Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24536 del 30/10/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 24536 Anno 2013
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: PAGETTA ANTONELLA

SENTENZA
sul ricorso 8886-2010 proposto da:
DALMASSO MARIO C.F. DLMMRA46M31H501I, domiciliato in
ROMA, VIA CHIANA 48, presso lo studio dell’avvocato
PILEGGI ANTONIO, che lo rappresenta e difende, giusta
delega in atti;
– ricorrente 2013
2688

contro

FISASCAT CISL – FEDERAZIONE ITALIANA SINDACATI ADDETTI
SERVIZI COMMERCIALI AFFINI E DEL TURISMO, in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II 326,

Data pubblicazione: 30/10/2013

presso lo studio dell’avvocato SCOGNAMIGLIO CLAUDIO,
che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n.

2165/2008 della CORTE D’APPELLO

di ROMA, depositata il 24/03/2009 R.G.N. 2866/2004;

udienza del 25/09/2013 dal Consigliere Dott. ANTONELLA
PAGETTA;
udito l’Avvocato PILEGGI ANTONIO;
udito l’Avvocato SCOGNAMIGLIO CLAUDIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA ) che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

Svolgimento del processo
Con la domanda di cui al ricorso di primo grado Mario Dalmasso ha esposto: di essere stato
dipendente della Federconsorzi in CIGS, ricollocato nella Pubblica Amministrazione a partire dal
1.6.1996, posto in aspettativa sindacale non retribuita dal 1.7.1996 su richiesta della Fils Cisl e quindi, a
partire dal 1.3.1997- retribuito dal Ministero delle risorse agricole ed alimentari – in distacco sindacale
formalmente presso la Fils Cisl ma in realtà collaborando a tempo pieno come funzionario con la

dalla data del 15 febbraio 2000 e che la Fisascat gli aveva comunicato in relazione a tale lettera la
cessazione del rapporto di collaborazione. Ha chiesto applicarsi al rapporto con la Fisascat Cisl il
Regolamento tipo previsto per i trattamenti economici e normativi dei dirigenti con incarichi elettivi e
degli operatori delle strutture Fisascat Cisl e la condanna della convenuta al pagamento delle relative
differenze quantificate in 125.734.257; la declaratoria dell’illegittimità dell’atto di risoluzione del
rapporto del 31.1.2000 e la condanna della Fisascat Cisl ad una somma pari a sei mensilità dell’ultima
retribuzione da funzionario Fisascat oltre al risarcimento del danno alla professionalità ed all’immagine
da determinato in £45.111.096 o in altra somma ritenuta di giustizia.
Il Tribunale ha respinto la domanda . La decisione è stata confermata dalla Corte d’appello di Roma.
Il decisum del giudice di appello è stato fondato sulle seguenti considerazioni :
l’atto di risoluzione del rapporto è legittimo in quanto l’art. 22 del Regolamento invocato dal
ricorrente, prevede la possibilità di risolvere il rapporto a tempo indeterminato con la sola
osservanza di termini preavviso o, in caso di mancato preavviso, con il pagamento di
un’indennità, questione – quella del preavviso — estranea alla materia del contendere;
la pretesa risarcitoria è infondata mancando la prova del dedotto danno all’immagine ed alla
professionalità . La relativa allegazione risulta formulata in termini alquanto generici, in
violazione delle indicazioni di cui alla sentenza a sezioni unite n. 6572 del 2006; la prova
testimoniale a riguardo offerta è inadeguata, .non individuando le specifiche conseguenze
pregiudizievoli in ipotesi subite dal Dalmasso;
la domanda di pagamento delle differenze retributive, anche a voler ritenere che la stessa, a
differenza di quanto affermato dal primo giudice, non presupponga l’accertamento della
subordinazione ( nonostante l’ambiguità del richiamo nel ricorso di primo grado ai parametri e
criteri dell’art. 36 Cost. e dell’art. 8 L. n. 604 del 1966) è rimasta sfornita di riscontri. La prova
testimoniale articolata dal ricorrente è inammissibile in quanto demanda ai testi la valutazione
in ordine alla generale applicabilità del Regolamento ed alla sua concreta applicazione al
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Fisascat Cisl; che il 24.1.2000 la Cisl Fps gli aveva comunicato la cessazione del distacco a decorrere

personale nella medesima condizione del Dalmasso. Quest’ultima circostanza è priva di rilievo
stante l’assenza di un obbligo generale di garantire ai lavoratori la parità di trattamento.
il capo I del Regolamento che riguarda gli operatori delle strutture Fisascat Cisl fra i quali si colloca
il Dalmasso presuppone per la sua applicabilità e specificamente per l’applicabilità del
trattamento retributivo del Capo I, oggetto di domanda, l’instaurazione di un rapporto di lavoro
subordinato, ipotesi questa non ricorrente nella fattispecie come espressamente ammesso dal

l’art. 25, l’ultimo del capo I del Regolamento, prende in considerazione quegli operatori che
sono semplici collaboratori e non dipendenti ma solo per stabilire che i relativi compensi sono
determinati dalla Segreteria e non dal Regolamento. Neppure è applicabile il capo II° del
Regolamento che disciplina l’ipotesi del dirigente in aspettativa sindacale, in quanto tale capo
concernente esclusivamente i dirigenti con incarichi elettivi tra i quali pacificamente non rientra il
Dalrnasso
Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso affidato a due motivi Mario Dalrnasso
La parte intimata ha depositato controricorso.
Motivi della decisione

Dalrnasso

Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce motivazione insufficiente ed illogica in ordine,
alla mancata ammissione della prova testimoniale nonché su circostanze decisive ai fini della
controversia. In particolare censura la decisione per avere, senza in alcun modo motivare e senza
ammettere la prova sul punto, considerato il ricorrente “collaboratore” ai sensi dell’art. 25 del
Regolamento anziché un operatore a tempo pieno impegnato nella struttura e nell’attività
dell’organizzazione sindacale a vari livelli e come tale assoggettato alla disciplina del Regolamento.
Censura la mancata ammissione della prova orale in ordine alla circostanza dell’applicabilità del
Regolamento non solo ai dipendenti assunti direttamente dall’organizzazione sindacale, ma anche ai
dirigenti con incarichi elettivi, e agli operatori inseriti nelle strutture dell’organizzazione in aspettativa o
distacco sindacale. Premesso che il Regolamento non fa mai riferimento quali soggetti destinatarii dello
stesso ai dipendenti ovvero ai lavoratori subordinati ma ai dirigenti con incarichi elettivi e agli operatori,
sostiene che l’accertamento relativo alla sua costante applicazione agli operatori in regime di distacco o
di aspettativa sindacale risultava imprescindibile ai fini della verifica della fondatezza del diritto al
relativo trattamento economico. In questa prospettiva deduce la incongruità del richiamo al principio
di parità di trattamento; contesta il carattere valutativo della prova orale articolata sul punto ed
evidenzia che essa non tendeva solo a dimostrare che la Fisascat Cisl era tenuta ad applicare il
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Regolamento anche nei confronti di un operatore in distacco sindacale ma che in concreto lo
applicasse alla generalità degli operatori Deduce l’omessa considerazione di emergenze documentali
che assume decisive relative all’attività di operatore a tempo pieno svolta dal ricorrente ed al suo
stabile inserimento stabile nelle strutture Fisascat . Denuncia l’omessa considerazione di una circolare
Cisl prodotta in secondo grado relativa alla corretta applicazione del Regolamento. Censura la mancata
applicazione del principio di non contestazione in relazione ad alcune circostanze allegate in ricorso

ritenuto applicabile il Regolamento solo ai dipendenti in senso tecnico in ragione del fatto che in esso
sono previsti istituti tipici del rapporto di lavoro subordinato “come se gli istituti in questione non
fossero applicabili anche ad operatori non dipendenti da soggetto pubblico o privato, da cui sono
distaccati sindacalmente, o che li ha collocati in aspettativa sindacale non retribuita”
Con il secondo motivo di ricorso, denunziando insufficienza di motivazione, parte ricorrente denuncia
l’errore della sentenza impugnata per avere ha escluso la sussistenza del danno scaturente dalla revoca
sulla base del medesimo Regolamento ritenuto in concreto inapplicabile ad esso Dalmasso ; sostiene
che la previsione della possibilità di recesso ad nutum con preavviso, non potrebbe che valere per gli

operatori” non dipendenti; . precisa che il richiamo in domanda all’art. 8 L. n. 604 del 1966 costituiva

un mero parametro di riferimento per la quantificazione del danno
La parte intimata ha depositato controricorso
Parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ. .
Motivi della decisione
Il primo motivo di ricorso è infondato. Nella parte in cui denunzia l’errore della sentenza impugnata
per non avere considerato il Dalmasso operatore a tempo pieno stabilmente inserito nella struttura
sindacale, la censura non investe le ragioni della esclusione del diritto al trattamento economico previsto
dal Regolamento. Inveroi a prescindere dal rilievo che la Corte territoriale espressamente annovera il
Dalmasso tra gli operatori delle strutture Fisascat Cisl e che in nessun punto è detto che non era un
collaboratore a tempo pieno, si osserva che le ragioni della esclusione dell’applicabilità del trattamento
economico previsto dal Regolamento risiedono esclusivamente nel fatto che la sentenza ritiene detto
trattamento applicabile solo in presenza di un rapporto di lavoro subordinato intrattenuto con la
struttura sindacale. Questa conclusione è stata motivata con richiamo, sia pure sintetico, a specifiche
previsioni del Capo I del Regolamento, che facevano riferimento a istituti propri del rapporto di lavoro
subordinato. In tale contesto argomentativo il richiamo all’art. 25, l’ultimo del Capo I del Regolamento,
assume valenza rafforzativa della conclusione attinta dal giudice del gravame. La interpretazione del
Capo I delle previsioni regolamentari come esclusivamente riferita a rapporti di lavoro dipendente non
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con riferimento all’applicazione del Regolamento. Deduce, infine la erroneità della sentenza per avere

risulta adeguatamente contrastata in ricorso. Premesso che la struttura sindacale presso la quale il
Dalmasso operava in distacco sindacale è soggetto privato e che pertanto il relativo Regolamento
costituisce atto di autonomia privata, era necessaria, al fine del sindacato di legittimità, la deduzione
della violazione di specifiche regole ermeneutiche previste dagli artt. 1362 e segg. c.c. per i contratti
collettivi di diritto comune e, in generale, per gli atti negoziali di diritto privato. La relativa
interpretazione infatti è devoluta al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità soltanto per

di ermeneutica contrattuale(v. Cass. n. 15153 del 2001). Non essendo censurata adeguatamente
l’affermazione relativa all’applicabilità del Capo I del Regolamento al solo rapporto di lavoro
dipendente la circostanza, enfatizzata dal ricorrente, di essere era operatore a tempo pieno si rivela
ininfluente, in assenza della dimostrazione della esistenza con Fisascat Cisl di un rapporto di lavoro
dipendente, pacificamente escluso dall’interessato. In questa prospettiva divengono prive di decisività le
censure con le quali parte ricorrente denunzia la mancata valutazione delle emergenze documentali
destinate a provare che il Dalmasso era un operatore a tempo pieno stabilmente inserito nella
compagine organizzativa della Fisascat Cisl .
Né alla estensione del trattamento economico anche agli operatori non dipendenti appare possibile
pervenire, come sembra prospettare il ricorrente, sulla base della prova orale articolata in ordine alla
generalizzata applicazione in concreto di tale trattamento. E’ sufficiente a tal fine richiamare la costante
giurisprudenza di questa Corte nel senso dell’assenza di un principio di parità di trattamento per cui,
anche ove provata tale circostanza, non potrebbe trarsi dalla stessa alcuna conseguenza in tema di
obbligo per la Fisascat di corrispondere al Dalmasso il trattamento economico previsto per i
dipendenti.. Infine occorre convenire sul carattere inammissibilmente valutativo della prova orale
sull’obbligo per la Fisascat di applicazione del trattamento economico previsto dal Regolamento, in
quanto in tal modo effettivamente viene demandato al teste un “giudizio” sul carattere doveroso della
erogazione , giudizio che implica un accertamento riservato esclusivamente al giudice .
Parimenti infondato è il secondo motivo di ricorso che attiene al rigetto delle domande risarcitoria
collegata alla revoca dell’incarico. Invero la Corte di appello ha osservato che alla stregua dell’art. 22 del
Regolamento la Fisascat aveva la possibilità di risolvere il rapporto di lavoro a tempo indeterminato
senza il rispetto di un termine di preavviso. Tale affermazione non risulta contrastata dal ricorrente con
modalità idonee a sollecitare il sindacato di legittimità . Il Dahnasso si limita infatti a evidenziare un
preteso contrasto tra l’assunto del giudice di appello e la ritenuta inapplicabilità del Capo I del
Regolamento a coloro che non sono lavoratori subordinati ma non censura la interpretazione della
previsione del Regolamento nel senso di consentire alla Fisascat la possibilità di recesso ad nutum . La
deduzione secondo la quale il rifermento nell’originaria domanda all’art. 8 L. n. 604 del 1966 costituiva
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vizio di motivazione (omessa, insufficiente e illogica o contraddittoria) o per violazione dei canoni legali

un mero criterio di parametrazione del danno risulta inconferente in quanto alcun danno risarcibile
può scaturire da una condotta legittima quale quella, conforme al Regolamento, tenuta dalla odierna
intimata . Quanto ora rilevato assorbe anche le ulteriori deduzioni intese a censurare il rigetto della
domanda di risarcimento del danno all’immagine alla professionalità le quali, senza specificamente
contrastare i principi richiamati dal giudice di appello in ordine alla necessità di puntuali allegazioni a tal
fine richieste ( nei termini delineati dalle sezioni unite di questa Corte con la sentenza n. 22551 del

valutate,senza offrire elementi idonei a dimostrarne la decisività e, prima ancora, a porle in
collegamento causale con condotte illecite di controparte .
Consegue il rigetto del ricorso. Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, Condanna parte ricorrente alle spese del giudizio che liquida in € 4000,00
per compensi professionali oltre € 100,00 per esborsi.

Roma, camera di consiglio del 25 settembre 2013

2006), si limitano a riproporre circostanze di fatto che si assumono trascurate o non adeguatamente

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