Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24546 del 18/10/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 18/10/2017, (ud. 17/07/2017, dep.18/10/2017),  n. 24546

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5249/2011 proposto da:

FASTEN ITALIA SRL, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI MONTI

PARIOLI 48, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE MARINI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato CARLO AMATO;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO DI CASTELFRANCO VENETO;

– intimata –

avverso la sentenza n. 3/2010 della COMM. TRIB. REG. del VENETO,

depositata l’08/01/2010;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

17/07/2017 dal Consigliere Dott. FRANCESCO FEDERICI.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

con ricorso tempestivamente notificato la Fasten Italia s.r.l., in persona del suo legale rappresentate, sulla base di otto motivi, impugnava la sentenza n. 3/33/2010, depositata l’8.01.2010 dalla CTR del Veneto;

riferiva che a seguito di verifica operata dalla GdF sulla sua posizione fiscale, relativamente all’anno 2004, l’Ufficio finanziario territorialmente competente aveva emesso atti di contestazione e di recupero del credito d’imposta, previsto dalla L. n. 388 del 2000, art. 8 e di cui la contribuente aveva fruito per investimenti nelle aree svantaggiate, asserendone l’indebito utilizzo. Illustrava che nel periodo d’imposta 2001, svolgendo attività economica anche in Barletta, aveva fruito del credito d’imposta per l’acquisto di alcuni beni strumentali. Sennonchè, per ragioni inerenti il contratto di locazione dell’immobile in cui esercitava l’attività in (OMISSIS), nel 2004 aveva ricoverato i predetti beni in deposito gratuito presso la ditta di V.N., al quale nel maggio del medesimo anno, a fronte delle difficoltà di reperimento di altro locale, decideva di affittare l’intero ramo d’azienda. Tale operazione era contestata dall’Agenzia delle Entrate, che riteneva i beni strumentali fuoriusciti dal ciclo produttivo della ricorrente, e comunque asseriva che l’operazione fosse in contrasto con la Circolare n. 90/2001.

Il contenzioso che ne era seguito esitava nell’accoglimento del ricorso davanti alla CTP di Treviso, e, in riforma della prima sentenza, nel suo rigetto da parte della CTR del Veneto;

con il primo motivo la società denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 890 del 1982, art. 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per inesistenza della notifica degli atti impugnati (atto di recupero del credito e atto di contestazione);

con il secondo motivo la violazione o falsa applicazione della L. n. 241 del 1990, art. 3 e della L. n. 212 del 2000, art. 7, perchè la sentenza aveva negato l’invalidità degli atti impugnati per violazione dell’obbligo di allegazione dei documenti su cui erano fondati;

con il terzo motivo violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver ritenuto ammissibili prove non nuove depositate in appello;

con il quarto motivo la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, artt. 7,16 e 17, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè la sentenza non aveva rilevato che tutte le sanzioni applicate erano state irrogate in violazione della specifica normativa;

con il quinto motivo omessa motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;

con il sesto e settimo motivo insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, sotto più profili, nonchè omessa motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per gli errori di valutazione compiuti dalla Commissione Regionale in ordine alle circostanze di fatto che potevano invece ritenersi pacifiche; inoltre per violazione e falsa applicazione della L. n. 388 del 2000, art. 8;

con l’ottavo motivo violazione e falsa applicazione dell’art. 2555 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, perchè, affermando meri principi astratti, la sentenza aveva negato il trasferimento del ramo d’azienda.

L’Agenzia delle Entrate si è tempestivamente costituita con controricorso, contestando gli avversi motivi, ritenuti inammissibili o quanto meno infondati nel merito, e chiedendo il rigetto del ricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

Il primo motivo è inammissibile per violazione del principio di autosufficienza. La ricorrente afferma di aver ribadito in appello l’eccezione di inesistenza della notifica degli atti impugnati (per assenza del sigillo dell’Ufficio, ai sensi della L. n. 890 del 1982, art. 3), ma non riporta il passo dell’atto d’appello nel quale tale eccezione sarebbe stata ribadita. A parte che la censura, sussunta dal contribuente dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, trova corretta collocazione nella fattispecie contemplata nel n. 4) della medesima norma, la parte che intende riproporre in sede di legittimità un’eccezione non rilevabile di ufficio, che afferma d’aver formulato davanti al giudice di merito, lamentandone l’omessa pronuncia, ha innanzitutto l’onere di procedere all’esposizione del fatto processuale e degli elementi idonei a consentire la verifica della tempestiva proposizione dell’eccezione (Sent. n. 9108/2012), ciò di cui il ricorso manca del tutto. Peraltro, l’obbligo di specifica indicazione degli atti processuali su cui si fonda il ricorso, con completa trascrizione delle parti oggetto di doglianza, e la necessità della loro individuazione con riguardo alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di Cassazione, per renderne possibile l’esame, è stato affermato anche in riferimento alla eccepita inesistenza della notifica di un atto (Cass., ord. n. 4220/2012; sulla mancata trascrizione della relata di notifica cfr. Cass., sent. n. 5185/2017);

parimenti inammissibile è il secondo motivo di ricorso. Con esso la contribuente lamenta che la sentenza abbia errato nel non dichiarare la invalidità degli atti impugnati per violazione dell’obbligo di allegazione degli atti e documenti ai quali essi farebbero riferimento. Tuttavia la censura resta del tutto generica, non comprendendosi in alcun modo a quali atti si riferisca;

inammissibile, oltrechè infondato, è il terzo motivo, con il quale si lamenta che il giudice d’appello abbia ammesso la produzione di un nuovo documento, già preesistente, in violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58. Anche in questo caso, in violazione del principio di autosufficienza, manca ogni riferimento al momento in cui l’eccezione sarebbe stata tempestivamente sollevata in sede di appello. Nel merito poi è stato più volte ribadito dalla giurisprudenza di legittimità il principio secondo cui in materia di appello nel processo tributario, alla luce del principio di specialità espresso dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 1, comma 2 – in forza del quale, nel rapporto fra norma processuale civile ordinaria e norma processuale tributaria, prevale quest’ultima – non trova applicazione la preclusione alla produzione documentale di cui all’art. 345 c.p.c., comma 3, potendo le parti provvedervi anche per documenti preesistenti al giudizio svoltosi in primo grado (Cass., sent. n. 7714/2013; cfr. inoltre 20103/2012, 23616/2011, 18907/2011);

anche il quarto motivo è inammissibile. Con esso la contribuente lamenta che la sentenza nulla avrebbe rilevato in ordine alla applicazione delle sanzioni in violazione della normativa che ne regola la materia, ed in particolare che a pena di nullità l’Ufficio debba irrogare la sanzioni, chiarendo le ragioni della misura applicata. Prima di ogni valutazione del merito della censura, il motivo viola ancora una volta il principio di autosufficienza, non avendo indicato il ricorrente dove e quando la questione sia stata posta in appello, nè risultando trascritti i passaggi degli atti impugnati della Agenzia, nei quali siano state trattate le sanzioni, la loro misura ed entità, che peraltro la medesima ricorrente afferma che siano state applicate nella misura minima;

inammissibile è il quinto motivo, con il quale la ricorrente vorrebbe riproporre le stesse questioni esposte nei motivi precedenti sotto il profilo della “violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per omessa motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio”, poichè a maggior ragione risulta violato il principio di autosufficienza del ricorso;

i motivi sesto, settimo e ottavo, con i quali la sentenza è censurata sotto molteplici profili, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, possono essere trattati unitariamente poichè in sostanza riguardano un’unica questione, il verificarsi di fatti, concretizzatisi nel trasferimento a terzi dei macchinari per i quali la contribuente aveva fruito del credito d’imposta, che possono perfezionare una delle fattispecie antielusive, previste dalla L. n. 388 del 2000, art. 8, comma 7, da cui discende la rideterminazione o l’esclusione del credito d’imposta.

In sintesi la vicenda, nella scansione cronologica dei fatti, è consistita nell’acquisto, nel 2001, di macchinari da parte dalla società ricorrente, destinati alla attività economica svolta in (OMISSIS), città ubicata in area economicamente svantaggiata, per il quale aveva fruito delle agevolazioni al credito d’imposta L. n. 388 cit., ex art. 8; nell’abbandono dei locali di (OMISSIS), per questioni inerenti il contratto di locazione, con deposito di tutti i macchinari presso l’opificio di V.N., nel gennaio 2004 e, persistendo difficoltà nella ricerca di altro immobile da locare, a fronte della intenzione del V. di ampliare le sue attività produttive, nell’affitto del ramo d’azienda a quest’ultimo, con tutti i macchinari, compresi quelli per i quali la Fasten aveva utilizzato il credito agevolato d’imposta.

La società ritiene che la cessione in affitto del ramo d’azienda lasci impregiudicato il diritto alle agevolazioni, l’Ufficio ha ritenuto invece che tale vicenda si inquadri in una fuoriuscita dei macchinari dal ciclo produttivo per il quale la contribuente aveva potuto fruire delle agevolazioni fiscali, escludendo la cessione in affitto del ramo d’azienda. A fronte delle due opposte tesi, la CTP ha ritenuto fondata la ricostruzione resa dalla contribuente, la CTR ha condiviso quella prospettata dall’Ufficio.

La sentenza della CTR non merita censure sotto l’aspetto del vizio motivazionale, nè sotto quello di vizio interpretativo delle norme. Sotto il primo profilo deve rammentarsi il principio ripetutamente ribadito, secondo cui in tema di ricorso per cassazione per vizi della motivazione della sentenza, il controllo di logicità del giudizio del giudice di merito non equivale alla revisione del ragionamento decisorio, ossia dell’opzione che ha condotto tale giudice ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che ciò si tradurrebbe, pur a fronte di un possibile diverso inquadramento degli elementi probatori valutati, in una nuova formulazione del giudizio di fatto (di recente, Cass., sent. 16526/2016). La censura non deve risolversi nella richiesta di rivalutazione delle emergenze istruttorie, perchè il difetto di motivazione, anche nella vigenza dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, anteriore alla novella introdotta con il D.L. n. 83 del 2012, è configurabile solo nella ipotesi di obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione, ma non già quando vi sia difformità rispetto alle attese della parte ricorrente sul significato degli elementi delibati (cfr. Cass., sent. n. 2272/2007).

Ebbene, nella motivazione della CTR veneta si afferma che “nel ricorso di Primo Grado nella costituzione in atti, l’Ufficio rilevava che i dipendenti della filiale di (OMISSIS) erano stati posti in ferie nel dicembre 2003, con risoluzione del contratto di lavoro nel gennaio 2004. Ciò con conseguente cessazione della produzione da gennaio 2004. Per il periodo da gennaio 2004 a maggio 2004 i beni risultavano formalmente in conto deposito presso la sede della ditta V.. Nel maggio 2004 veniva stipulato un contratto d’affitto d’azienda per parte dei beni costituiti in deposito con esclusione della macchina crimpatrice per quanto risulta agli atti. L’attività imprenditoriale, sia per la cessazione dei rapporti di lavoro, cessazione non contestata nel ricorso di Primo Grado, sia per il trasferimento ad altre sedi a titolo di deposito, per il periodo da gennaio 2004 a maggio 2004, dei beni aziendali e in particolare anche per i beni di cui ai benefici contestati, risulta non proseguita per detto periodo. Va altresì rilevato che il concetto di azienda di cui all’art. 2555 c.c., prevede che l’elemento coagulante del complesso dei beni che costituisce l’azienda è dato dall’organizzazione, ossia dalla loro utilizzazione unitaria e coordinata al fine dell’esercizio dell’attività imprenditoriale. Situazione che risulta cessata a far tempo dal gennaio 2004 sia per il venir meno di tutti i rapporti di lavoro sia per il trasferimento dei beni in deposito. Tenuto conto di tali considerazioni il contratto d’affitto di ramo d’azienda formalmente stipulato il 18.05.2004 è da intendersi difforme dalla realtà economica ed organizzativa dei beni. Risulta pertanto corretto l’operato dell’Ufficio”.

La motivazione, pur nella sua sinteticità, mostra di esaminare i dati a disposizione, giungendo ad una valutazione opposta a quella resa dalla CTP trevigiana, senza che tuttavia possano riconoscersi carenze logiche, contraddizioni, o anche la sola dimenticanza di qualche elemento decisivo, già oggetto di discussione nei due gradi di merito. La risoluzione di tutti i rapporti di lavoro, la stasi per oltre quattro mesi dell’attività di produzione, la cessione dei macchinari, già trasferiti in deposito preso la ditta V., che ne risulta poi cessionaria con il contratto del maggio 2004, la assenza nell’inventario allegato al contratto di affitto di una delle due macchine principali, la crimpatrice, acquistate con le agevolazioni del credito d’imposta circostanza quest’ultima contestata dalla difesa del ricorrente e superata nella motivazione della CTP, ma non per questo più autorevolmente, anzi con un

processo presuntivo, laddove la CTR ne ha constatato semplicemente l’obiettiva assenza dall’inventario, spettando al più alla Fasten dare prova del contrario nel giudizio di merito – sono altrettanti elementi giudicati nel loro complesso e ritenuti nell’insieme, con criterio logico e privo di insufficienze o contraddizioni, probanti della cessazione dell’attività economica in seno alla quale quei beni erano stati acquistati, per essere destinati a strutture produttive diverse da quelle che avevano dato diritto alle agevolazioni. Una diversa valutazione dei suddetti elementi richiederebbe una ulteriore valutazione di merito, inibita al giudice di legittimità.

La correttezza del ragionamento è riscontrabile anche sotto l’aspetto dell’invocato errore di diritto, perchè nella sentenza impugnata, a differenza di quanto sostiene la ricorrente, si fa corretta applicazione dell’art. 2555 c.c., quando si afferma che lo scioglimento di tutti i rapporti di lavoro contestualmente al deposito di tutti i macchinari presso terzi ha fatto venir meno il tratto medesimo dell’azienda, ossia la sua organizzazione. Ed è appena il caso di rammentare che il trasferimento di una azienda, o di un suo ramo, richiede la cessione del complesso organizzativo, fatto di mezzi e forza lavoro (Cass., sent. n. 9361/2014; Cass., sent. n. 6452/2009), dotato di sufficiente autonomia funzionale della quota d’impresa ceduta (cfr. anche Corte di Giustizia, in C-458/2012 del 6 marzo 2014), che certamente non può esistere nè sopravvivere senza la presenza della forza lavoro già ad essa destinata, e per la quale anzi è prevista una specifica disciplina di tutela dei lavoratori (art. 2112 c.c.). Logica conseguenza del constatato venir meno di tutti i rapporti di lavoro relativi all’attività produttiva esistente in (OMISSIS) era il ritenere che il contratto stipulato nel maggio 2004 non rispecchiasse “la realtà economica e organizzativa dei beni”. In altre parole era diversa la causa contrattuale rispetto al negozio giuridico formalmente invocato, e in ogni caso i beni fuoriusciti dalla struttura produttiva della ricorrente venivano ceduti per attività ad essa estranee, perfezionandosi una delle fattispecie elusive previste dalla L. n. 388 del 2000, art. 8, comma 7.

Considerato che:

il ricorso va pertanto rigettato e, in conseguenza della soccombenza, la società ricorrente va condannata alla rifusione delle spese di causa nei confronti della controricorrente, nella misura specificata in dispositivo.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso; condanna la Fasten Italia srl, in persona del suo legale rappresentante, alla rifusione in favore della Agenzia delle Entrate delle spese processuali, che liquida nella misura complessiva di Euro 3.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 17 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 18 ottobre 2017

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