Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24546 del 01/12/2016


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Cassazione civile sez. I, 01/12/2016, (ud. 23/06/2016, dep. 01/12/2016), n.24546

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Presidente –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 3141-2012 proposto da:

ITALFONDIARIO S.P.A., c.f. (OMISSIS), (che ha incorporato CASTELLO

GESTIONE CREDITI S.R.L.), nella qualità di mandataria di CASTELLO

FINANCE S.R.L. e di INTESA SANPAOLO S.P.A. (denominazione a seguito

di fusione per incorporazione del SANPAOLO IMI S.P.A. in BANCA

INTESA S.P.A.), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DI VILLA GRAZIOLI 15,

presso l’avvocato BENEDETTO GARGANI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato GUIDO GARGANI, giusta procure a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

M.V., elettivamente domiciliato in ROMA, LUNGOTEVERE

DELLA VITTORIA 9, presso l’avvocato GIOVANNI ARIETA, rappresentato e

difeso dall’avvocato MARIANTONIETTA DEL VECCHIO, giusta procura a

margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 800/2011 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 19/07/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/06/2016 dal Consigliere Dott. MARIA ACIERNO;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato BENEDETTO GARGANI che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito, per il controricorrente, l’Avvocato MARIANTONIETTA DEL VECCHIO

che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CERONI Francesca, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

M.V. ha proposto opposizione al decreto ingiuntivo,richiesto nei suoi confronti dalla s.p.a. Italfondiario, relativo all’importo di oltre due miliardi di lire dovuti al saldo passivo di conto corrente della debitrice garantita s.r.l. Gierre. Il giudice di primo grado ha revocato il decreto ingiuntivo e rigettato la domanda creditoria. La Corte d’Appello di Catanzaro ha riformato la pronuncia del Tribunale solo in ordine alle spese, compensandole per entrambi i gradi.

Per quel che ancora interessa, la Corte territoriale ha fondato la propria decisione sulle argomentazioni:

contrariamente a quanto statuito dal giudice di primo grado, la fideiussione originariamente sottoscritta nel 1984 non era scaduta ma validamente estesa mediante il contratto del 4 novembre 1986 fino all’importo di L. 1.350.000, cifra pari a quella del saldaconto. Il contratto non aveva, pertanto, natura novativa ma modificativa della durata e dell’importo.

L’omessa consegna degli estratti conto relativi al periodo 29 maggio 1984 – 30 settembre 1986 ha impedito il calcolo del saldo finale non essendo stato possibile in sede di consulenza tecnica d’ufficio procedere alla determinazione ed all’ammontare dell’importo pari agli interessi passivi trimestralmente capitalizzati nel periodo considerato. L’omesso assolvimento integrale dell’onere probatorio ha correttamente determinato la conseguenza dell’azzeramento delle risultanze degli estratti conto acquisiti, in mancanza della continuità temporale con i precedenti non prodotti.

L’importo indicato nel contratto con il quale è stata estesa la garanzia fideiussoria1deve essere qualificato una mera ricognizione di debito idonea esclusivamente a determinare un’inversione dell’onere della prova in ordine all’esistenza e alla validità del rapporto ma non idoneo a costituire autonoma fonte di obbligazione. Ne consegue che non è sufficiente a sanare le cause d’invalidità totale o parziale del rapporto medesimo. Tale ricognizione, pertanto, non può costituire la base di calcolo utilmente spendibile ma si deve invece partire dall’azzeramento del saldo. Gli estratti conto successivi, prevalentemente costituiti da versamenti e, da una certa data in poi, soltanto dalla contabilizzazione d’interessi passivi, determinano l’insussistenza di alcun credito in favore della banca.

Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione la s.p.a. Italfondiario affidato a tre motivi. Ha resistito con controricorso M.V..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso viene dedotta la violazione degli artt. 1823 c.c. e ss., dell’art. 1857 c.c.; degli artt. 1283, 1988 e 2697 c.c. oltre al vizio di motivazione per avere la Corte d’Appello negato il riconoscimento anche parziale del credito alla banca a causa dell’omessa produzione degli estratti conto relativi al periodo 29 maggio 1984 – 30 settembre 1986, senza aver considerato che nel contratto di estensione della fideiussione non era contenuta soltanto una ricognizione contabile del debito ma anche una convenzione perfettamente lecita ex art. 1283 cod. civ. relativa alla capitalizzazione trimestrale degli interessi. Inoltre, come si legge dal testo del contratto, l’estensione ha avuto ad oggetto l’apertura di credito e, conseguentemente, non può essere qualificata come una mera ricognizione di debito.

Nel secondo motivo viene dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1823, 1857, 1988 e 2696 cod. civ. nonchè il vizio di motivazione, per non aver considerato la Corte d’Appello che lo stesso M. aveva riconosciuto l’utilizzazione integrale dell’apertura di credito di Lire 800.000.000 e che la differenza per pervenire al saldo sulla base del quale è stata convenuta l’estensione, era dovuta soltanto agli interessi passivi. In sostanza dagli atti processuali e dal contratto sopra citato risulta dimostrato per tabulas che il credito per sorte capitale è pari a 800.000.000.

Nel terzo motivo viene dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1988 cod. civ. nonchè il vizio di motivazione per avere la Corte d’Appello ritenuto erroneamente che l’invalida applicazione degli interessi anatocistici avesse potuto travolgere anche la sussistenza del debito in linea capitale. La violazione dell’art. 1988 cod. civ. consiste nel non aver ritenuto riconosciuto il debito neanche in linea capitale.

L’invalidità parziale relativa agli interessi non è idonea ad inficiare la validità ed efficacia della ricognizione quanto al capitale.

I tre motivi, logicamente connessi possono essere trattati unitariamente.

Si deve preliminarmente osservare come sia del tutto consolidato l’orientamento di questa Corte secondo il quale: “Nei rapporti bancari in conto corrente, la banca non può sottrarsi all’onere di provare il proprio credito invocando l’insussistenza dell’obbligo di conservare le scritture contabili oltre dieci anni dalla data dell’ultima registrazione, in quanto tale obbligo, volto ad assicurare una più penetrante tutela dei terzi estranei all’attività imprenditoriale, non può sollevarla dall’onere della prova piena del credito vantato anche per il periodo ulteriore”. (da ultimo Cass. 7972 del 2016).

Ne consegue che quando, come nella specie, venga dedotta l’invalidità della clausola contrattuale che stabilisce, in violazione dell’art. 1283 cod. civ. la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, è necessario procedere alla ricognizione dell’ammontare dei medesimi fin dal primo trimestre del rapporto intercorso tra banca e cliente, al fine di escluderne ad ogni cadenza temporale contrattualmente predefinita la capitalizzazione, non potendosi determinare altrimenti l’eventuale saldo passivo residuo dovuto relativo al capitale o, al contrario quello attivo in favore del cliente. La progressiva moltiplicazione dell’ammontare del passivo per effetto della capitalizzazione degli interessi scaduti, sulla quale si producono interessi con identica cadenza cronologica, non consente il calcolo della sorte, sulla base di un saldaconto finale o di un estratto riassuntivo ad una certa data, comunque successiva all’instaurazione del rapporto, perchè l’importo indicato come iniziale contiene un accumulo d’interessi passivi capitalizzati indeterminabile senza la verifica periodica degli estratti conto indicativi dell’andamento del conto, ed in particolare dell’esistenza e dell’ammontare del passivo fino alla data nella quale è stato fissato il saldo.

Da tali premesse deriva la manifesta infondatezza della censura riguardante l’assolvimento del predetto onere probatorio mediante il riconoscimento di debito derivante sia dalla estensione della fideiussione sia dagli atti difensivi del fideiussore in primo grado. Secondo il ricorrente attraverso tali riscontri documentali sarebbe stato agevole distinguere tra capitale pari a 800.000.000 ed interessi passivi da escludere dal saldo finale pari alla differenza tra 1.350.000.000 ed 800.000.000, trascurando tuttavia l’impossibilità di determinarne l’ammontare progressivo per ogni singolo trimestre.

In ordine alla censura relativa all’errata qualificazione giuridica del contratto di estensione della fideiussione come ricognizione di debito deve osservarsi in primo luogo che l’interpretazione del testo negoziale è insindacabile in sede di giudizio di legittimità, non essendo stata dedotta l’illegittima applicazione dei criteri ermeneutici legali. Peraltro è meramente affermata la configurabilità di una valida convenzione ex art. 1283 cod. civ. desumibile dall’estensione della fideiussione. In secondo luogo la ricognizione di debito come esattamente indicato dalla Corte d’Appello ha la funzione di invertire l’onere della prova dell’inesistenza o dell’invalidità, parziale o totale dell’obbligazione sul debitore. Nella specie il debitore ha dedotto, del tutto fondatamente, l’invalidità della stessa in ordine alla clausola relativa alla capitalizzazione degli interessi passivi sulla base della quale si è determinato un saldo finale non corrispondente a quello richiesto. Tale rilievo, od eccezione, non è impedita dalla accertata ricognizione di debito relativa al dato fattuale del saldo. Il principio è stato anche di recente ribadito da questa sezione con la sentenza n. 19792 del 2014 così massimata: In tema di conto corrente bancario, il piano di rientro concordato tra la banca ed il cliente, ove abbia natura meramente ricognitiva del debito, non ne determina l’estinzione, nè lo sostituisce con nuove obbligazioni, sicchè resta valida ed efficace la successiva contestazione della nullità delle clausole negoziali preesistenti.

Il ricorso in conclusione deve essere respinto con applicazione del principio della soccombenza in ordine alle spese processuali.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della parte controricorrente delle spese processuale del presente giudizio da liquidarsi in Euro 10000 per compensi e 200 per spese oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 23 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 1 dicembre 2016

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