Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24532 del 30/10/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 24532 Anno 2013
Presidente: VIDIRI GUIDO
Relatore: DI CERBO VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso 19355-2008 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. 97103880585, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA PO 25/B, presso lo studio
dell’avvocato PESSI ROBERTO, che la rappresenta e
difende giusta delega in atti;
– ricorrente –

2013
2442

contro

ZOTI MANILA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE
e

DELLE MILIZIE 9, presso lo studio dell’avvocato
LUBERTO ENRICO, che la rappresenta e difende, giusta

Data pubblicazione: 30/10/2013

delega in atti;
– controri corrente –

avverso la sentenza n. 868/2007 della CORTE D’APPELLO
di FIRENZE, depositata il 03/08/2007 R.G.N.
1018/2005;

udienza del 04/07/2013 dal Consigliere Dott. VINCENZO
DI CERBO;
udito l’Avvocato BONFRATE FRANCESCA per delega
verbale PESSI ROBERTO;
udito l’Avvocato CONTE ANDREA per delega LUBERTO
ENRICO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

19355.08

Udienza 4 luglio 2013

Pres. G. Vidiri
Rei. V. Di Cerbo

.

SENTENZA

Rilevato che
1.

La Corte d’appello di Firenze ha confermato la sentenza di prime cure che aveva
dichiarato, in particolare, l’illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro, con
decorrenza 8 ottobre 1998, stipulato da Poste Italiane s.p.a. con Manila Zoti. La Corte
di merito ha attribuito rilievo decisivo ai fini della statuizione sull’illegittimità del
termine, tra l’altro, alla considerazione che il contratto in esame è stato stipulato, per
esigenze eccezionali … – ai sensi dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, come
integrato dall’accordo aziendale 25 settembre 1997 – in data successiva al 30 aprile
1998.

,

2.

Per la cassazione di tale sentenza Poste Italiane s.p.a. ha proposto ricorso; la
lavoratrice ha resistito con controricorso.

3.

Il Collegio ha disposto che sia adottata una motivazione semplificata.

4.

Col primo motivo la società ricorrente censura (denunciando violazione dell’art. 1372,
primo e secondo comma, cod. civ., nonché vizio di motivazione ed error in procedendo)
l’omessa pronuncia, da parte della sentenza impugnata, relativamente all’eccezione di
risoluzione del rapporto per mutuo consenso, ritualmente proposta, eccezione basata
sul tempo trascorso tra la scadenza del contratto a termine e la manifestazione della
volontà della lavoratrice di ripristinare la funzionalità di fatto del rapporto.

5.

La censura è inammissibile.

6.

Secondo il costante insegnamento di questa Corte di legittimità (cfr., ex plurimis, Cass.
28 luglio 2008 n. 20518; Cass. 12 luglio 2005 n. 14590), ove una determinata questione
giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo
nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga detta questione in sede di
legittimità ha l’onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità
della censura, non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione innanzi al
giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia
fatto, onde dar modo alla Corte di Cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale
asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa. Nel caso di specie, nel
quale la sentenza impugnata non fa esplicito riferimento alla suddetta questione, parte
ricorrente si limita ad una allegazione del tutto generica, e quindi inammissibile alla
3

La Corte

7.

Col secondo motivo la società ricorrente censura la statuizione concernente
l’illegittimità del termine denunciando violazione degli artt. 1362 e segg. cod. civ. e
vizio di motivazione. Deduce, in particolare, l’erronea interpretazione, da parte della
Corte di merito, della disciplina collettiva applicabile alla fattispecie, sostenendo, in
sostanza, che gli accordi richiamati in sentenza avevano una funzione di mera
informazione e consultazione e conseguentemente natura di atti ricognitivi. Il motivo
si conclude con il seguente quesito di diritto ai sensi dell’art. 366 bis cod. civ., ratione
temporis applicabile al caso di specie: se un accordo collettivo nazionale (nella specie

l’accordo Poste Italiane 25.09.1997 e successive proroghe), pur in mancanza di una
espressa proiezione temporale ultrattiva, debba o meno interpretarsi (alla luce dell’art.
1367 e segg. cod. civ., segnatamente alla luce del comportamento successivo delle
parti stipulanti) nel senso di escludere l’opposizione di un termine finale e perciò nel
senso di dare copertura alle assunzioni a tempo determinato anche per periodi
successivi al 30 aprile 1998.
8.

La censura prima ancora che infondata, alla luce del costante orientamento di questa
Corte di legittimità (Cass. 1 ottobre 2007 n. 20608; Cass. 28 novembre 2008 n. 28450;
Cass. 4 agosto 2008 n. 21062; Cass. 27 marzo 2008 n. 7979), è inammissibile per
palese inammissibilità del quesito.
Esso risulta infatti del tutto generico e
sostanzialmente non pertinente rispetto alla fattispecie (nella quale si controverte, in
sostanza sulla natura giuridica e sull’efficacia degli accordi intervenuti fra le parti dopo
quello del 25 settembre 1997) in quanto omette di enucleare il momento di conflitto,
rispetto alla regola ritenuta applicabile al caso di specie, della concreta statuizione
della sentenza impugnata; ciò in contrasto con i principi enunciati da questa Corte di
legittimità (cfr., in particolare, Cass. S.U. 5 gennaio 2007 n. 36) secondo cui il principio
di diritto, richiesto a pena di inammissibilità del relativo motivo, deve essere formulato
in maniera specifica e deve essere chiaramente riferibile alla fattispecie dedotta in
giudizio, dovendosi ritenere inesistente un quesito generico e non pertinente, con
conseguente inammissibilità del relativo motivo, come nel caso di specie.

9.

Quanto al problema dell’applicabilità alla fattispecie in esame dello ius superveniens,
rappresentato dall’art. 32, commi 5°, 6° e 7° della legge 4 novembre 2010 n. 183, in
vigore dal 24 novembre 2010, con riferimento al profilo relativo alle conseguenze
economiche della dichiarazione di nullità della clausola appositiva del termine, osserva
il Collegio che costituisce condizione necessaria per poter applicare nel giudizio di
legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto, con efficacia retroattiva, una
nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest’ultima sia in qualche
modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso, in ragione della
natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato dagli specifici motivi di
ricorso (cfr. Cass. 8 maggio 2006 n. 10547, Cass. 27 febbraio 2004 n. 4070); in tale
contesto, è altresì necessario che il motivo di ricorso che investe, anche
indirettamente, il tema coinvolto dalla disciplina sopravvenuta, oltre ad essere
sussistente, sia altresì ammissibile secondo la disciplina sua propria. Ne consegue che,
con riferimento alla disciplina qui invocata, la necessaria sussistenza della questione ad
essa pertinente nel giudizio di cassazione presuppone che vi siano motivi di ricorso che

4

luce dei principi sopra enunciati, concernente l’avvenuta deduzione della eccezione de
qua dinanzi alla Corte territoriale.

investano specificatamente le conseguenze patrimoniali dell’accertata nullità del
termine.
10. Tale presupposto non sussiste nel caso di specie mancando una specifica censura
relativa alle suddette conseguenze economiche.

12. Al rigetto del ricorso, consegue, per il principio della soccombenza, che le spese del
presente giudizio vengano poste a carico di parte ricorrente nella misura, liquidata in
dispositivo, che tiene conto delle disposizioni di cui al d.m. 20 luglio 2012 n. 140
(entrato in vigore il 23 agosto 2012) emanato ai sensi dell’art. 9 del d.l. n. 1 del 2012
convertito in legge n. 27 del 2012.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di
cassazione, liquidate in Euro 100,00 per esborsi oltre Euro 3500 (tremilacinquecento) per
compensi professionali e oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 4 luglio 2013.

11. Il ricorso va pertanto respinto.

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