Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24529 del 18/10/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 18/10/2017, (ud. 08/06/2017, dep.18/10/2017),  n. 24529

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18299-2014 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

C.V., elettivamente domiciliato in ROMA VIA FLAMINIA 56,

presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE PECORILLA, rappresentato e

difeso dall’avvocato ALESSANDRO C. DE MATTEIS;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 603/2014 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

LECCE, depositata il 14/03/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

08/06/2017 dal Consigliere Dott. SPENA FRANCESCA.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che con sentenza in data 7.3-14.3.2014 (nr. 603/23/14) la Commissione Tributaria Regionale di Bari – sezione distaccata di Lecce ha confermato la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Lecce (nr. 357/2/2009), che aveva accolto il ricorso proposto da C.V., medico in rapporto convenzionale con il Servizio Sanitario Nazionale, avverso il silenzio rifiuto della Agenzia delle Entrate sulla domanda di rimborso dell’IRAP versata per gli anni 2001 – 2004;

che avverso tale sentenza la Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso, articolato in quattro motivi, al quale ha opposto difese C.V. con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che la Agenzia delle Entrate ha dedotto:

– con il primo motivo: ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione o falsa applicazione della D.Lgs. n. 466 del 1997, artt. 2 e 3, e dell’art. 2697 c.c.. Ha lamentato la violazione da parte del giudice dell’appello del principio secondo cui è onere del contribuente dare la prova della assenza del requisito della autonoma organizzazione e la omessa motivazione in ordine alle modalità con le quali il contribuente avrebbe assolto al suddetto onere probatorio. Come evidenziato nell’atto di appello, dal quadro RE delle dichiarazioni dei redditi per gli anni in contestazione emergevano spese non indifferenti per quote di ammortamento, prestazioni di lavoro dipendente, compensi a terzi ed altre spese. La Commissione Tributaria Regionale aveva trascurato di considerare il fatto dell’utilizzo congiunto di diversi elementi di organizzazione, tra i quali, in particolare, le spese per prestazioni di lavoro dipendente.

– con il secondo motivo: ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c.. Ha denunziato la omessa pronunzia del giudice dell’appello sulla eccezione sollevata dall’ufficio in ordine alla sussistenza degli indici della autonoma organizzazione;

– con il terzo motivo: ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 546 del 1992, art. 36, n. 4, per non avere il giudice dell’appello dato conto delle ragioni per le quali riteneva che i dati risultanti dalle dichiarazioni dei redditi fossero privi di rilevanza ovvero rientrassero nel limite del minimo indispensabile per l’esercizio della professione;

con il quarto motivo: ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, violazione dell’art. 111 Cost., per essere la motivazione circa la assenza del requisito della autonoma organizzazione del tutto apparente.

che ritiene il Collegio si debba rigettare il ricorso;

che, infatti:

– quanto al primo motivo, come chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cassazione civile, sez. un., 10/05/2016, n. 9451), il requisito dell’autonoma organizzazione – previsto dal D.Lgs. 15 settembre 1997, n. 446, art. 2, – il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato- ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui che superi la soglia dell’impiego di un collaboratore che esplichi mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive.

La Commissione Tributaria Regionale si è conformata nella decisione all’indicato principio di diritto, ritenendo assente il presupposto dell’imposta dopo avere valutato la mancanza di rilevanza delle spese per beni strumentali ed immobili e la esiguità delle spese per il lavoro dipendente. La censura articolata in riferimento all’art. 2697 c.c. è inammissibile per avere la sentenza posto a carico del contribuente- e non già della Agenzia delle Entrate- l’onere della prova della assenza del presupposto impositivo (ritenendo, poi, positivamente acquisita detta prova) sicchè la denunzia non è conferente al contenuto della decisione impugnata;

– il secondo motivo è infondato; la Commissione Tributaria Regionale si è infatti positivamente pronunziata, rigettandola, sulla domanda di appello proposta dalla Agenzia delle Entrate;

– il terzo motivo è inammissibile. La deduzione del vizio di motivazione è consentita in questa sede di legittimità unicamente sub specie di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio ed oggetto di discussione tra le parti, secondo la formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, applicabile ratione temporis. La parte ricorrente si è invece limitata a dedurre genericamente una pretesa insufficienza del percorso motivazionale;

– il quarto motivo è infondato; la motivazione della sentenza, lungi dall’essere apparente, illustra il convincimento espresso dal giudice del merito alla luce di circostanze di fatto puntualmente esposte ed emergenti dalle dichiarazioni dei redditi degli anni in contestazione (spese per lavoro dipendente comprese tra l’importo di Euro 1.483,78 nel 2001 e quello di Euro 3.597 nel 2004; spese per immobili oscillanti tra la somma di Euro 309,87 nel 2001 e quella di Euro 1379 nel 2004; quote di ammortamento comprese nella fascia tra Euro 1.442 nel 2001 ed Euro 2.935 nel 2003);

che pertanto il ricorso deve essere respinto;

che le spese vengono regolate secondo la soccombenza, come da dispositivo che non ricorrono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater, giacchè la norma non può trovare applicazione nei confronti delle Amministrazioni dello Stato che, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo. (ex plurimis: Cassazione civile, sez. 6^, 29/01/2016, n. 1778).

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 2.000 oltre spese generali nella misura forfettaria del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della NON sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Adunanza Camerale, il 8 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 18 ottobre 2017

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