Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24531 del 05/10/2018

Cassazione civile sez. III, 05/10/2018, (ud. 06/03/2018, dep. 05/10/2018), n.24531

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. SPAZIANI Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23057-2016 proposto da:

ANDOREMA SRL, in persona dell’Amministratore, legale rappresentante

pro tempore Signora H.M., elettivamente domiciliata in

ROMA, VIALE CARSO 63, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO

BURIGANA, rappresentata e difesa dall’avvocato MARCO MAINETTI giusta

procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

M.R.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 382/2015 del TRIBUNALE di VARESE, depositata

il 27/03/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/03/2018 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VITIELLO MAURO che ha concluso per il rigetto;

udito l’Avvocato FRANCESCO BURIGANA per delega.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza 27.3.2015 n. 382 il Tribunale di Varese rigettava le domande proposte da M.R. nei confronti di Andorema s.r.l. ed aventi ad oggetto rispettivamente la condanna alla restituzione di un acconto versato in relazione a contratto preliminare di vendita immobiliare e la domanda ex art. 2932 c.c. di emissione di sentenza costituiva degli effetti del contratto definitivo di vendita di altro bene immobile.

Quanto alla prima, ritenendo implicitamente rinunciata la domanda restitutoria in quanto non riproposta nelle precisate conclusioni; quanto alla seconda, non avendo fornito l’attore prova della stipula di un preliminare formale di vendita.

L’appello proposto da Andorema s.r.l. è stato dichiarato inammissibile ex art. 348 bis c.p.c. dalla Corte d’appello di Milano, con ordinanza depositata in data 30.6.2016 n. 2813 e comunicata a mezzo PEC in pari data, avendo ritenuto il Giudice di seconde cure che i mezzi istruttori di cui la società aveva chiesto l’ammissione ai sensi dell’art. 2724 c.c., comma 1, nn. 2 e 3 e art. 2725 c.c., comma 2, per la prima volta con l’atto di appello, non consentivano comunque di pervenire alla dimostrazione della esistenza di un preliminare formale (asseritamente stipulato dalle parti in data 31.3.2001 ed andato smarrito senza colpa dai contraenti).

Avverso la sentenza di prime cure ed avverso la ordinanza dichiarativa di inammissibilità, Andorema s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione, con atto ritualmente notificato in data 29.9.2016, censurando rispettivamente con un unico motivo la ordinanza e con tre motivi la sentenza.

Non ha resistito M.R.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il Collegio ha raccomandato la redazione della motivazione in forma semplificata.

La parte ricorrente ha impugnato per cassazione anche la ordinanza della Corte d’appello di Milano in data 30.6.2016, sia con ricorso ordinario, denunciando cumulativamente vizi di “error juris” “in judicando” ed “in procedendo”, nonchè vizi di “error facti”; sia in subordine con ricorso straordinario ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 6, denunciando che il Giudice di seconde cure aveva ritenuto irrilevanti le prove dedotte con l’atto di appello, volte a dimostrare la esistenza di un formale contratto preliminare di vendita immobiliare ed il successivo smarrimento di tale atto, erroneamente limitandole al solo interrogatorio formale della controparte e non avvedendosi invece che con il gravame era stata formulata istanza di ammissione anche di prova per testi.

Questa Corte ha individuato i limitati casi in cui la ordinanza ex art. 348 bis c.p.c., comma 1, – pur priva del carattere della definitività quanto alla situazione giuridica sostanziale oggetto della controversia – può essere impugnata con ricorso straordinario ex art. 111 Cost., comma 7, in quanto diversamente potrebbero determinarsi pregiudizi inemendabili per la parte che si vede precluso “in limine” il riesame della causa di merito. Tali casi sono stati ravvisati esclusivamente negli “errores in procedendo” afferenti la ordinanza, attinenti i limiti legali di esercizio del potere ed il procedimento descritto negli artt. 348 bis e ter c.p.c., in cui sia incorso il Giudice di appello e che l’appellante non potrebbe far valere in sede impugnazione della sentenza di primo grado (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 1914 del 02/02/2016).

Una impugnazione diretta della ordinanza ex art. 348 bis c.p.c., comma 1, deve, altresì, ritenersi consentita anche nel caso – patologico – in cui la predetta forma del provvedimento giurisdizionale non corrisponda al suo effettivo contenuto, come nella ipotesi in cui il Giudice di appello dichiari “inammissibile” od “improcedibile” l’atto di appello per ragioni diverse (“litis ingressum impedientes”) dalla mera valutazione prognostica richiesta dall’art. 348 bis c.p.c., in tal caso neppure paventandosi la esigenza del ricorso straordinario ex art. 111 Cost., comma 7, atteso che la ordinanza viene ad assumere i connotati propri di una comune sentenza in rito definitoria del giudizio, in quanto tale impugnabile con ricorso ordinario per cassazione: Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 1914 del 02/02/2016); ovvero ancora nella ipotesi in cui la valutazione prognostica venga ad essere “integrata” da argomentazioni in fatto e diritto che costituiscono “ragioni autonome di decisione” (intese a dichiarare infondati i motivi di gravame) rispetto a quelle poste a fondamento della sentenza prime cure, venendo in tal caso la ordinanza ad integrare i requisiti di una sentenza di merito, come tale impugnabile con ricorso ordinario per cassazione (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 15776 del 29/07/2016).

Orbene, indipendentemente dalla questione della verifica della ammissibilità del ricorso per cassazione proposto da Andorema s.r.l. nei confronti della ordinanza dichiarativa di inammissibilità dell’atto di appello ex art. 348 bis c.p.c., che implica sia una rilevazione del contenuto motivazionale della ordinanza, sia una esatta individuazione dei vizi di legittimità dedotti (considerato che il vizio processuale di omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c. nella specie relativa alla deduzione della prova per testi – non appare predicabile con riferimento alla ordinanza in questione, avuto riguardo alla estensione onnicomprensiva che deve essere riconosciuta alla valutazione prognostica rimessa alla Corte d’appello in riferimento al complesso delle censure dedotte con l’atto di appello: cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 1914 del 02/02/2016), rileva il Collegio, pregiudizialmente, che la parte ricorrente ha omesso del tutto, nel ricorso per cassazione, di esporre compiutamente i fatti di causa, come prescritto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3), correlandosi tale prescrizione anche all’altra previsione normativa, di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), dell’onere di esplicitazione nel ricorso del contenuto degli atti e documenti sui quali si intende fondare la censura.

Ne segue che il ricorso per cassazione proposto ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., comma 3, avverso la sentenza del Tribunale di Varese, non può accedere al sindacato di legittimità della Corte, non avendo la ricorrente assolto all’onere, della integrale trascrizione dei motivi di gravame dedotti con l’atto di appello dichiarato inammissibile dalla Corte distrettuale ex art. 348 bis c.p.c., comma 1, adempimento prescritto, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3), oltre che dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), e ritenuto indispensabile per consentire a questa Corte il controllo in ordine alla insussistenza di un giudicato interno sulle questioni sottoposte al vaglio del giudice di legittimità e già prospettate al giudice del gravame (cfr. Corte cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 8942 del 17/04/2014; id. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 10722 del 15/05/2014; id. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 6140 del 26/03/2015; id. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 18623 del 22/09/2016; id. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 26936 del 23/12/2016).

Non vale in contrario rilevare che l’atto di appello (notificato il 23.10.2015) risulta depositato unitamente al fascicolo secondo grado in allegato al ricorso per cassazione.

La particolare struttura chiusa del giudizio di legittimità vincolato a tassativi motivi di censura, impone che l’oggetto della verifica ed i presupposti di accesso ad essa, siano integralmente individuati nell’atto-ricorso al quale la disciplina processuale assegna “la funzione di sede esclusiva dell’attività di allegazione diretta a sorreggere il mezzo di impugnazione (e al controricorso quella di sede esclusiva delle allegazioni in senso contrastante)” con la conseguenza che “le allegazioni che sui documenti e sugli atti processuali si fondano debbono necessariamente essere articolate nel ricorso, di modo che tutto ciò che non è dedotto nel ricorso non può entrare più nel processo. E le allegazioni debbono esserlo in modo specifico e non attraverso una generica enunciazione che l’allegazione troverebbe riscontro in un determinato atto o documento e, quindi, con l’affidamento alla Corte del compito di cercare prima l’atto o il documento e, quindi, la conferma in essi di quanto vi si è fondato. Una simile enunciazione darebbe, infatti, alla Corte il potere di procedere a tale riscontro con evidente soggettivismo (rischioso ai sensi dell’art. 391-bis c.p.c.) e, poichè non è prevista l’interlocuzione della Corte con la parte, sia pure nell’udienza (salvo per il potere di cui all’art. 384 c.p.c., comma 3), l’eventuale riscontro che il relatore avesse ritenuto di rinvenire studiando il fascicolo, non sarebbe soggetto ad alcuna possibilità di verifica di rispondenza all’intentio della parte. Non solo: la controparte sarebbe esposta all’assoluta incertezza del se la verifica della Corte possa dare esito positivo o negativo, sicchè l’autosufficienza assolveva anche alla garanzia dell’effettività del contraddittorio” (cfr. Corte cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 7455 del 25/03/2013, in motivazione; id. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 10722 del 15/05/2014).

Pertanto nel ricorso per cassazione formulato ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c., comma 3, è necessario, a pena di inammissibilità, che sia fatta espressa menzione dei motivi di appello, affinchè sia evidente che sulle questioni rese oggetto del giudizio di legittimità non si sia formato alcun giudicato interno, essendo esse state ancora prospettate adeguatamente al giudice di secondo cure, occorrendo inoltre che l’atto di appello venga anche prodotto, ai sensi dell’art. 369 c.p.c., n. 4) (adempimento quest’ultimo osservato dalla parte ricorrente).

Non rispondendo all’indicato requisito il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

La inammissibilità del ricorso per cassazione proposto ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., comma 3, avverso la sentenza di prime cure, determina il passaggio in giudicato di quest’ultima, rendendo in conseguenza carente di interesse ex art. 100 c.p.c. il distinto ricorso per cassazione (ordinario ed in subordine straordinario) proposto avverso la ordinanza della Corte distrettuale dichiarativa della inammissibilità dell’atto di appello ai sensi dell’art. 348 bis c.p.c..

In conclusione entrambi i ricorsi proposti da Andorema s.r.l. debbono essere dichiarati inammissibili, non dovendo provvedersi sulle spese del giudizio di legittimità in difetto di difese svolte dalla parte intimata.

PQM

dichiara inammissibili entrambi i ricorsi proposti da Andorema s.r.l..

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per i ricorsi, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 6 marzo 2018.

Depositato in Cancelleria il 5 ottobre 2018

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