Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24540 del 02/10/2019

Cassazione civile sez. trib., 02/10/2019, (ud. 27/05/2019, dep. 02/10/2019), n.24540

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. SAIEVA Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 22463/2013 R.G. proposto da:

ANTICHITALIA S.r.l., rappresentata e difesa dall’avv. Francesco

Saverio Bonifacio Pansini del foro di Trani, elettivamente

domiciliato a Roma, in Viale Giulio Cesare n. 71, presso l’avv.

Sandro De Marco;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato,

domiciliata ope legis a Roma, in Via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

AGENZIA DELLE ENTRATE, Direzione Provinciale di (OMISSIS);

– intimata –

Avverso la sentenza della Commissione Tributaria regionale della

Puglia n. 90/05/2012 pronunciata il 18.6.2012 e depositata il

3.12.2012;

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 27.5.2019 dal

Consigliere Dott. Giuseppe Saieva;

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale, Dott. Umberto De Augustinis, che ha concluso per il

rigetto del ricorso;

Udito il difensore del ricorrente avv. Giovanni Pansini che ha

concluso per l’accoglimento del ricorso;

Udito il difensore della controricorrente, in persona dell’Avvocato

dello Stato Pietro Garofoli, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La s.r.l. Antichitalia di (OMISSIS), operante nel settore dell’edilizia, impugnava innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Bari l’avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate in applicazione dello studio di settore, accertava, per l’anno d’imposta 2004 un maggior volume d’affari e maggiori ricavi rispetto al dichiarato e procedeva a rideterminare maggiori imposte (IRES, IRAP ed IVA), nonchè sanzioni complessive per Euro 103.755.

2. La contribuente chiedeva l’annullamento dell’atto impugnato eccependo l’illegittimità del metodo di accertamento adottato basato sull’applicazione acritica dello studio di settore, senza fornire elementi di prova e senza motivare il rigetto delle osservazioni formulate dalla ricorrente in sede di contraddittorio.

3. L’Ufficio finanziario si costituiva in giudizio e si opponeva all’accoglimento del ricorso, assumendo che la società non aveva fornito alcun elemento idoneo a contrastare il risultato dello studio di settore e che il solo rilievo che la società avesse operato costantemente in condizioni di antieconomicità giustificava la rettifica della dichiarazione.

4. La Commissione Tributaria Provinciale accoglieva il ricorso.

5. Avverso tale decisione l’Agenzia delle Entrate proponeva appello dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale, deducendo violazione e falsa applicazione del D.L. n. 331 del 1993, art. 62 bis e sexies, nonchè del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. D).

6. La C.T.R. accoglieva l’appello interposto dall’Agenzia con sentenza n. 90/05/2012, pronunciata il 18.6.2012 e depositata il 3.12.2012; decisione avverso cui la società proponeva ricorso per cassazione affidandolo a cinque motivi.

7. L’agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.L. n. 331 del 1993, art. 62 bis e art. 62 sexies, nonchè del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, anche in relazione all’art. 2697 c.c., (onere della prova) ed all’art. 53 Cost., lamentando che i giudici di appello, limitandosi a rilevare unicamente talune incongruenze relative all’antieconomicità gestionale, non hanno preso in alcuna considerazione le giustificazioni fornite in sede di contraddittorio dalla contribuente, omettendo di considerare che nell’anno di riferimento (2004) la stessa non aveva stipulato nessun atto di trasferimento immobiliare, come peraltro avvenuto anche negli anni precedenti (dal 2002); che per le annualità di riferimento, l’attività societaria si era limitata alla acquisizione di immobili nel centro storico; che nessun atto, neppure a contenuto obbligatorio, era stato stipulato e sottoscritto nel corso dell’anno 2004; e infine che nell’anno di riferimento l’80% circa degli immobili della società era rimasto invenduto.

2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.L. n. 331 del 1993, art. 62 bis e art. 62 sexies, nonchè del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, anche in relazione agli artt. 2727 e 2729 c.c., (rilevanza delle presunzioni) ed all’art. 53 Cost., (principio di capacità contributiva), lamentando che la C.T.R. non aveva considerato che i maggiori redditi presunti, ipotizzati dall’Ufficio sulla base dello studio di settore, non potevano essere stati conseguiti in difetto di qualsiasi atto di cessione di immobile o comunque traslativo di diritti reali nel corso dell’anno 2004 e ribadendo la circostanza che a fronte di una contabilità non contestata (affatto smentita dall’Ufficio) non trovavano fondamento alcuno i maggiori ricavi determinati dall’Agenzia, le cui conclusioni, accolte dalla C.T.R., poggiavano sulla applicazione automatica ed acritica dello studio di settore, senza alcuna valutazione degli elementi addotti a prova contraria.

2.1. Detti motivi, dei quali appare evidente sia la connessione che l’infondatezza, vanno trattati congiuntamente.

2.2. Invero, la C.T.R. ha correttamente applicato i principi espressi da questa Corte secondo i quali, pur in presenza di una contabilità formalmente regolare, ma complessivamente inattendibile in quanto configgente con i criteri della ragionevolezza, anche sotto il profilo della antieconomicità del comportamento del contribuente, l’amministrazione finanziaria può accertare in via induttiva il reddito reale del contribuente, facendo anche ricorso agli studi di settore che a tal fine, come si evince dal D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 62 sexies, convertito in L. 29 ottobre 1993, n. 427, costituiscono uno degli strumenti all’uopo utilizzabili (cfr. Cass. 12167/2014; n. 20060/2014; 26036/2015).

2.3. Detto strumento, come affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, con sentenza 18 dicembre 2009, n. 26635, acquisisce valenza di prova presuntiva qualificata (da gravità, precisione e concordanza), circa la sussistenza di un maggior reddito, all’esito del necessario contraddittorio con il contribuente, il quale, in quella sede, ha l’onere di dimostrare la sussistenza di fatti idonei a giustificare lo scostamento dal reddito desumibile dagli studi di settore; l’Ufficio a propria volta ha l’obbligo di motivare in ordine alle ragioni per le quali ha ritenuto di disattendere le giustificazioni fornite dal contribuente. A tale principio il giudice di appello si è attenuto, avendo ritenuto che le ragioni offerte dalla contribuente, in difetto di qualsiasi riscontro, erano idonee a giustificare la rettifica operata dall’Ufficio impositore.

2.4. Disattendendo le eccezioni e le argomentazioni della ricorrente la C.T.R. ha quindi correttamente applicato la normativa vigente per l’accertamento in base agli studi di settore, tenendo conto degli elementi concreti che influivano sulla determinazione dei ricavi emersi nel corso del contraddittorio tra le parti, mentre ogni ulteriore valutazione circa la rilevanza probatoria delle asserite giustificazioni addotte dalla contribuente costituisce apprezzamento di merito non censurabile in questa sede.

2.5. Del resto è pacifico che ogni qual volta il contraddittorio sia stato regolarmente attivato ed il contribuente abbia omesso di parteciparvi ovvero si sia astenuto da qualsivoglia attività di allegazione, “l’ufficio non è tenuto ad offrire alcuna ulteriore dimostrazione della pretesa esercitata in ragione del semplice disallineamento del reddito dichiarato rispetto ai menzionati parametri” (Sez. 5, Sentenza n. 17646 del 06/08/2014).

3. Con il terzo motivo la ricorrente deduce nullità della sentenza e omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione su un fatto controverso, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), lamentando che le conclusioni dei giudici di secondo grado non avevano tenuto alcun conto della inesistenza di fatti generatori di tributo e della impossibilità di ritenere provata la sussistenza di ricavi non dichiarati, benchè la tracciabilità delle operazioni nel settore immobiliare non consentisse alcuna possibilità di occultamento.

3.1. Detta censura si rivela inammissibile, atteso che la sentenza d’appello impugnata in questa sede è stata depositata dopo l’11.9.2012 e dovendosi applicare al presente giudizio il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, ne consegue che i motivi non sono conformi alla nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, applicabile ratione temporis, che ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario (fatto da intendersi come un “preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, non assimilabile in alcun modo a “questioni” o “argomentazioni”), la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, ossia che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (cfr. Cass. 8053/2014; Cass. 21152/2014 e da ultimo, Cass. 8758/2017).

3.2. Nel caso di specie la ricorrente non ha indicato alcun “fatto storico” (nel senso su precisato), ma si è limitata a contestare le conclusioni cui era giunta la C.T.R. in relazione alla legittimità delle conclusioni dell’Ufficio finanziario, contrapponendo inammissibilmente a detta conclusione le proprie valutazioni in ordine alle risultanze istruttorie.

4. Con il quarto motivo la ricorrente deduce ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione di norme di diritto anche in relazione all’art. 53 Cost., (principio di capacita contributiva), e art. 41 Cost., comma 1, (principio di libertà di iniziativa economica ed imprenditoriale), lamentando che la sentenza impugnata va anche censurata sotto il profilo dell’appiattimento ad un generico criterio di antieconomicità nell’attività di impresa esercitata dalla società che confligge in maniera stridente con gli artt. 53 e 41 Cost., comma 1, ed in particolare con il principio della libertà della iniziativa economica che esclude un intervento da parte dell’Agenzia delle Entrate nella gestione d’impresa che, attraverso questo criterio, intende dimostrare una presunta evasione fiscale.

5. Con il quinto motivo la ricorrente deduce ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, (Legge sull’imposta sul valore aggiunto – IVA) alla luce delle direttive Comunitarie IVA e in particolare della IV Direttiva, assumendo che alla luce della disciplina comunitaria contenuta nella Direttiva IVA sussisterebbero enormi perplessità sulla compatibilità del sistema di accertamento presuntivo in materia di IVA mediante studi di settore con la disciplina IVA comunitaria, che si fonda sul principio della effettività e della specificità del fatto generatore del tributo.

5.1. Detti motivi (quarto e quinto), pur se formulati per la prima volta nel giudizio di legittimità sono ammissibili. Occorre, infatti, ricordare che i giudici nazionali hanno l’obbligo di verificare la compatibilità del diritto interno con le norme di diritto comunitario primario e secondario, indipendentemente da una specifica domanda di parte (v. Cass. sentenze n. 7909 del 9.6.2000 e 13225 del 16.7.2004).

5.2. Entrambi vanno comunque disattesi. La compatibilità con il diritto comunitario della disciplina nazionale ispirata agli studi di settore è stata già positivamente scrutinata dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea (v. sentenza n. 648 del 21.11.2018), il cui orientamento recepito anche da questa Corte (cfr., da ultimo, Sez. 5 sentenza n. 7123 del 13.3.2019 e ordinanza n. 8854 del 29.3.2019), si pone in linea anche con la giurisprudenza della Corte costituzionale la quale non ha mai escluso la legittimità delle presunzioni, “compatibili con l’art. 53 Cost.”, purchè “siano confortate da elementi concreti che le giustifichino razionalmente” (Corte Cost., 26 marzo 1980, n. 42; cfr., anche, Corte Cost., 28 luglio 1976, n. 200 e 23 luglio 1987, n. 283).

6. Il ricorso va pertanto rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Sussistono i presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio in favore dell’Agenzia delle Entrate che liquida in 5.000,00 Euro, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 27 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 2 ottobre 2019

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