Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24535 del 05/10/2018

Cassazione civile sez. III, 05/10/2018, (ud. 12/04/2018, dep. 05/10/2018), n.24535

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. GIANNITI Pasquale – rel. Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18246/2016 proposto da:

CIESSECI SRL, in persona di S.S. nella veste di Presidente

del C.d.A., elettivamente domiciliata in ROMA, V.LE GORIZIA 25-C,

presso lo studio dell’avvocato GIORGIO FALINI, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato GIANFRANCO FUSCO giusta procura

speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

P.G., P.A.M.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 758/2016 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 27/05/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

12/04/2018 dal Consigliere Dott. PASQUALE GIANNITI.

Fatto

RILEVATO

che:

1. La Corte di Appello di Bologna con sentenza n. 758 del 27/5/2016 ha integralmente confermato la sentenza n. 2018 del 22/6/2015 con la quale il Tribunale di Bologna ha rigettato la domanda risarcitoria proposta dalla società Ciesseci srl nei confronti di P.A.M. e P.G..

La società Ciesseci srl aveva fatto ricorso al Tribunale di Bologna, deducendo: di aver condotto in locazione un immobile di proprietà di P.G. e A.M. dal 1989 per l’esercizio di attività imprenditoriale caratterizzata da contatto diretto con il pubblico; di aver ricevuto raccomandata 4/11/2005 con la quale i proprietari locatori avevano dato disdetta del contratto per la scadenza del 31/2/20106; che detti proprietari tuttavia non avevano successivamente richiesto la convalida della licenza e dello sfratto per cui aveva proseguito la sua attività all’interno dell’immobile alle stesse condizioni; che nel gennaio 2013 l’impianto di riscaldamento aveva cessato di funzionare ed i proprietari, nonostante il sollecito, non si erano attivati per la riparazione dell’impianto; che in data 26 novembre 2013 era stata così costretta a rilasciare l’immobile in ragione dell’approssimarsi della nuova stagione invernale.

Sulla base di tali premesse fattuali la società aveva chiesto la condanna dei locatori al pagamento dell’indennità per perdita di avviamento, alla restituzione del deposito cauzionale ed al risarcimento del danno.

I proprietari locatori, ritualmente costituitisi, avevano chiesto il rigetto della domanda, deducendo: che l’immobile era stato occupato abusivamente dal 31/12/2006, data di scadenza del contratto di locazione; di aver percepito gli importi corrisposti mensilmente dalla società conduttrice a titolo di indennità di occupazione, non potendosi ravvisare una rinnovazione tacita del contratto; di non essere riusciti ad intervenire ai fini del ripristino dell’impianto di riscaldamento in ragione dei difficili rapporti esistenti con la società conduttrice.

In via riconvenzionale, avevano chiesto la condanna della società conduttrice al risarcimento del danno per mancato godimento dell’immobile dalla data del 1/1/2007 fino alla data di effettivo rilascio del 26/11/2013, ma detta domanda era stata oggetto di rinuncia nel corso di causa.

Il Giudice di primo grado, espletata attività istruttoria, aveva rigettato le domande di parte ricorrente.

2.Avverso la sentenza della Corte territoriale propone ricorso la società Ciesseci, formulando 3 motivi.

2.1.Con il primo motivo la società ricorrente, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, denuncia violazione e falsa applicazione delle norme ermeneutiche di cui agli artt. 1362,1363,1366 e 1366 c.c..

Si duole che entrambi i giudici di merito – basandosi sul dato letterale (“ad uso esclusivo ed immutabile d’ufficio, per l’attuazione e lo svolgimento dell’attività professionale”), ma violando e comunque falsamente applicando le norme di ermeneutica contrattuale – hanno ritenuto che il contratto prevedeva la destinazione dei locali locati a studio di esercenti una professione intellettuale (o comunque non imprenditoriale) e che pertanto essa società non aveva diritto all’indennità prevista dalla L. n. 392 del 1978, art. 34.

2.2.Con il secondo motivo la società ricorrente, sempre in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, denuncia violazione dell’art. 418 c.p.c. e dell’art. 1243.c.c..

Rileva che la Corte territoriale, incorrendo nel vizio denunciato, ha ritenuto che la proposta domanda riconvenzionale sia stata successivamente oggetto di rinuncia. Osserva che le domande erano state due (entrambe dirette a quantificare il maggior credito per indennità di occupazione: la prima, in base al valore locatizio dell’immobile; e l’altra, subordinata, in misura pari all’ultimo canone di locazione rivalutato secondo indici Istat) ed entrambe avrebbero dovuto essere dichiarate inammissibili dal giudice di primo grado per intervenuta decadenza, non essendo stato chiesto lo spostamento di udienza (ex art. 418, comma 1, richiamato dall’art. 447 bis c.p.c.). Si duole che il giudice di primo grado, in sentenza, non aveva fatto cenno all’intervenuta decadenza ed aveva compensato il deposito cauzionale “con il maggior credito vantato dai resistenti a titolo di indennità di occupazione senza titolo”; e che la Corte territoriale, senza considerare i motivi secondo e quinto dell’atto di appello, ha erroneamente ritenuto essersi formato il giudicato in punto di sussistenza da parte dei proprietari di un credito di importo maggiore al deposito cauzionale e, senza tener conto del fatto che i resistenti nelle proprie conclusioni in primo grado avevano sempre chiesto la condanna di essa società al pagamento di una somma, ha erroneamente ritenuto che gli stessi avevano formulato una mera eccezione riconvenzionale di compensazione, non travolta da decadenza.

2.3. Con il terzo motivo, formulato in via subordinata, denuncia sempre in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, denuncia violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c..

In caso di mancato accoglimento dei motivi che precedono, si duole che la Corte territoriale, da un lato, l’ha condannata al pagamento integrale delle spese processuali relative ad entrambi i gradi di giudizio, senza compensarle neppure in parte in considerazione del mancato accoglimento delle due domande riconvenzionali, che erano state spiegate dai resistenti, e, dall’altro, ha liquidato le spese comprendendovi Euro 1500 per la fase di trattazione, mentre tale fase, vertendosi in rito del lavoro, non vi era stata, essendosi passati dalla fase di studio alla fase decisoria senza produzione di difese scritte.

3. In vista dell’odierna udienza la società ricorrente deposita memoria; mentre gli intimati non hanno svolto attività difensiva.

Diritto

RITENUTO

che:

1. Il ricorso è improcedibile.

A norma dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, il ricorrente, ai fini della procedibilità del ricorso, deve depositare “copia autentica” della sentenza impugnata corredata di relata di notificazione.

E la giurisprudenza di legittimità ha già avuto modo più volte di precisare che, in tema di ricorso per cassazione, qualora la notificazione della sentenza impugnata sia stata eseguita con modalità telematiche – come per l’appunto si verifica nella specie – per soddisfare l’onere di deposito della copia autentica della decisione con la relazione di notificazione, il difensore del ricorrente, destinatario della suddetta notifica, deve estrarre copia cartacea del messaggio di posta elettronica certificata pervenutogli e dei suoi allegati (relazione di notifica e provvedimento impugnato), attestare con propria sottoscrizione autografa la conformità agli originali digitali della copia formata su supporto analogico, ai sensi della L. n. 53 del 1994, art. 9, commi 1 bis e 1 ter e depositare nei termini quest’ultima presso la cancelleria della S.C., mentre non è necessario provvedere anche al deposito di copia autenticata della sentenza estratta dal fascicolo informatico (Sez. 6, Ordinanza n. 30765 del 22/12/2017, Rv. 647029-01).

Nel caso di specie la società ricorrente ha sì correttamente notificato il ricorso con modalità telematiche (depositando attestazione di conformità della copia cartacea all’originale in formato elettronico del ricorso, della procura, della relativa relata di notifica con messaggi PEC di avvenuta accettazione e di avvenuta consegna della notifica medesima), ma, quanto alla sentenza della Corte territoriale, che era stata ad essa a sua volta notificata dal legale della controparte a mezzo di modalità telematiche, benchè deduca (p. 23) di allegare al ricorso “copia autentica della sentenza impugnata con relazione di notificazione telematica”, risulta ex actis aver depositato copia cartacea della sentenza e della relata di notifica, senza la relativa attestazione di conformità agli originali digitali.

Occorre ribadire che, come per l’appunto precisato dalla Sez. 6 (nella composizione di cui al paragrafo 41.2. delle tabelle di questa Corte) nella sopra richiamata ordinanza, è necessaria l’autenticazione del messaggio p.e.c., perchè solo da detto messaggio si evince giorno e ora in cui si è perfezionata la notifica per il destinatario; ed è altresì necessaria l’autenticazione dei suoi due allegati (sentenza impugnata autenticata dall’avvocato che ha provveduto alla notifica e relazione della notificazione a mezzo PEC), in quanto soltanto così si adempie a quanto previsto dall’art. 369 c.p.c., laddove richiede, a pena d’improcedibilità, il deposito di “copia autentica della sentenza o della decisione impugnata con la relazione di notificazione, se questa è avvenuta”.

D’altronde, il ricorso per cassazione risulta essere stato notificato (giovedì 28 luglio 2016) oltre il termine di 60 giorni dalla pubblicazione della sentenza (27 maggio 2016). Quindi era necessario dimostrare che la notifica del ricorso fosse avvenuta entro i 60 giorni dalla notifica del provvedimento impugnato (Sez. 6-3, Sentenza n. 17066 del 10/07/2013, Rv. 628539-01).

Donde la improcedibilità del ricorso.

2.Avuto riguardo al fatto che gli intimati non hanno svolta attività difensiva, non vi è luogo di provvedere sulle spese.

Sussistono infine i presupposti per la condanna della ricorrente al pagamento dell’importo, dovuto per legge ed indicato in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara improcedibile il ricorso.

Nulla sulle spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 12 aprile 2018.

Depositato in Cancelleria il 5 ottobre 2018

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