRAP presentata dallo Studio Associato in data 14/10/2008 per gli anni di imposta 2003, 2004, 2005, 2006 e 2007 relativamente ai compensi percepiti dal socio, Dott. Casalini Maurizio, per l’attività svolta in proprio di amministratore delegato della società Aletti Fiduciaria S.p.A.;

2. con la sentenza impugnata, la C.T.R. del Veneto (di seguito C.T.R.), considerato che le prestazioni del professionista erano state fatturate dallo Studio Associato, riteneva che il contribuente non avesse fornito idonea prova della sussistenza dei requisiti per l’esenzione dall’Irap in favore del socio interessato ai compensi, che avrebbe dovuto dimostrare di non aver fruito dei benefici recati dalla sua adesione allo studio associato;

il giudice di appello, quindi, dichiarava non dovuto il rimborso richiesto;

3. a seguito del ricorso, l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso e spiega ricorso incidentale, condizionato all’accoglimento del ricorso principale, affidato ad un unico motivo, cui il ricorrente principale, a sua volta, resiste con controricorso;

4. il ricorso è stato fissato per la Camera di consiglio del 30 aprile 2019, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c. e dell’art. 380 bis 1 c.p.c., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, conv. in L. 25 ottobre 2016, n. 197;

5. il ricorrente principale ha depositato memorie.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1.1. Con il primo motivo del ricorso principale, il ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1997, artt. 2 e 3, in relazione agli artt. 3 e 53 Cost., con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

secondo il ricorrente, la sentenza della C.T.R. viola il principio secondo cui il libero professionista non è soggetto ad Irap per la parte di ricavo netto derivante dall’attività professionale svolta senza avvalersi di un’autonoma organizzazione (come, nel caso di specie, l’attività svolta personalmente dal socio presso la società Fiduciaria di cui era amministratore);

con il secondo motivo, il ricorrente denunzia il vizio motivazionale della sentenza impugnata, sia ai sensi della vecchia che della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;

secondo il ricorrente, il giudice di appello avrebbe omesso di considerare il fatto decisivo, relativo alla natura strettamente fiduciaria e personale del mandato, conferito quale amministratore delegato della Fiduciaria al socio, Dott. Casalini, circostanza, per altro, non contestata dall’Amministrazione e conforme ad una massima di esperienza;

con il terzo motivo, il ricorrente denunzia la nullità della sentenza impugnata per la motivazione solo apparente, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione all’art. 132 c.p.c;

1.2. i motivi, da esaminare congiuntamente perchè connessi, sono in parte inammissibili ed in parte infondati e vanno rigettati;

1.3. come rilevato dalle Sezioni Unite di questa Corte, “l’esercizio di professioni in forma societaria costituisce ex lege presupposto dell’imposta regionale sulle attività produttive, senza che occorra accertare in concreto la sussistenza di un’autonoma organizzazione, questa essendo implicita nella forma di esercizio dell’attività” (Sez. U, Sentenza n. 7371 del 14/04/2016);

inoltre, la Corte ha ulteriormente precisato che “in tema d’IRAP, l’esercizio della professione in forma associata costituisce presupposto per l’applicazione dell’imposta, senza che occorra accertare in concreto la sussistenza dell’autonoma organizzazione, da considerarsi implicita, salva la possibilità per il contribuente di fornire la prova contraria, avente ad oggetto non l’assenza dell’autonoma organizzazione nell’esercizio in forma associata, bensì l’insussistenza dell’esercizio in forma associata dell’attività stessa” (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 18920 del 26/09/2016);

nel caso di specie, le prestazioni del professionista erano state fatturate dallo Studio Associato, per cui erano riconducibili all’attività in forma associata;

il giudice di appello ha ritenuto che il contribuente non avesse dimostrato che le somme assoggettate ad Irap erano relative all’attività personale di amministratore di una società Fiduciaria da parte del socio;

come affermato da questa Corte, “in tema d’IRAP, il professionista (nella specie, avvocato), qualora sia inserito in un’associazione professionale, sebbene eserciti anche una distinta e separata attività, diversa da quella svolta in forma associata (nella specie, amministratore di società), al fine di sottrarsi all’applicazione del tributo è tenuto a dimostrare di non fruire dei benefici organizzativi recati dall’adesione alla detta associazione” (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 24088 del 24/11/2016; vedi anche Sez. 5, Ordinanza n. 766 del 15/01/2019);

alla luce del riportato orientamento della Corte (vedi anche Cass. nn. 25311/2014; 16784/2010; 13570/2007), deve rilevarsi che la sentenza impugnata non è incorsa nelle denunciate violazioni di legge, avendo ritenuto che fosse onere del contribuente, che chiedeva il rimborso di quanto versato a titolo di Irap, dimostrare che l’attività oggetto di contestazione non rientrasse tra quelle svolte in forma associata;

la pronuncia non viola la normativa in oggetto, anzi, facendo corretta applicazione dei principi sopra enunciati, non esclude a priori la possibilità del rimborso, ma ritiene che, nel caso di specie, il ricorrente non abbia dimostrato la sussistenza degli elementi di fatto cui conseguirebbe il diritto al rimborso;

passando al denunciato vizio motivazionale, deve rilevarsi che nella fattispecie trova applicazione ratione temporis (ai sensi del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 3) il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto la sentenza impugnata è stata pubblicata in data successiva all’11 settembre 2012, sicchè il vizio della motivazione è deducibile soltanto in termini di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”;

come chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. S.U. 22.9.2014 n. 19881; Cass. S.U. 7.4.2014 n. 8053) la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 83 del 2012, art. 54, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione;

è pertanto denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali;

tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione;

deve, quindi, ritenersi inammissibile ogni doglianza rivolta a censurare l’insufficienza della motivazione;

nè si rinviene l’omesso esame di un fatto decisivo ed oggetto di discussione tra le parti, secondo la nuova formulazione. dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile ratione temporis;

secondo il ricorrente il “fatto decisivo”, la cui valutazione sarebbe stata omessa, consisterebbe nella natura esclusivamente personale dell’incarico di amministratore, per altro non contestata dall’Amministrazione;

deve, però, rilevarsi che la natura dell’attività (amministratore delegato di una società) e la circostanza che essa, in via prevalente, venga svolta personalmente dall’incaricato non porta ad escludere che il socio amministratore si sia avvalso della struttura dello studio associato per il compimento delle proprie attività personali;

la motivazione della C.T.R. sul punto, sebbene sintetica, si rivela effettiva e non solo apparente;

il rigetto complessivo del ricorso principale non rende necessario l’esame del ricorso incidentale, condizionato all’accoglimento del primo;

il consolidarsi dell’orientamento giurisprudenziale citato solo dopo la proposizione del ricorso comporta la compensazione tra le parti delle spese del giudizio di legittimità;

sussistono i requisiti per porre a carico del ricorrente principale il pagamento del doppio contributo, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

la Corte rigetta il ricorso principale, assorbito quello incidentale condizionato;

compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimità;

sussistono i requisiti per porre a carico del ricorrente principale il pagamento del doppio contributo, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

Così deciso in Roma, il 30 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 2 ottobre 2019

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