Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24547 del 18/10/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 18/10/2017, (ud. 17/07/2017, dep.18/10/2017),  n. 24547

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27091-2011 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

ATOS ORIGIN SRL, elettivamente domiciliato in ROMA VIA GAVINANA 2,

presso lo Studio Legale DE FACENDIS Avvocato FRANCESCO DE FACENDIS,

rappresentato e difeso dall’avvocato PASQUALE ANGELO DONATO CASO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 173/2010 della COMM.TRIB.REG. della LOMBARDIA,

depositata il 21/09/2010;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17/07/2017 dal Consigliere Dott. FRANCESCO FEDERICI.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Rilevato che:

con ricorso tempestivamente notificato l’Agenzia delle Entrate impugnava la sentenza n. 173/28/10, depositata il 21.09.2010 dalla CTR della Lombardia;

riferiva che a seguito di verifica fiscale nei confronti della Atos Origin s.p.a. era riconosciuta una minor perdita d’impresa rispetto a quanto dichiarato dalla società per l’anno d’imposta 2002, con rettifica da Euro 4.145.054,00 ad Euro 3.361.151,00, nonchè un maggior valore della produzione netta, con rettifica da Euro 87.604.026,00 ad Euro 88.387.929,00. Alla società era quindi notificato l’avviso d’accertamento n. (OMISSIS) per l’importo di Euro 33.316,00, per maggiore IRAP, oltre interessi e sanzioni. In particolare l’Ufficio contestava alcune poste, a suo avviso erroneamente imputate dalla contribuente ad altre annualità d’imposta, cioè la contabilizzazione nell’anno 2003 anzicchè nell’anno 2002 di due note di credito di Euro 274.000,00 e di Euro 486.866,00, emesse rispettivamente dalla casa madre Atos Origin s.a. e dalla consociata olandese Atos Origin B.V., nonchè la contabilizzazione nel 2002 anzicchè nel 2001 della fattura dell’importo di Euro 23.037,00, emessa dalla consociata Atos Origin B.V., con conseguente deduzione per l’anno verificato di costi superiori a quelli fiscalmente deducibili. L’avviso di accertamento era impugnato dalla contribuente, con accoglimento del ricorso in primo grado e in grado d’appello.

L’Ufficio con unico motivo lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 109 (già 75) del TUIR, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver erroneamente ritenuto la CTR della Lombardia che i rapporti negoziali tra la società verificata e quella madre o la consociata consentissero l’emergenza di poste debitorie, quali componenti negativi del reddito d’impresa della controricorrente, solo all’esito di un procedimento di accertamento realizzato con l’attività di auditing del Gruppo, senza con ciò violare il criterio di imputazione all’esercizio di competenza, previsto quale regola generale dalla norma;

la società si è tempestivamente costituita con controricorso, contestando puntualmente le avverse ragioni e chiedendo il rigetto del ricorso.

Considerato che:

il motivo è infondato. Il contenzioso muove dai distinti ma sovrapponibili rapporti esistenti tra la società verificata da un lato, quella madre e quella consociata olandese dall’altro. La contribuente, operante nel settore informatico, paga alla casa madre i diritti per la concessione di licenza del marchio, alla consociata olandese le prestazioni dei servizi generali centralizzati da questa forniti. Le modalità di pagamento consistono nel versamento di un corrispettivo fissato secondo parametri variabili, determinati secondo i ricavi programmati per l’esercizio in corso dalla Atos Origin s.a., in base alla previsione contenuta nel budget di inizio esercizio, con fatturazione trimestrale (medesima cosa per la consociata). Acquisiti i dati consuntivi nell’esercizio successivo, è emessa una quinta fattura (evidentemente per un quinto pagamento a saldo), all’esito della verifica di maggiori diritti (o corrispettivi per servizi) da corrispondere per l’anno trascorso, ciò presupponendo una differenza positiva tra il budget di previsione e quello consuntivo. Di contro, se i pagamenti già eseguiti risultino a consuntivo maggiori di quanto dovuto (perchè i diritti di sfruttamento del marchio o i servizi generali messi a disposizione non hanno raggiunto il budget programmato), la società madre o la consociata emettono una nota di credito in favore della contribuente.

Questa la descrizione sommaria del rapporto in corso tra le società, è con riguardo al quinto pagamento fatturato nell’esercizio successivo (nel caso di specie nel 2002 per l’esercizio 2001), e alle note di credito emesse sempre dopo la chiusura dell’esercizio di competenza (cioè nel 2003 per l’esercizio 2002), che va ricondotto il contenzioso e l’opposta interpretazione data dall’Ufficio e dalla società contribuente in ordine all’anno d’imposta cui siano imputabili le fatture e le note di credito.

L’ufficio insiste nell’imputazione all’esercizio di competenza, secondo la regola generale prevista dall’art. 75, comma 1 del TUIR, ora art. 109 del TUIR; la società, ritenendo quelle componenti di reddito non determinabili, le imputa all’esercizio in cui si verificano le condizioni, secondo quanto previsto dalla seconda parte del primo comma della medesima norma.

Ora, è certamente pacifico che il principio generale di imputazione sia quello dell’esercizio di competenza, per cui, anche qualora la componente di reddito emerga materialmente in un momento successivo, essa va imputata all’esercizio precedente. In particolare, proprio in riferimento ai componenti negativi del reddito, la giurisprudenza di legittimità ha ripetutamente affermato l’inderogabilità delle regole sulla loro imputazione temporale, dettate in via generale dal citato art. 75, non essendo consentito al contribuente scegliere di effettuare la detrazione di un costo in un esercizio diverso da quello individuato dalla legge come esercizio di competenza. Pertanto, una volta determinato l’esercizio di competenza dei ricavi, si identifica automaticamente l’esercizio in cui sono deducibili i costi (Cass., sent. n. 16349/2014). Quindi i costi relativi a prestazioni di servizio sono di competenza dell’esercizio in cui le prestazioni medesime sono ultimate, senza che abbia alcun rilievo il momento in cui viene emessa la relativa fattura o effettuato il pagamento (Cass, sent. n. 27296/2014).

Questo principio generale trova tuttavia un limite nella circostanza che la componente di reddito sia ancora incerta nella sua esistenza o indeterminabile in modo obiettivo nel suo ammontare. In questa ipotesi è la norma stessa a prescrivere la sua imputazione all’esercizio in cui tali condizioni si verifichino. Principio, questa volta di cassa, più volte applicato dalla giurisprudenza di legittimità (da ultimo cfr. Cass., ord. n. 13048/2017).

Ciò non va interpretato nel senso che la sua determinabilità possa essere rimessa a scelte soggettive delle parti, così lasciando ad esse, in base alle convenienze fiscali del momento, decidere se imputarne la componente ad un anno fiscale anzicchè ad un altro, incorrendosi altrimenti in uno schema che esula dallo stesso tenore letterale della norma, che richiede obiettive incertezze sull’an o sul quantum della componente negativa del reddito d’impresa. A tal proposito anzi la giurisprudenza è attenta a chiarire, pur nel riconoscimento di fattispecie che richiedono l’applicazione del criterio di cassa per l’incertezza dell’an o del quantum, che i costi sostenuti dopo la chiusura dell’esercizio contabile di riferimento, ma incidenti sul ricavo netto determinato dalle operazioni dell’anno già definito, devono costituire elementi di rettifica del bilancio dell’anno precedente, concorrendo a formare il reddito d’impresa di quell’anno ed incidendo in flessione sullo stesso – senza che sia lasciata al contribuente la facoltà di decidere a quale anno imputare tali costi -, tutte le volte in cui siano divenuti noti, perchè certi e precisi nell’ammontare, prima della delibera approvativa del risultato d’esercizio (Cass., sent. 3484/2014).

Ciò tuttavia, seguendo una piana lettura della norma, e tenendo conto degli approdi giurisprudenziali e dottrinali, non significa che non possa riconoscersi che la determinabilità del quantum sia demandata alla regolamentazione negoziale delle parti, purchè la regola negoziale costituisca criterio obiettivo e non si traduca nella possibilità discrezionale di imputare, a seconda delle convenienze fiscali, una componente di reddito ad uno o ad altro anno d’imposta (cfr. ad es. Cass., sent. n. 17302/2014). D’altronde, anche qualora il contribuente fosse in condizione di calcolare una componente negativa della propria attività produttiva, perchè ad esempio notorio il prezzo predeterminato di certi servizi, si è ritenuto che l’imputazione della medesima trovi collocazione nell’esercizio in cui è stata emessa la fattura e non in quello precedente (Cass., sent. n. 9756/2003). Stessa cosa dicasi nell’ipotesi in cui la determinatezza della componente consegua alla emanazione di un provvedimento amministrativo, pur non potendosi escludere che gli elementi di cui il contribuente già dispone possano di fatto consentirgli di calcolare l’entità della componente positiva o negativa del reddito già prima della chiusura del precedente esercizio (cfr. Cass., sent. n. 23866/2007; Cass., sent. n. 20521/2006). Evidentemente si vuole sempre rimandare a dati definitivi e obiettivi pervenuti prima della approvazione del bilancio e non alla buona volontà del contribuente.

Così perimetrati i criteri di imputazione delle componenti di reddito previsti dall’art. 75 (ora 109), comma 1, del TUIR, nel caso di specie la definitività dei conti relativi ai rapporti tra la società contribuente e la società madre, per quello che riguarda il contratto di sfruttamento del marchio sociale, e tra la contribuente e la consociata olandese, per ciò che concerne i servizi generali centralizzati offerti, è avvenuta solo all’esito dell’ultimazione dell’attività di audit sui conti del Gruppo. Prima di questo momento non vi era alcuna certezza dei risultati, per cui, ammesso che fossero prevedibili, i costi non erano determinabili in modo obiettivo. Nè d’altronde la convenzione negoziale regolante i rapporti economici tra le parti può insinuare il dubbio che di fatto sia rimessa alla discrezionalità del contribuente l’identificazione dell’anno fiscale cui imputare la componente di reddito, perchè il sinallagma contrattuale è impostato con criteri oggettivi -ed economicamente, si aggiunge, comprensibili-, potendosi solo all’esito del controllo consuntivo degli obiettivi programmati rispetto a quelli raggiunti, esaminati e definitivamente riconosciuti con l’attività di audit del Gruppo, accertare l’esistenza di un saldo, che la contribuente è tenuta a corrispondere, o al contrario di una eccedenza dei pagamenti già eseguiti nel corso dell’esercizio ormai chiuso, che la contribuente ha diritto a ripetere.

Riprova delle considerazioni appena svolte sta proprio nella difesa dell’Ufficio, che pretende di sopperire alla incertezza obiettiva del quantum, affermando che al momento della chiusura dell’anno fosse possibile risalire ad un corrispettivo complessivo “determinabile per un valore che ha carattere provvisorio”, concetto ribadito sempre nel ricorso, quando si afferma che “la componente reddituale è certa quando è fondata sull’esistenza di un titolo produttivo di effetti giuridici, sia pure non definitivo, sussistente alla chiusura del periodo d’imposta”. A parte che non si comprende quale sia questo titolo, certo non i contratti stipulati tra le parti, che sono orientati nel senso opposto, costituisce proprio un ossimoro affermare la certezza di un valore dal carattere provvisorio. Determinazione e determinabilità si accompagnano alla definitività non alla provvisorietà.

Ne discende che le note di credito emesse nel 2003, pur relative a costi inerenti attività riguardanti l’esercizio chiuso il 31.12.2002, sono state correttamente imputate dalla contribuente all’esercizio 2003 e non al 2002; parimenti, la fattura emessa nel 2002, pur relativa a costi inerenti attività compiuta nell’esercizio chiuso il 31.12.2001, è stata correttamente imputata all’esercizio 2002.

In conclusione il motivo di ricorso è infondato e va rigettato. In conseguenza della soccombenza, l’Agenzia ricorrente va condannata alla rifusione delle spese di causa del presente giudizio nei confronti della controricorrente, nella misura specificata in dispositivo.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso; condanna l’Agenzia delle Entrate alla rifusione in favore della Atos Origin srl delle spese processuali, che liquida nella misura di Euro 3.000,00, oltre alle spese generali determinate forfettariamente nella misura del 15% e ad accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta civile della Corte suprema di cassazione, il 17 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 18 ottobre 2017

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