Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24543 del 04/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 04/11/2020, (ud. 24/06/2020, dep. 04/11/2020), n.24543

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – rel. Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. NICASTRO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SAIEVA Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 1017/14 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

i cui uffici in Roma, alla via dei Portoghesi, 12 è elettivamente

domiciliata

– ricorrente –

contro

(OMISSIS), in persona del Curatore, rappresentata e difesa, in virtù

di procura in calce al controricorso, dall’avv. Fiumanò Carlo, con

domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Mancini Cesare, in Roma,

via Ulpianò, n. 29;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria regionale della

Toscana n. 61/35/12 depositata in data 5 novembre 2012;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24 giugno

2020 dal Consigliere Dott.ssa Condello Pasqualina Anna Piera.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. La società (OMISSIS) s.r.l., che svolgeva attività di lavanderia industriale, impugnava l’avviso di accertamento, relativo all’anno 2004, emesso dall’Agenzia delle entrate con cui, in applicazione dello studio di settore TG67U, venivano rideterminati maggiori ricavi per Euro 1.516.060,00, con conseguente recupero a tassazione di IRES, IRAP e I.V.A. La contribuente lamentava la carenza di motivazione dell’atto impositivo, poichè non risultava allegato alcun prospetto idoneo a ricostruire l’iter logico-giuridico seguito dall’Ufficio nella ricostruzione dei ricavi, e deduceva la sussistenza di elementi oggettivi capaci di giustificare lo scostamento rilevato.

La Commissione tributaria provinciale di Pistoia, premettendo che “le argomentazioni del ricorrente sono tali da dimostrare la non attendibilità del risultato dell’applicazione dello studio in relazione alla specifica situazione oggetto del controllo”, accoglieva il ricorso e avverso la decisione proponeva appello l’Ufficio.

2. La Commissione tributaria regionale della Toscana rigettava l’impugnazione, rilevando l’illegittimità dell’avviso di accertamento che traeva origine dal mero scostamento dei dati dichiarati dal contribuente rispetto a quelli relativi alla media del settore, senza che l’Amministrazione, sulla quale gravava il relativo onere, avesse suffragato la pretesa fiscale con ulteriori elementi ed indizi e in difetto di argomentazioni in ordine alle giustificazioni prospettate dal contribuente.

3. Ricorre per la cassazione della sentenza d’appello l’Agenzia delle entrate, affidandosi a tre motivi. La Curatela del Fallimento di (OMISSIS) resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. In controricorso la Curatela del Fallimento ha eccepito la inammissibilità del ricorso perchè proposto oltre il termine decadenziale di cui all’art. 327 c.p.c., sottolineando che il termine per proporre il ricorso avverso la sentenza di secondo grado, pubblicata in data 5 novembre 2012, andava a scadere il 20 dicembre 2013, mentre il ricorso era stato consegnato per la notifica in data 23 dicembre 2013.

L’eccezione va disattesa. Risulta pacifico che il giudizio è stato instaurato in data antecedente al 4 luglio 2009 e, quindi, in data antecedente alla modifica dell’art. 327 c.p.c., introdotta dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, che ha sostituito il termine di decadenza di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza all’originario termine annuale (applicabile ai soli giudizi instaurati dopo la sua entrata in vigore e, quindi, dal 4 luglio 2009) (Cass., sez. 1, 5/10/2012, n. 17060; Cass., sez. 2, 17/04/2012, n. 6007; Cass., sez. 6-5, 21/06/2013, n. 15741; Cass., sez. 6-3, 6/10/2015, n. 19969).

Dovendosi, dunque, applicare il cd. termine lungo di un anno a cui devono aggiungersi i 46 giorni per la sospensione feriale (dal 1 agosto al 15 settembre 2013), il termine per proporre il ricorso scadeva in data 21 dicembre 2013; considerato che il 21 dicembre 2013 era un sabato, per cui era applicabile la proroga prevista dall’art. 155 c.p.c., deve ritenersi che il ricorso sia stato tempestivamente proposto entro il 23 dicembre 2013, data in cui è stata richiesta la notifica dello stesso, per come emerge dal timbro postale apposto dalle Poste Italiane s.p.a. in calce alla ricevuta di accettazione della raccomandata.

2. Con il primo motivo la difesa erariale deduce la violazione e falsa applicazione del D.L. n. 331 del 1993, art. 62-sexies, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), e comma 2, lett. d-bis, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, nonchè del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56. Premette che il contribuente, sebbene invitato a partecipare al contraddittorio finalizzato a chiarire le ragioni dello scostamento rilevato, non si è presentato e che, sulla scorta dell’interpretazione data da questa Corte, in mancanza di giustificazioni da parte del contribuente in sede di contraddittorio, l’Ufficio è legittimato ad emettere avviso di accertamento fondato sulle sole risultanze degli studi di settore; la decisione impugnata, ad avviso della ricorrente, risulta, quindi, errata perchè ha annullato l’atto impositivo per il solo fatto che lo stesso poggia esclusivamente sullo scostamento rilevato.

3. Con il secondo motivo deduce nullità della sentenza e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 36, 53 e 61 e dell’art. 132 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, essendosi i giudici di merito limitati a utilizzare clausole di stile, puramente assertive, al fine di giustificare l’infondatezza dell’appello.

4. Con il terzo motivo censura la sentenza per omessa e/o insufficiente motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio o comunque per omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti, lamentando che la Commissione regionale non spiega in alcun modo quali siano i documenti e gli elementi giustificativi idonei a dimostrare la congruità dei ricavi dichiarati, nè argomenta sulle specifiche censure contenute nell’appello dell’Ufficio.

5. Va innanzitutto escluso il denunciato vizio di assoluta carenza di motivazione di cui al secondo motivo. Va rammentato che il vizio di motivazione apparente della sentenza ricorre quando il giudice, in violazione di un preciso obbligo di legge, costituzionalmente imposto (art. 111 Cost., comma 6), ometta di esporre i motivi di fatto e diritto della decisione, di specificare e illustrare le ragioni che sorreggono la decisione, chiarendo su quali prove ha fondato il proprio convincimento, consentendo in tal modo di verificare se abbia giudicato iuxta alligata et probata. La sanzione di nullità colpisce, quindi, non solo le sentenze che risultino del tutto prive di motivazione dal punto di vista grafico o che presentino una “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (Cass. Sez. U, 7/04/2014, n. 8053), ma anche quelle che contengono una motivazione meramente apparente, nel senso che, dietro la parvenza di una giustificazione della decisione assunta, la motivazione non consenta di comprendere le ragioni e, quindi, le basi della sua genesi e l’iter logico seguito per pervenire da essi al risultato enunciato (Cass., sez. 3, 25/02/2014, n. 4448), non assolvendo in tal modo alla finalità sua propria, che è quella di esternare il ragionamento che partendo da certe premesse pervenga, con un ragionamento logico, a spiegare il risultato delle conclusioni raggiunte sulla res decidendi (Cass., Sez. U, 3/11/2016, n. 22232).

Questa Corte ha più volte ribadito che la motivazione è solo apparente quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass., Sez. U, 3/11/2016, n. 22232; Cass., sez. 6-5, 15/6/2017, n. 14927).

La motivazione della sentenza in questa sede impugnata non risulta affetta dalle gravi anomalie individuate nei citati arresti giurisprudenziali, avendo i giudici di appello respinto l’appello affermando che l’atto impositivo è viziato perchè fondato sul mero scostamento dei dati dichiarati rispetto a quelli desunti dall’applicazione dello studio di settore e che l’Amministrazione finanziaria non ha supportato la pretesa impositiva con ulteriori elementi ed indizi capaci di dimostrare l’inattendibilità dei dati riscontrati.

6. Il primo ed il terzo motivo, da esaminare congiuntamente perchè strettamente connessi, sono fondati.

Questa Corte ha ripetutamente affermato il principio secondo cui “i parametri o studi di settore previsti dalla L. 28 dicembre 1995, n. 549, art. 3, commi da 181 a 187, rappresentando la risultante dell’estrapolazione statistica di una pluralità di dati settoriali acquisiti su campioni di contribuenti e dalle relative dichiarazioni, rivelano valori che, quando eccedono il dichiarato, integrano il presupposto per il legittimo esercizio da parte dell’Ufficio dell’accertamento analitico-induttivo, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ex art. 39, comma 1, lett. d), che deve essere necessariamente svolto in contraddittorio con il contribuente, sul quale, nella fase amministrativa e, soprattutto, in quella contenziosa, incombe l’onere di allegare e provare, senza limitazioni di mezzi e di contenuto, la sussistenza di circostanze di fatto tali da allontanare la sua attività dal modello normale al quale i parametri fanno riferimento, sì da giustificare un reddito inferiore a quello che sarebbe stato normale secondo la procedura di accertamento tributario standardizzato, mentre all’ente impositore fa carico la dimostrazione dell’applicabilità dello standard prescelto al caso concreto oggetto di accertamento” (Cass., sez. 5, 20/02/2015, n. 3415).

Peraltro, è stato già precisato che “in tema di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore, la relativa procedura costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standard in sè considerati, ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente con il contribuente, il quale, in tale sede, ha la facoltà di contestare l’applicazione dei parametri provando, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli standard o la sussistenza di circostanze concrete che giustificano lo scostamento della propria posizione reddituale, con ciò costringendo l’Ufficio – ove non ritenga attendibili le allegazioni di parte – ad integrare la motivazione dell’atto impositivo indicando le ragioni del suo convincimento (cfr. Cass., sez. 5, 20/09/2017, n. 21754; Cass., sez. 5, 7/06/2017, n. 14091). L’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice liberamente valutare tanto l’applicabilità degli standard al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato dalle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa. In tal caso, però, egli assume le conseguenze di questo suo comportamento, in quanto ogni qual volta il contraddittorio sia stato regolarmente attivato ed il contribuente ometta di parteciparvi ovvero si astenga da qualsivoglia attività di allegazione, l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli standard (Cass., Sez. U., 18/12/2009, n. 26635) e non è tenuto ad offrire alcuna ulteriore dimostrazione della pretesa esercitata in ragione del semplice disallineamento del reddito dichiarato rispetto ai menzionati parametri (Cass., sez. 5, 6/08/2014, n. 17646; Cass., sez. 6-5, 16/05/2016, n. 10047; Cass., sez. 5, 20/09/2017, n. 21754; Cass., sez. 5, 30/10/2018, n. 27617; Cass., sez. 5, 18/09/2019, n. 23252).

Se ne deduce che, nella specie, legittimamente l’Amministrazione finanziaria, dopo avere instaurato il contraddittorio con il contribuente, ha emesso l’avviso di accertamento fondandolo sullo studio di settore, in assenza di attività di allegazione e prova contraria da parte del contribuente.

6.1. Ovviamente, come già detto, l’omessa partecipazione attiva al contraddittorio endoprocedimentale del contribuente non impedisce a quest’ultimo di far valere le proprie ragioni in sede contenziosa, ma il giudice di merito è tenuto a valutare se gli elementi allegati siano sufficienti a vincere le presunzioni legali che assistono l’accertamento dell’Amministrazione e se queste siano comunque idonee, anche da sole, a fondare la validità dell’accertamento.

Nella fattispecie in esame la Commissione tributaria regionale è addivenuta all’annullamento dell’atto impositivo sul rilievo che lo stesso poggiasse soltanto sul mero scostamento dei dati dichiarati rispetto a quelli accertati presuntivamente mediante l’applicazione dello studio di settore, ma ha tralasciato di esaminare fatti di valore sicuramente decisivo che, ove adeguatamente valutati, avrebbero potuto condurre ad una diversa decisione, avendo omesso di considerare tutti gli elementi evidenziati nella motivazione dell’avviso di accertamento – puntualmente richiamati nel ricorso per cassazione in omaggio al principio di autosufficienza (pagg. 7 e 8) – volti ad evidenziare che l’incrocio dei dati relativi ai valori legati alla grande quantità di costi sostenuti per la produzione dei servizi e le spese per acquisti di servizi (come l’acquisto dei prodotti per i lavaggi, la corrente elettrica, i carburanti per i trasporti in conto proprio, le manutenzioni sui macchinari), alla grande quantità dei beni ammortizzabili utilizzati nel processo lavorativo e alla quantità e qualità del personale dipendente impiegato denotavano chiaramente una maggiore potenzialità nella produzione dei ricavi rispetto a quelli dichiarati dalla contribuente ed evidenziavano la presenza di anomalie nella gestione aziendale. Ha, inoltre, trascurato di spiegare se le argomentazioni di segno contrario addotte dalla contribuente, la quale -come si evince dallo stralcio dell’atto di appello dell’Ufficio pure riportato in ricorso – aveva evidenziato che nell’anno 2004 per fronteggiare la congiuntura sfavorevole aveva dovuto mutare natura giuridica, trasformandosi da società di capitali in società di persone, pur essendosi il bilancio di quell’anno chiuso con un utile di Euro 38.746,00, ed era poi fallita circa quattro anni dopo (nel 2008), fossero idonee a giustificare lo scostamento rilevato ed a superare gli elementi presuntivi offerti dall’Ufficio.

7. Si impone, pertanto, la cassazione della sentenza impugnata con rinvio della causa alla Commissione tributaria regionale della Toscana, in diversa composizione, perchè proceda a nuovo esame, oltre che alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

rigetta il secondo motivo di ricorso ed accoglie il primo ed il terzo motivo; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Toscana, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 24 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2020

 

 

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