Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24535 del 18/10/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 18/10/2017, (ud. 09/06/2017, dep.18/10/2017),  n. 24535Vedi massime correlate

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilia – Consigliere –

Dott. VENEGONI Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15719/2011 proposto da:

EDILNOVA DI S.F. & B.C. SNC,

S.F., B.C., elettivamente domiciliati in ROMA VIA

MONTE DELLE GIOIE 13, presso lo studio dell’avvocato CAROLINA

VALENSISE, che li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE;

– intimata –

Nonchè da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliatq in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente incidentale –

contro

EDILNOVA DI S.F. & B.C. SNC,

B.C., S.F.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 120/2010 della COMM.TRIB.REG. della Lombardia,

depositata il 16/12/2010;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

09/06/2017 dal Consigliere Dott. ANDREA VENEGONI.

Fatto

FATTO E DIRITTO

RITENUTO CHE:

Con processo verbale di constatazione del 7 ottobre 2004, la Guardia di Finanza (GdF) di Legnano dava atto di una verifica a carico della società Edilnova snc di S.F. e B.C., con sede in (OMISSIS), presso la sede del consulente depositario delle scritture contabili, la società Quattro Gi sas di V.G. e Gi.. La GdF riscontrava la omessa presentazione delle dichiarazioni dei redditi della Edilnova per gli anni 1999, 2000, 2001, 2002 e 2003, per cui la Agenzia delle Entrate notificava alla stessa ed ai soci B.C. e S.F. avvisi di accertamento per gli anni 2002 e 2003 determinando il reddito ritenuto appropriato ed irrogando le sanzioni.

La società e di soci ricorrevano alla CTP di Milano che con sentenza n. 58/26/09 del 21.1.2009 respingeva i ricorsi, senza disporre la condanna dei ricorrenti alle spese processuali.

Ricorrevano i contribuenti alla CTR Lombardia che con sentenza 120/04/10, depositata il 16.12.2010, rideterminava il maggior reddito oggetto di accertamento, in diminuzione rispetto a quanto evidenziato nell’avviso, in virtù della considerazione di alcuni costi documentati, confermando l’applicazione delle sanzioni al minimo.

Contro tale sentenza ricorrono i contribuenti alla Corte di Cassazione con unico motivo di ricorso.

Resiste l’Agenzia con controricorso e ricorso incidentale.

CONSIDERATO CHE:

1. Con l’unico motivo di ricorso i ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione della L. n. 423 del 1995, art. 1, e del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6. Censurano la sentenza della CTR laddove ha ritenuto applicabili le sanzioni, per quanto fosse evidente dagli atti che la responsabilità per l’omessa dichiarazione fosse addebitabile esclusivamente al consulente che seguiva la società per le pratiche fiscali e per quanto, appreso del comportamento di quest’ultimo, i ricorrenti nel 2006 avessero provveduto ad inoltrare denuncia penale per truffa nei suoi confronti – da cui l’insorgenza di procedimento penale a suo carico – e a citarlo in sede civile per il risarcimento dei danni.

Il motivo è infondato.

1.1. Le due cause di non punibilità invocate dal contribuente per sostenere la non applicazione delle sanzioni non appaiono, infatti, applicabili nel caso di specie, mancandone i presupposti.

1.2. La L. n. 423 del 1995, art. 1, nella versione vigente nei periodi di imposta in contestazione, a seguito della modifica introdotta con L. 8 maggio 1998, n. 146, disponeva, nei primi quattro commi:

1. La riscossione delle soprattasse e delle pene pecuniarie previste dalle leggi d’imposta in caso di omesso, ritardato o insufficiente versamento è sospesa nei confronti del contribuente e del sostituto d’imposta qualora la violazione consegua alla condotta illecita, penalmente rilevante, di dottori commercialisti, ragionieri, consulenti del lavoro, avvocati, notai e altri professionisti, iscritti nei rispettivi albi, in dipendenza del loro mandato professionale.

2. La sospensione è disposta dal responsabile della direzione regionale delle entrate territorialmente competente, che provvede su istanza del contribuente o del sostituto d’imposta, da presentare unitamente alla copia della denuncia del fatto illecito all’autorità giudiziaria o ad un ufficiale di polizia giudiziaria, dopo il pagamento dell’imposta ancora dovuta, e sempre che il contribuente dimostri di aver provvisto il professionista delle somme necessarie al versamento omesso, ritardato o insufficiente.

3. Dopo che la sentenza di condanna o quella di applicazione della pena su richiesta delle parti che accertino l’esistenza del reato a carico del professionista di cui al comma 1, sono divenute irrevocabili, l’ufficio tributario che ha irrogato le sanzioni commuta l’atto di irrogazione a carico del professionista e ne dispone lo sgravio in favore del contribuente. Qualora intervenga una sentenza declaratoria di amnistia o di intervenuta prescrizione del reato o di non doversi procedere per motivi di natura processuale, il contribuente continuerà ad avvalersi della sospensione del pagamento delle soprattasse e delle pene pecuniarie a condizione che promuova azione civile entro tre mesi dalla sentenza, fornendone prova all’ufficio tributario competente. In tale ipotesi, alla sospensione consegue lo sgravio del pagamento delle soprattasse e delle pene pecuniarie qualora il professionista sia condannato nel giudizio civile con sentenza irrevocabile.

4. Nel caso in cui l’azione penale nei confronti del professionista si concluda con una sentenza assolutoria, l’ufficio tributario revoca il provvedimento di sospensione e procede alla riscossione delle sanzioni a carico del contribuente con una maggiorazione pari al 50 per cento delle stesse.

1.3. Per quanto la norma si riferisca espressamente alla fase della riscossione, la giurisprudenza di questa Corte ne ha dato una interpretazione secondo cui nulla osta, in realtà, a che anche in sede contenziosa la non punibilità del contribuente possa essere dimostrata attraverso la prova che il pagamento del tributo non è stato eseguito per fatto addebitabile esclusivamente al professionista e denunciato all’autorità giudiziaria, indipendentemente dalla ricorrenza delle ulteriori condizioni procedurali previste (istanza del contribuente con allegazione della denuncia del reato all’autorità giudiziaria) e la sua commutazione in capo al professionista responsabile della violazione (giudicato penale a carico del professionista). (Sez. 5^, n. 26850 del 2007).

1.4. Tuttavia, va anche evidenziato che Sez. 5^ n. 14026 del 2009, nel confermare questa premessa, prosegue affermando che la prova della sussistenza delle condizioni che escludono la punibilità anche in sede contenziosa (e, quindi, del fatto illecito del professionista) richiede comunque che “sussistano le condizioni della qualifica soggettiva del terzo responsabile indicata dalla L. n. 423 del 1995, e che il contribuente abbia comunque fornito la provvista per il pagamento di quanto dovuto all’Erario”. In altri termini, la norma richiede che, ai fini della operatività della causa di non punibilità anche in una fase diversa da quella della riscossione, sussistano pur sempre i presupposti da essa previsti tra cui, in particolare, la prova che il contribuente avesse fornito la provvista al professionista. La stessa Sez. 5^, n. 25136 del 2009, citata dal ricorrente, nell’affermare che la non punibilità del contribuente presuppone esclusivamente la convincente dimostrazione del fatto che il “pagamento del tributo” non è stato eseguito per fatto addebitabile esclusivamente al professionista, nulla aggiunge nè modifica, in realtà, rispetto a tale principio.

1.5. Questa è stata anche l’interpretazione fornita dalla CTR che, con valutazione di fatto non sindacabile in questa sede, ha escluso che nel caso di specie si verta nella situazione di cui alla suddetta normativa, che presuppone che il contribuente abbia messo il professionista nella condizione di provvedere all’adempimento, fornendogli la provvista, come, del resto, espressamente previsto dalla L. n. 423 del 1995, art. 1, comma 2. Non vi è stata, quindi, errata interpretazione della norma in relazione alle circostanze di fatto che la CTR ha valutato e che, in quanto tali, non sono sindacabili in questa sede.

1.6. Non si ravvisano, poi, neppure i presupposti per l’applicabilità della causa di non punibilità di cui al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, secondo cui il contribuente non è punibile quando dimostra che il pagamento del tributo non è stato eseguito per fatto denunciato all’autorità giudiziaria e addebitabile esclusivamente a terzi, e che appare di carattere più generale rispetto a quella in precedenza esaminata.

1.7. In relazione ai casi di omesso pagamento del tributo da omessa dichiarazione, quale quello che – come emerge dal ricorso – ricorre nella specie, va rilevato che la giurisprudenza costante ha statuito che il contribuente non assolve agli obblighi tributari con il mero affidamento ad un commercialista del mandato a trasmettere in via telematica la dichiarazione alla competente Agenzia delle Entrate, essendo tenuto a vigilare affinchè tale mandato sia puntualmente adempiuto, sicchè la sua responsabilità è esclusa solo in caso di comportamento fraudolento del professionista, finalizzato a mascherare il proprio inadempimento (Sez. 6^-5, Ordinanza n. 11832 del 2016). Sez. 5^, ord. n. 12473 del 2010, afferma testualmente che “gli obblighi tributari relativi alla presentazione della dichiarazione dei redditi ed alla tenuta delle scritture non possono considerarsi assolti da parte del contribuente con il mero affidamento delle relative incombenze ad un professionista, richiedendosi altresì anche un’attività di controllo e di vigilanza sulla loro effettiva esecuzione, nel concreto superabile soltanto a fronte di un comportamento fraudolento del professionista, finalizzato a mascherare il proprio inadempimento dell’incarico ricevuto”. Inoltre la prova dell’assenza di colpa grava, secondo le regole generali dell’illecito amministrativo, sul contribuente, il quale, dunque, risponde per l’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi da parte del professionista incaricato della relativa trasmissione telematica ove non dimostri di aver vigilato su quest’ultimo (Sez. 5^, n. 6930 del 2017).

1.8. Anche questo principio è stato affermato dalla sentenza impugnata che, pertanto, ha escluso che, nel caso concreto, la violazione potesse ritenersi attribuibile “esclusivamente” al commercialista, essendovi spazio per ravvisare una “culpa in vigilando” da parte del contribuente. Nè è possibile in questa sede un riesame delle circostanze di fatto che, secondo il contribuente, dimostrano la assenza di colpevolezza in capo a sè, trattandosi, appunto, di accertamenti di fatto non sindacabili nel giudizio di legittimità.

1.9. Non si ravvisano, pertanto, errori nell’interpretazione della normativa rilevante nella specie ad opera della CTR ed il ricorso principale deve, conseguentemente, essere respinto.

2. Con il primo motivo di ricorso incidentale l’agenzia deduce insufficiente motivazione su fatto decisivo e controverso del giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, (nella formulazione anteriore alla attuale atteso che si tratta di sentenza depositata il 16.12.2010 e quindi il ricorso non era soggetto al regime del “nuovo” art. 360, n. 5 introdotto nel 2012).

2.1. L’ufficio denuncia che la CTR ha riconosciuto, nella determinazione del maggior reddito accertato, alcuni costi (costi del personale, in particolare) per i quali l’ufficio aveva evidenziato l’inattendibilità della documentazione, senza dare conto con adeguata motivazione della ragione per cui li ha ritenuti fondati e riconoscibili e degli elementi probatori sulla cui base li ha riconosciuti.

2.2. Il motivo è infondato.

2.3. Seppure in maniera succinta, la CTR ha dato conto in maniera congrua delle ragioni per cui ha riconosciuto tali costi, affermando che gli stessi risultavano “dai cedolini paga redatti su fogli bollati dell’INAIL, dai versamenti contributivi INPS, dalle ritenute fiscali operate e dalla movimentazione bancaria”. Ha anche aggiunto che i pagamenti erano confermati “dalle relative annotazioni nelle scritture contabili e trovano corrispondenza nei bilanci agli atti”. Ha riconosciuto così che tali elementi superano quanto eccepito dall’ufficio sulla mancata presentazione del modello 770 per il 2002 ed il non accoglimento da parte del sistema della dichiarazione mod. 770 per il 2003. La motivazione sul punto, pertanto, non può ritenersi insufficiente.

3. Con il secondo motivo di ricorso incidentale l’ufficio deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 52, comma 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), sostenendo che la CTR ha errato nel prendere in considerazione la documentazione sulle suddette spese, sulla base della considerazione per cui l’omessa esibizione della stessa nel corso della verifica della GdF non impediva comunque alla contribuente di fornire la prova in giudizio degli elementi atti a determinare il corretto reddito.

3.1. Premesso che la norma che si asserisce violata deve intendersi come il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, per le imposte dirette, o il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52,in riferimento all’iva (ma deve ritenersi che l’errata indicazione sia frutto di mero errore materiale, atteso che il contenuto richiamato dimostra chiaramente che l’ufficio intendeva riferirsi ad essa), secondo cui i documenti, le notizie e i dati non addotti, esibiti o trasmessi in risposta agli inviti dell’ufficio (o, nella normativa iva “di cui è rifiutata l’esibizione”) non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente in sede amministrativa o contenziosa ai fini dell’accertamento, e di ciò l’ufficio deve informare specificamente il contribuente, il motivo è infondato, non fornendo alcun elemento per comprendere se tale invito vi sia stato, in che termini sia stato formulato e se il contribuente sia stato informato delle conseguenze della mancata risposta e, quindi, se l’omissione abbia integrato un vero e proprio rifiuto.

3.2. Questa Corte, anche di recente, ha infatti avuto modo di affermare che:

In tema di accertamento tributario, il divieto di utilizzo in sede giudiziaria di documenti non esibiti in sede amministrativa, previsto dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 5, presuppone che vi sia stata una specifica richiesta degli agenti accertatori (non potendo costituire rifiuto la mancata esibizione di qualcosa che non si è richiesto), ed opera non solo nell’ipotesi di rifiuto (per definizione “doloso”) dell’esibizione, ma anche nei casi in cui il contribuente dichiari, contrariamente al vero, di non possedere i documenti in suo possesso, o li sottragga all’ispezione, non allo scopo di impedire la verifica, ma per errore non scusabile, di diritto o di fatto (dovuto a dimenticanza, disattenzione, carenze amministrative, ecc.). (Sez. 5^, n. 9487 del 12/04/2017).

3.3. Nel caso di specie, l’esistenza di una specifica richiesta non può desumersi dal ricorso, e neppure dalla sentenza della CTR, dalla quale emerge semplicemente che durante la verifica la società non aveva esibito documentazione, poi prodotta in giudizio, ma non l’esistenza di una specifica richiesta in tal senso e di un conseguente rifiuto nel corso della verifica.

Atteso il rigetto sia del ricorso principale che di quello incidentale, sussistono le ragioni per la compensazione delle spese del presente giudizio.

PQM

 

rigetta il ricorso principale ed il ricorso incidentale. Compensa tra le parti le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 9 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 18 ottobre 2017

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