Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24544 del 21/11/2011

Cassazione civile sez. VI, 21/11/2011, (ud. 27/10/2011, dep. 21/11/2011), n.24544

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere –

Dott. MACIOCE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

A.B. domiciliato in ROMA, piazza Camerino 15 presso

l’avv. Cipriani Romolo con l’avv. Bia Raffaele del Foro di Bari che

lo rappresenta e difende giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, Commissione Internazionale per la Protezione

Internazionale di Bari;

– intimati –

e

P.G. presso la Corte di Appello di Bari;

– intimato –

avverso la sentenza n. 251 del 24.3.2011 della Corte di Appello di

Bari;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

27.10.2011 dal Cons. Dott. Luigi MACIOCE;

presente il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario G..

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il cittadino (OMISSIS) B.A. (o B.A.) richiese alla Commissione Territoriale competente il riconoscimento dello status di rifugiato e la protezione internazionale sussidiara contestualmente richiedendo anche il rilascio di permesso umanitario.

La Commissione territoriale con atto 7.4.2009 respinse le richieste di protezione – che l’istante fondava sul timore di essere perseguitato e represso dai gruppi terroristici della GIA’ operanti in (OMISSIS), ai quali egli aveva rifiutato di aderire, e nella inerzia od inefficacia dell’azione di polizia – e l’interessato propose ricorso al Tribunale di Bari. Quel Giudice con provvedimento del 31.8.2010 dichiarò inammissibile la richiesta di revoca del decreto 25.1.2010 con il quale era stato dichiarato estinto il giudizio ma il cittadino (OMISSIS) propose reclamo innanzi alla Corte di Bari. La Corte territoriale, dichiarata la nullità del provvedimento 31.8.2010 del primo giudice (e qualificato come appello l’atto di impugnazione) e negato che sussistesse alcuna ipotesi di rimessione ex art. 354 c.p.c., ha esaminato nel merito le opposizioni al diniego di protezione e, con sentenza depositata il 24.3.2011, le ha respinte. In motivazione la Corte di Bari ha osservato che erano chiare le dichiarazioni rese dall’interesatto innanzi alla CT (e le ha interamente riportate) e che altrettanto chiare erano le motivazioni sulla base delle quali la CT aveva negato la protezione, che le dichiarazioni del B. erano prive di credibilità (la pretesa del gruppo terroristico di arruolare tra i propri un ex componente dell’esercito che la aveva combattuta – la improbabilità di una proposta di adesione “alla cieca” – la genericità delle circostanze sull’espatrio – la implausibilità della inefficacia della Polizia algerina nel contrasto del gruppo GIA), che la prova orale chiesta si segnalava per la sua vaghezza, oltre che per la irrilevanza rispetto a quanto già dichiarato, che pertanto non sussistevano le condizioni per concedere lo status nè la protezione internazionale sussidiaria stante la vaghezza delle genericamente addotte condizioni di instabilità dell'(OMISSIS), e di contro l’esistenza di una attuale efficace azione di contrasto della Polizia locale contro il terrorismo, che di converso era al più predicabile una vicenda afferente l’ordine penale interno all’Algeria, che neanche poteva concedersi il permesso umanitario stante il suo carattere temporaneo e strumentale alle tutela principale e la sua pertinenza al Questore.

Per la cassazione di tale sentenza, ritualmente notificata il 31.3.2011, l’interessato ha proposto tempestivo ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35, comma 14 depositandolo il 22.4.2011 ed ivi articolando nove motivi di ricorso, il presidente ha fissato udienza per la discussione e nessuna difesa è stata formulata dall’intimata Amministrazione.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Ritiene il Collegio che meritino condivisione le censure esposte ai motivi 4, 8 e 9 con l’assorbimento della cognizione dei correlati motivi 5, 6 e 7 nel mentre infondati siano i motivi 1, 2 e 3.

Primo motivo: con esso si censura di violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 come interpretato da Cass. 17576 del 2010, fa decisione di fondare la propria valutazione solo sulle dichiarazioni rese dall’interessato. La doglianza non ha fondamento perchè la Corte di Bari ha bensì sviluppato i suo esame critico attorno al narrato del richiedente protezione ma ha anche fatto ricorso al confronto di elementi informativi esterni ed a propri ragionamenti inferenziali (pagg. 15 e 16 sentenza).

Secondo motivo: tale motivo lamenta la ingiustificata negatoria di ammissione alla prova orale sul capitolo articolato in sede di reclamo, trattandosi di fatti precisi e idonei a sostenere la tesi prospettata. La Corte di merito ha rigettato l’istanza di ammissione sul duplice rilievo (pag. 16) della genericità del fatto indicato e della sua scarsa conducenza al fine di riconoscere lo status chiesto, stante la inerzia dell’interessato nel reagire a quel fatto rivolgendosi alla locale Polizia. La motivazione – articolata e puntuale – non è stata fatta segno a censure di illogicità ma solo ad inammissibili espressioni di dissenso.

Terzo motivo: con esso si denunzia la violazione processuale del D.Lgs. n. 10 del 2008, art. 35, commi 10 e 13 (modificati dalla L. n. 94 del 2009, art. 1, comma 13), che farebbe obbligo di sentire in appello l’interessato appellante, posto che il comma 13, dettato per il procedimento d’appello, rinvia alle norme di cui ai commi 5,9 e 10 e quindi anche all’obbligo di audizione personale (“sentite le parti”). Ritiene il Collegio che l’obbligo incombente sul collegio di appello in forza di detto rinvio si qualifichi, per quel che rileva, in termini coerenti con la natura del giudizio di reclamo accordato per la cognizione delle domande in questione, giudizio che resta correlato all’ambito della devoluzione dei fatti se pur con il noto temperamento, proprio della esigenza della primaria tutela dell’interesse in giuoco, della iniziativa officiosa anche del giudice del reclamo per il più completo accertamento dei fatti e delle situazioni prospettate (S.U. 27310 del 2008 e Cass. 17576 del 2010). E pertanto, non è configurabile un automatico incombente della audizione personale in appello ma un diritto del richiedente ad essere sentito in interrogatorio personale su dati e fatti prospettati ed un potere del giudice di appello di valutarne la rilevanza specifica, oltre a quanto già addotto dalla difesa tecnica, dando di tal valutazione una sintetica ma congrua motivazione. In questa prospettiva la censura di nullità del provvedimento per la mera assenza del previo, obbligatorio, interpello, non ha consistenza restando di converso immune da alcuna censura la sintetica ma congrua motivazione resa dalla Corte di merito al primo cpv. della pag. 17 della sentenza.

Si esaminano, quindi, i motivi quarto, ottavo e nono che lamentano le violazioni di legge commesse nel disattendere le subordinate richieste di accordare la protezione sussidiaria o di rilasciare un permesso umanitario, motivi che il Collegio ritiene in parte fondati.

Quarto motivo: censura la decisione di non ammettere la prova orale sulla base della sua astratta irrilevanza (stante la inappagata esigenza di rivolgersi alla Polizia) e la non conferenza rispetto alla questione dell’arruolamento imposto.

Ottavo motivo: censura, con ampia articolazione di dati fattuali sottoposti alla Corte di merito e riprodotti nel motivo, la violazione commessa non ritenendo integrabile la protezione sussidiaria sotto il profilo del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. H, e art. 14, comma 1, lett. C. Le censure, quella sub 4 essendo rilevante nella parte in cui il rifiuto di ammissione della prova si collega alla mancata applicazione delle norme sulla protezione sussidiaria (a sostegno della cui domanda quei fatti capitolati divenivano certamente rilevati), sono fondate.

Effettivamente la Corte di Bari non si è domandata, se non in modo sommario, se il dato afferente la incursione di membri della GIA nell’abitazione del richiedente avesse rilevanza, nel prospettato quadro di gravi conflitti interni e di inefficacia della azione di tutela della polizia, rispetto alla situazione delineata per la protezione sussidiaria (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1 e art. 14, lett. C) e cioè il rischio di personale coinvolgimento in conflitti armati interni e non in una repressione statuale individualizzata. Da un canto la allegazione della vicenda personale (la detta “incursione minacciosa”) offriva il dato fattuale della necessaria individualizzazione del rischio personale (e non della persecuzione). Dall’altro canto le allegazioni riportate a pagg. da 39 a 46 del ricorso attestavano la possibilità di ravvisare in atto un vero conflitto armato e cioè una situazione nella quale, per il mancato pieno controllo pubblico dei territorio, alto fosse il coinvolgimento del soggetto (in quanto “esposto” personalmente) in episodi di indiscriminata violenza. E pertanto devesi affermare che la Corte di merito non ha fatto applicazione del testè rammentato principio di diritto ed ha di contro rifiutato l’ammissione della prova (ed omesso di attivare i suoi poteri officiosi) sulla correlata errata considerazione di irrilevanza.

Nono motivo: esso censura la omessa o incompleta applicazione del permesso umanitario di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 permesso i cui presupposti sarebbero stati comunque evidenti ed il cui rilascio sì sarebbe dovuto ordinare al Questore. La Corte di Bari ha invero totalmente ignorato la norma invocata e confuso il permesso richiesto con quello concedibile in pendenza di procedura di protezione o, di converso, con quelli che ben possono essere rilasciati dalla Autorità di Governo per emergenze straordinarie collettive (D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 10, comma 1).

Quanto al permesso in discorso giova rammentare che le Sezioni Unite di questa Corte hanno avuto modo di precisare (S.U. n. 11535 del 2009), e questa Sezione di ribadire (Cass. 4130 del 2011), che nella vigenza del D.L. n. 416 del 1989, art. 1 quater, comma 4 conv. in L. n. 39 del 1990 inserito dalla L. n. 189 del 2002, art. 32 e con effetto dal 20 aprile 2005 (e vieppiù nel quadro attuale, regolato, quoad substantiam, dal decreto n. 251 del 2007 e, quanto alle procedure, dai D.Lgs. nn. 25 e 159 del 2008) la decisione sulla sussistenza od insussistenza delle condizioni per accedere alla protezione umanitaria spetta interamente, alla Commissione Territoriale nel mentre grava sul Questore l’espletamento degli incombenti ulteriori per il rilascio del permesso umanitario (nell’ambito della previsione di cui al D.P.R. n. 394 del 1999, art. 28, comma 1, lett. D non modificata dal D.P.R. n. 334 del 2004, art. 22 e quindi in applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3). Va anche sottolineato che lo stesso istituto della protezione umanitaria di cui al ridetto art. 5, comma 6 del T.U. viene, nella previsione del D.Lgs. n. 251 del 2007, configurato come un istituto “ad esaurimento” posto che, da un canto, i rinnovi dei pregressi permessi umanitari portano alla loro sostituzione con i permessi per protezione sussidiaria e che, dall’altro canto, nella permanenza interinale dei primi, ai titolari viene riconosciuta una entità di diritti pari a quella garantita dalla nuova protezione (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 34, commi 4 e 5). Ebbene, il testè richiamato quadro è stato affatto ignorato dalla Corte di merito nel mentre si sarebbe dovuta interrogare – all’atto della valutazione della complessiva protezione sussidiaria – se si vertesse in una ipotesi di concedibilità della più breve e tenue protezione, quella che, correlata ad un predeterminato arco di tempo, spetta quando le gravi ragioni di protezione accertate, ed aventi gravità e precisione pari a quelle sottese alla tutela maggiore, siano sol temporalmente limitate (ad esempio per la speranza di una rapida evoluzione della situazione del paese di rimpatrio o per la stessa posizione personale del richiedente, suscettibile di un mutamento che faccia venir meno l’esigenza di protezione).

Da ultimo si deve dare conto dei residui motivi.

Il Quinto motivo: dissente dalla valutazione di implausibilità della decisione di non rivolgersi alla Polizia, posto che dai rapporti internazionali ne emergerebbe la totale inefficienza.

Il Sesto motivo: afferma essere contraddittoria la motivazione sulla inesistenza di plausibilità della richiesta di “arruolamento” terroristico. Settimo motivo: deduce la scarsità di motivazione sulla affermata “estinzione” della GIA. Si tratta all’evidenza di censure su circostanze di fatto che restano assorbite nell’effetto rescindente connesso all’accoglimento dei motivi afferenti la protezione sussisidiaria ed il permesso umanitario.

Conclusivamente si cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti e si rinvia allo stesso Ufficio anche per le spese.

P.Q.M.

Rigetta i motivi primo, secondo e terzo, accoglie i motivi quarto, ottavo e nono e dichiara assorbiti i motivi quinto, sesto e settimo;

cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per regolare le spese, alla Corte di Appello di Bari in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 27 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 21 novembre 2011

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