Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24544 del 30/10/2013


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 24544 Anno 2013
Presidente: LA TERZA MAURA
Relatore: TRICOMI IRENE

ORDINANZA
sul ricorso 19620-2012 proposto da:
INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE 80078750587,
in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA,
VIA DELLA FREZZA 17, presso l’AVVOCATURA CENTRALE DELL’ISTITUTO,
rappresentato e difeso dagli avvocati PULLI CLEMENTINA, MAURO RICCI,
CAPANNOLO EMANUELA giusta mandato in calce al ricorso;

– ricorrente contro
ANDREANO GIUSEPPINA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA AGRI 1,
presso lo studio dell’avvocato NAPPI PASQUALE, che la rappresenta e difende giusta
delega a margine del controricorso;

– controricorrente avverso la sentenza n. 4084/2011 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il
03/09/2011;
i

Data pubblicazione: 30/10/2013

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 03/10/2013 dal
Consigliere Relatore Dott. IRENE TRICOMI;
udito l’Avvocato Capanno Emanuela difensore del ricorrente che si riporta agli scritti;

è presente il P.G. in persona del Dott. GIULIO ROMANO che si riporta alla relazione.

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FATTO E DIRITTO
Atteso che e’ stata depositata relazione del seguente contenuto.
«Il consigliere relatore osserva quanto segue.
La Corte d’Appello di Roma, con la sentenza n. 4084 del 2011, pronunciando
sull’impugnazione proposta da Andreano Giuseppina nei confronti del Ministero
dell’economia e finanze e dell’INPS, in riforma della sentenza impugnata, dichiarava il
diritto della Andreano all’assegno di invalidità, con decorrenza dal 1° gennaio 2006, e
condannava l’INPS al pagamento dei ratei così maturati, oltre accessori come per
legge.
Per la cassazione della sentenza resa in grado di appello ricorre l’INPS
prospettando un motivo di ricorso.
Resiste l’Andreano con controricorso chiedendo che il ricorso venga dichiarato
inammissibile o rigettato.
Con l’unico motivo di ricorso l’INPS deduce: violazione e falsa applicazione
degli artt. 12 e 13 della legge n. 118 del 1971, dell’art. 26 della legge n. 153 del 1959,
del D.M:, n. 553 del 1992 e dell’art. 35, commi 8 e 9 del d.1 n. 207 del 2008, conv. nella
legge n. 14 del 2009 e succ. mod. dall’art. 13 della legge n. 122 del 2010; dell’art. 2697
cc; degli artt. 414, 416, 345 e 437 cpc, in relazione all’art. 360, n. 3 e 4 cpc, nonché
omessa o insufficiente motivazione sù un punto controverso e decisivo per il giudizio,
in relazione all’art. 360, n. 5, cpc.
Ad avviso del’INPS la Corte d’Appello non poteva ammettere i documenti
reddituali ai sensi dell’art. 437 cpc.
Ed infatti, nel ricorso introduttivo la Andreano nulla deduceva sul requisito
reddituale, né chiedeva di effettuare produzione in merito. L’INPS si costituiva
chiedendo che fosse acclarato il reddito.
Il Tribunale di Roma rigettava la domanda in quanto il CTU non riteneva
sussistente lo stato invalidante.
Solo all’udienza del 21 dicembre 2010, in sede di appello, la ricorrente
chiedeva di produrre come documentazione atto notorio sui reddito e casellario centrale
dei pensionati, con opposizione dell1NPS. All’esito della camera di consiglio del 21
dicembre 2010 la Corte d’Appello rilevata incompleta la documentazione ritenendo
sussistente un inizio di prova, disponeva che la ricorrente producesse documentazione
reddituale proveniente dall’Agenzia delle Entrate relativa al 2006.
Il ricorso è manifestamente infondato.
Ed infatti, come questa Corte ha più volte affermato nel rito del lavoro, e in
particolare nella materia della previdenza e assistenza, stante l’esigenza di contemperare
il principio dispositivo con quello della ricerca della verità materiale, allorché le
risultanze di causa offrono significativi dati di indagine, il giudice, anche in grado di
appello, ex art. 437 cod. proc. civ., ove reputi insufficienti le prove già acquisite, può in
via eccezionale ammettere, anche d’ufficio, le prove indispensabili per la dimostrazione
o la negazione di fatti costitutivi dei diritti in contestazione, sempre che tali fatti siano
stati puntualmente allegati o contestati e sussistano altri mezzi istruttori, ritualmente
dedotti e già acquisiti, meritevoli di approfondimento (ex multis, Cass., n. 6753 del
2012).
Nel rito del lavoro, peraltro, l’omessa indicazione, nell’atto introduttivo del
giudizio di primo grado, ovvero nella memoria difensiva del convenuto, dei documenti,
e l’omesso deposito degli stessi contestualmente a tali atti, determinano la decadenza del
diritto alla produzione dei documenti medesimi; siffatto rigoroso sistema di preclusioni
trova, tuttavia, un contemperamento – ispirato alla esigenza di coniugare il principio
dispositivo con la ricerca della “verità reale” – nei poteri d’ufficio del giudice in materia
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Il Presidente

di ammissione di nuovi mezzi di prova, ai sensi dell’art. 421 cod. proc. civ., e dell’art.
437, secondo comma, cod. proc. civ., nel giudizio di appello (Cass., n.21124 del 2009).
Nella specie, in ragione della statuizione del giudice di primo grado (fondata
sulla mancanza del requisito sanitario), la questione del requisito reddituale era rimasta
sub iudice e correttamente la Corte d’Appello, a fronte di un inizio di prova, esercitava i
poteri di cui all’art. 437 cpc».
L’INPS, in prossimità dell’adunanza camerale ha depositato memoria, con la
quale ribadiva le argomentazioni difensive già svolte, in dissenso con la relazione.
Tali deduzioni non inficiano le conclusioni cui è pervenuta la relazione.
Il Collegio condivide e fa proprie le argomentazioni e le conclusioni che
precedono, atteso che in primo grado al domanda veniva rigettata per la mancanza del
requisito sanitario e, dunque, rimaneva sub iudice la questione del requisito reddituale.
Pertanto la Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in euro
deumilacinquecento per onorario professionale ed euro cento per esborsi, accessori di
legge da distrarsi a favore del difensore costituito avv. Pasquale Nappi, che ne ha fatto
richiesta.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di
giudizio che liquida in euro deumilacinquecento per onorario professionale ed euro
cento per esborsi, accessori di legge, da distrarsi a favore dell’avv. Pasquale Nappi.
Così deciso in Roma, il 3 ottobre 2013

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