Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24524 del 30/10/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 24524 Anno 2013
Presidente: COLETTI DE CESARE GABRIELLA
Relatore: AMOROSO GIOVANNI

SENTENZA

sul ricorso 20196-2011 proposto da:
AEM TORINO DISTRIBUZIONE S.P.A. 08475780014, nonche’
IRIDE S.P.A. (ora IREN S.P.A., già AZIENDA ENERGETICA
METROPOLITANA TORINO S.P.A.), in persona dei legali
rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliate
in ROMA, VIA DI RIPETTA 22, presso lo studio
2013
1337

dell’avvocato VESCI GERARDO, che le rappresenta e
difende unitamente agli avvocati GUASCO MARCO, PONZONE
RUGGERO per la AEM S.P.A., unitamente agli avvocati
BONINI ATTILIO e ZAMBCM FABIOLA per la IRIDE S.P.A.,
giusta deleghe in atti;

Data pubblicazione: 30/10/2013

-

– ricorrenti contro

I.N.P.S.

ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA

SOCIALE, in persona del suo Presidente e legale
rappresentante pro tempore, in proprio e quale
della

S.C.C.I.

S.P.A.

Società

di

Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S., elettivamente
domiciliati in ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso
l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentati e
difesi dagli avvocati D’ALOISIO CARLA, SGROI ANTONINO,
MARITATO LELIO, giusta delega in atti;
– controri correnti nonchè contro

EQUITALIA NORD S.P.A.(già EQUITALIA NOMOS S.P.A.);
– intimata –

avverso la sentenza n. 97/2011 della CORTE D’APPELLO
di TORINO, depositata il 03/02/2011 r.g.n. 460/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 15/04/2013 dal Consigliere Dott. GIOVANNI
AMOROSO;
udito l’Avvocato VESCI GERARDO;
udito l’Avvocato D’ALOISIO CARLA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIANFRANCO SERVELLO, che ha concluso
per il rigetto dell’istanza di riunione delle cause
pendenti, nel merito rigetto.

mandatario

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Con ricorso depositato in data 22.12.2009 avanti al Tribunale di Torino,
AEM Torino Distribuzione s.p.a. e IRIDE s.p.a – ad adiuvandum –

evocando in

giudizio l’INPS, la SCCI spa e la concessionaria EQUITALIA NOMOS spa.
proponevano opposizione

la

avverso

cartella

esattoriale

n.

110200900792574000 notificata da EQUITALIA NOMOS spa in data 16.11.2009.
con la quale veniva ingiunto il pagamento della somma di euro 26.417,25 a titolo di

dirigenti iscritti all’INPDAP)

per il mese di dicembre 2008 con riferimento ad

omissioni contributive per la cassa integrazione ordinaria e straordinaria, mobilità e
disoccupazione, malattia, comprensiva di somme aggiuntive interessi di mora;
escludevano la fondatezza della pretesa dell’Istituto, data la natura di società a
capitale prevalentemente pubblico, e chiedevano in via conclusiva all’annullamento
e/o la revoca della cartella opposta.
L’Inps, costituendosi in giudizio, chiedeva il rigetto dell’opposizione.
Equitalia Nomos S.p.A. non si costituiva in giudizio e veniva dichiarata
contumace.
Con sentenza del 10 marzo 2010, non notificata, il tribunale, in accoglimento
del ricorso, annullava la cartella esattoriale e compensava le spese di lite.
2. Con ricorso depositato in data 30 giugno 2010 l’Inps proponeva appello
chiedendo il rigetto dell’originaria opposizione.
Le società AEM Torino distribuzione S.p.A. e Iride S.p.A., costituendosi in
giudizio, chiedevano il rigetto dell’appello.
All’udienza del 26 gennaio 2011 l’appellante depositava relazione esplicativa
di conteggi riformulati in ottemperanza dell’ordinanza 14 luglio 2010 della corte
d’appello.
All’esito, quest’ultima con sentenza del 26 gennaio 2011-3 febbraio 2011. in
parziale accoglimento dell’appello, condannava la società AEM Torino distribuzione
S.p.A. a pagare all’Inps euro 2183,00 a titolo di contributi CIG, CIGS, DS e mobilità
per operai e impiegati oltre alle relative sanzioni civili. Compensava le spese del
grado.
3. Avverso questa pronuncia ricorrono per cassazione, con un unico atto, le
società AEM TORINO DISTRIBUZIONE s.p.a. e IRIDE s.p.a. con cinque motivi.
Resiste con controricorso l’INPS.

20196_11 r.g.n.

3

ud. 15 aprile 2013

contributi per le assicurazioni sociali dei lavoratori dipendenti (operai, impiegati e

MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il ricorso è articolato in cinque motivi.
Con il primo motivo si lamenta violazione e/o falsa applicazione dell’art. 132
c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., nonché omessa e/o insufficiente e/o illogica
motivazione circa un punto essenziale della controversia per essere contenuti nella
motivazione della sentenza dei riferimenti a società e ad attività diverse da quelle
ricomprese nell’oggetto sociale di A.E.M. Torino Distribuzione s.p.a.

applicazione) dell’art. 3 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 12
agosto 1947, n. 869, ratificato dalla legge 21 maggio 1951, n. 498; dell’art. 2 della
legge 5 novembre 1968, n. 1115; dell’art. 1 della legge 8 agosto 1972, n. 464;
dell’art. I della legge 20 maggio 1975, n. 164; dell’art. 4 della legge 12 luglio 1988,
n. 270; dell’art. 22 della legge 8 giugno 1990; art. 113 del decreto legislativo 18
agosto 2000, n. 267; dell’art. 3 della legge 28 dicembre 200 I, n. 448: dell’ art.2 del
decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 158; dell’art. 3, comma 28, del decreto
legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (codice contralti pubblici, servizi e forniture);
dell’art. 20.2 del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112, conv. in legge 6 agosto 2008.
n. 133; dell’art. 2359 c.c.; nonché motivazione, contraddittoria, illogica e
insufficiente su un punto decisivo della controversia.
Con il terzo motivo le società ricorrenti denunciano la violazione e falsa
applicazione dell’art. 16, commi 10 e 2°’ della legge 23 luglio 1991, n. 223.
Con il quarto motivo le società ricorrenti denunciano la violazione e falsa
applicazione dell’art. 40, n. 2, del regio decreto legge 4 ottobre 1935, n. 1827. con’.
in legge 6 aprile 1936, n. 1155; dell’art. 20, commi 2°, 4°, 5° e 6°, del decreto legge
25 giugno 2008, n. 112, conv. in legge 6 agosto 2008, n. 133; dell’art. 2359 c.c.;
nonché motivazione contraddittoria, illogica e insufficiente su punti essenziali della
controversia.
Con il quinto motivo le società ricorrenti denunciano la violazione (o falsa
applicazione) dell’art. 3 del d.lgs.vo C.p.S. n. 869 del 1947, ratificato dalla I. n.
498/1951 ; dell’art. 16 della legge n. 223 del 1991; dell’art. 20, commi 2°, 4°, 5° e 6°,
del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112, conv. in legge 6 agosto 2008, n. 133;
dell’art. 2112 c.c..
2. Il ricorso – i cui motivi possono essere esaminati congiuntamente – è
infondato.

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4

ud. 15 aprile 2013

Con il secondo motivo le società ricorrenti denunciano la violazione (o falsa

3. L’errata indicazione (in motivazione) della società interessata non integra
un vizio decisivo, dovendo considerarsi frutto di una mera improprietà che non
altera la sostanza della pronuncia impugnata , posto che comunque la Corte d’appello
ha individuato e risolto tutte le questioni giuridiche ad essa prospettate dalla odierna
ricorrente AEM Torino Distribuzione s.p.a. (e, con essa, da Iride s.p.a.).
4. Sul piano legislativo deve premettersi che l’art. 22 della 1. 8.06.90 n. 142,
recante l’ordinamento delle autonomie locali, prevedeva che comuni e provincie,

pubblici aventi ad oggetto la realizzazione di fini sociali e la promozione dello
sviluppo economico e civile delle comunità locali (c. 1), mediante varie forme
giuridiche (in economia, in concessione a terzi, a mezzo di azienda speciale, di
istituzione o di società per azioni a prevalente capitale pubblico, c. 3).
Il d.lgs. 18.08.00 n. 267 (emanato in forza della delega conferita dall’art. 31
della 1. 3.08.99 n. 265), recante il testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti
locali, nella sua originaria formulazione, ribadì che questi ultimi avrebbero dovuto
provvedere alla gestione dei servizi pubblici di interesse delle comunità locali nelle
stesse forme già individuate dall’art. 22 della legge n. 142 (artt. 112-113). A breve
distanza di tempo, tuttavia, l’impostazione del d.lgs. n. 267 del 2000 fu rivista
dall’art. 35 della 1. 28.12.01 n. 448 nell’ambito del patto di stabilità interno per gli
enti pubblici (previsto dal capo terzo del titolo terzo della legge).
5.

Tale art. 35 modificò detto art. 113 ed introdusse l’art. 113

bis.

distinguendo la gestione delle reti ed erogazione dei servizi pubblici locali di
rilevanza industriale (art. 113) dalla gestione dei servizi pubblici locali privi di
rilevanza industriale (art. 113 bis).
Deve richiamarsi, ai fini della presente controversia, la formulazione dell’art.
113 adottata in tale occasione, la quale, sotto la rubrica Gestione delle reti ed
erogazione dei servizi pubblici locali di rilevanza industriale, prevedeva che la
gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali degli enti locali.
ove separata dall’attività di erogazione dei servizi, dovesse essere effettuata dagli
enti locali, anche in forma associata, mediante a) -soggetti allo scopo costituiti, nella
forma di società di capitali con la partecipazione maggioritaria degli enti locali,
anche associati, cui può essere affidata direttamente tale attività -, b) “imprese
idonee, da individuare mediante procedure ad evidenza pubblica (c. 4). Lo stesso
art. 113 prevedeva, inoltre, che l’erogazione del servizio, dovesse avvenire in regime
di concorrenza, secondo le apposite discipline di settore -con conferimento della
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ud. 15 aprile 2013

nell’ambito delle rispettive competenze, provvedessero alla gestione dei servizi

titolarità del servizio a società di capitali individuate attraverso l’espletamento di gare
con procedure ad evidenza pubblica” (c. 5). In particolare, era previsto il divieto di
“ogni forma di differenziazione nel trattamento dei gestori di pubblico servizio in
ordine al regime tributario, nonché alla concessione da chiunque dovuta di
contribuzioni o agevolazioni per la gestione del servizio” (c. 10).
6. La Corte d’appello ha accertato che le società odierne ricorrenti sono
derivate dall’Azienda Energetica Municipalizzata (AEM) del Comune di Torino, la

locali), si trasformò in AEM Torino s.p.a., a capitale dapprima interamente pubblico
e, dopo la quotazione in Borsa, parzialmente privato, pur restando di proprietà del
Comune di Torino la maggioranza assoluta delle azioni. A decorrere dal 31.10.06
AEM Torino s.p.a. incorporò AMGA (Azienda Municipalizzata Gas e Acqua)
Genova s.p.a. e si trasformò in Iride s.p.a., partecipata al 51% da Finanziaria
Sviluppo Utilities s.r.1., le cui quote appartengono per metà ciascuno al Comune di
Torino ed al Comune di Genova. Lo stesso 31.10.06 l’attività societaria fu
disarticolata in quattro società controllate al 100% da Iride s.p.a., alle quali, per
trasferimento di ramo di azienda, furono trasferiti gli specifici settori di attività delle
due originarie aziende municipalizzate. Una di queste società è, appunto, A.E.M.
Torino Distribuzione s.p.a.. Alla luce di questo complesso iter societario la €orte ai

mcrito 1

inquadratq ,h44c- genhig i tra le società che alla luce della suddetta

normazione costituiscono strumento degli enti locali per la gestione dei servizi.
7.

Le parti ricorrenti affermano che in ragione di tale inquadramento la

Società A.E.M. Torino Distribuzione s.p.a. avrebbe natura di impresa pubblica, dato
che la formula della società partecipata imposta dall’art. 113 del d.lgs. n. 267 del
2000 (nel testo introdotto dall’art. 35 della 1. 28.12.01 n. 448) consente al soggetto
pubblico di esercitare, direttamente o indirettamente, un’influenza dominante in
ragione della maggioritaria partecipazione azionaria. Iride Servizi rientrerebbe,
dunque, tra le imprese escluse dall’applicazione delle norme sull’integrazione dei
guadagni degli operai dell’industria, ai sensi dell’art. 3, c. 1, del d.I.C.P.S. 12.08.47
n. 869 nel testo vigente (risultante dalle modifiche apportate dall’art. 1 della 1.
8.08.72 n. 464 e dall’art. 4, c. 1, della 1. 12.07.88 n. 270) e di conseguenza tra quelle
escluse dal pagamento dell’indennità di mobilità ai sensi dell’art. 16, c. 1, della I.
23.07.91 n. 223. Parimenti, in ragione di detto inquadramento, essa non sarebbe
tenuta ai contributi per l’assicurazione per la disoccupazione involontaria, in quanto i
suoi dipendenti non sarebbero soggetti a tale forma di assicurazione obbligatoria in
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ud. 15 aprile 2013

quale, ai sensi dell’art. 22 della 1. 8.06.90 n. 142 (ordinamento delle autonomia

forza dell’art. 40 del r.d.l. 4.10.35 n. 1827, che esclude da detta assicurazione -gli
impiegati, agenti e operai stabili di aziende pubbliche, nonché gli impiegati. agenti e
operai delle aziende esercenti pubblici servizi e di quelle private, quando ad essi sia
garantita la stabilità d’impiego” (n. 2).
La giurisprudenza della Corte di cassazione ha già preso in considerazione
tali obiezioni rilevando che nella specie non può identificarsi la società partecipata
con “le imprese industriali degli enti pubblici” esonerate, trattandosi di società di

controllo esclusivamente attraverso gli strumenti di diritto privato; dovendosi altresì
escludere, in mancanza di una disciplina derogatoria rispetto a quella propria dello
schema societario, che la mera partecipazione — pur maggioritaria, ma non totalitaria
— da parte dell’ente pubblico sia idonea a determinare la natura dell’organismo
attraverso cui la gestione del servizio pubblico viene attuata (Cass. 24.06.09 n.
14847, 10.03.10 n. 5816 e, da ultimo, 13.05.13 n. 11417).
Tale principio è posto in discussione dalle odierne ricorrenti in quanto, a loro
avviso basato su un presupposto legislativo non più attuale, quale il riferimento alla
norma dell’art. 23 della legge n. 142 del 1990 che non comprende l’ente societario
tra quelli che sono qualificati strumentali degli enti locali. La norma applicabile

ratione temporis alla fattispecie (che riguarda contributi relativi agli anni 2006 e
2007), infatti, prevederebbe ormai l’obbligatorietà del ricorso all’ente societario (art.
113, c. 4, del t.u. n. 267 del 2000, come modificato dall’art. 35 della 1. 28.12.01 n.
448) e prescinderebbe da ogni più o meno dichiarato carattere di strumentalità.
L’obiezione è infondata. Innanzitutto, anche dopo la modifica di detto art.
113 ad opera dell’art. 35 della legge 448, il successivo art. 114, non toccato dalla
modifica, continua a non prevedere l’ente societario tra quelli strumentali dell’ente
locale. Inoltre, il ricorso alla forma societaria è considerato dal nuovo testo dell’art.
113 frutto di una vera e propria scelta economica imposta all’ente locale, atteso che
detta forma societaria è consentita solo nel caso esista separazione dell’erogazione
dalla gestione del servizio e solo per la gestione delle reti, degli impianti e delle altre
dotazioni patrimoniali. Si tratta, in altre parole di una vera e propria opzione di
carattere gestionale, in relazione alla onerosità dell’attività, tanto è vero che gli enti
in questa ipotesi sono posti dinanzi all’alternativa di avvalersi o di soggetti
economici costituiti in forma societaria partecipata dagli enti interessati, oppure di
idonee imprese da scegliere attraverso pubblica gara (c. 4). Dunque, la forma
societaria di diritto privato è per l’ente locale una modalità di gestione degli impianti
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ud. 15 aprile 2013

natura essenzialmente privata nella quale l’amministrazione pubblica esercita il

consentita dalla legge e prescelta dall’ente stesso per la duttilità dello strumento
giuridico, in cui il perseguimento dell’obiettivo pubblico è caratterizzato
dall’accettazione delle regole del diritto privato.
Le disposizioni impugnate definiscono il proprio ambito di applicazione non
secondo il titolo giuridico in base al quale le società operano, ma in relazione
all’oggetto sociale di queste ultime. Tali disposizioni sono fondate sulla distinzione
tra attività amministrativa in forma privatistica e attività d’impresa di enti pubblici.

svolgimento sono diverse. Nel primo caso vi è attività amministrativa, di natura
finale o strumentale, posta in essere da società di capitali che operano per conto di
una pubblica amministrazione. Nel secondo caso, vi è erogazione di servizi rivolta al
pubblico (consumatori o utenti), in regime di concorrenza.
Questi concetti sono ben presenti nella giurisprudenza costituzionale la quale,
soprattutto al fine di individuare il corretto discrimine tra la legislazione regionale e
quella statuale, considera la legislazione ora in esame quale frutto di disposizioni che
mirano a separare la sfera di attività amministrativa da quella privata per evitare che
un soggetto, che svolge attività amministrativa, eserciti allo stesso tempo attività
d’impresa, beneficiando dei privilegi dei quali esso può godere in quanto pubblica
amministrazione. Non è, dunque, negata né limitata la libertà di iniziativa economica
degli enti territoriali, ma è imposto loro di esercitarla distintamente dalle proprie
funzioni amministrative, rimediando a una frequente commistione, che il legislatore
statale ha reputato distorsiva della concorrenza (Corte cost. 1.08.08 n. 326).
8. Nulla aggiunge a questa impostazione il richiamo effettuato dalle società
ricorrenti alla definizione di impresa pubblica accolta dal d.lgs. 12.04.06 n. 163,
recante il codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture (attuativo
delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE) per il quale -imprese pubbliche sono le
imprese su cui le amministrazioni aggiudicatrici possono esercitare, direttamente o
indirettamente, un’influenza dominante o perchè ne sono proprietarie, o perchè vi
hanno una partecipazione finanziaria, o in virtù delle norme che disciplinano dette
imprese”, e “l’influenza dominante è presunta quando le amministrazioni
aggiudicatrici, direttamente o indirettamente, riguardo all’impresa, alternativamente o
cumulativamente: a) detengono la maggioranza del capitale sottoscritto; b)
controllano la maggioranza dei voti cui danno diritto le azioni emesse dall’impresa;
c) hanno il diritto di nominare più della metà dei membri del consiglio di
amministrazione, di direzione o di vigilanza dell’impresa” (art. 3, c. 28). Il d.lgs. n.
20196_11 r.g. n.

8

ud. 15 aprile 2013

L’una e l’altra possono essere svolte attraverso società di capitali, ma le condizioni di

103 del 2006, infatti, non è la fonte dello statuto dell’impresa pubblica, ma è una
disposizione che, in attuazione del dettato comunitario, enuclea una nozione
convenzionale da adottare nel suo campo di azione, che è quello della disciplina dei
contratti delle stazioni appaltanti, degli enti aggiudicatori e dei soggetti aggiudicatori,
aventi per oggetto l’acquisizione di servizi, prodotti, lavori ed opere (art. 1, c. 1). In
questo campo l’attività di impresa è comunque considerata una proiezione delle
potestà dei soggetti pubblici (territoriali e non), atteso che, ove consentito, la scelta di

pubblica (art. 1, c. 2).
9. Nessun significato interpretativo può, infine, attribuirsi al d.l. 25.06.08 n.
112, conv. dalla 1. 6.08.08 n. 133, recante disposizioni urgenti per lo sviluppo
economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza
pubblica e la perequazione tributaria, il quale ha previsto, solo con decorrenza
1.01.09 l’obbligo del versamento dei contributi per malattia e maternità nei confronti
delle “imprese dello Stato, degli enti pubblici e degli enti locali, privatizzate ed a
capitale misto” (art. 20, c. 2). Infatti, la contribuzione disciplinata da tale norma è
diversa da quella inerente i titoli vantati dall’INPS nella presente controversia e non
implica una “razionalizzazione – dell’intera materia dell’obbligazione contributiva
delle imprese pubbliche, privatizzate e a capitale misto, ovvero una assimilazione di
tali imprese a qualunque fine previdenziale o assistenziale, dato che, piuttosto, la
omogeneità è solo nel senso della estensione dell’obbligo contributivo per la malattia
a tutte le imprese, comprese quelle privatizzate e a capitale misto (v. la già citata
sentenza Cass. n. 5816 del 2010).
Una volta escluse le società per azioni a partecipazione pubblica dal concetto
lato di “imprese pubbliche”, ai fini della presente controversia, diviene ovviamente
irrilevante che l’art. 20, c. 4, dello stesso d.l. n. 112 del 2008 abbia abrogato la
disposizione dell’art. 40, n. 2, del r.d.l. 4.10.35 n. 1827 (che esclude
dall’assicurazione obbligatoria per la disoccupazione involontaria i dipendenti delle
aziende pubbliche e delle aziende esercenti pubblici servizi, v. n. 9) ed abbia esteso il
detto obbligo assicurativo “solo dal primo periodo di paga decorrente dal 1° gennaio
2009”.
10. Giova pure richiamare il principio enunziato dalle Sezioni unite con la
sentenza 19.12.09 n. 26806 che – nello statuire che spetta al giudice ordinario la
giurisdizione in ordine all’azione di risarcimento dei danni subiti da una società a
partecipazione pubblica per effetto di condotte illecite degli amministratori o dei
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ud. 15 aprile 2013

un eventuale socio privato è sottoposta all’espletamento di procedure di evidenza

dipendenti – ha affermato che non è configurabile, avuto riguardo all’autonoma
personalità giuridica della società, né un rapporto di servizio tra l’agente e l’ente
pubblico titolare della partecipazione, né un danno direttamente arrecato allo Stato o
ad altro ente pubblico, idonei a radicare la giurisdizione della Corte dei conti. Tale
principio è stato adottato da tutta la giurisprudenza successiva delle Sezioni Unite
anche in relazione a società per azioni a partecipazione pubblica maggioritaria o
totalitaria, anche se sottoposte a penetranti poteri di controllo dell’ente pubblico ed

12.10.11 n. 20940; 5.07.11 n. 14655).
In questa sede deve essere rimarcato che a dette conclusioni le Sezioni Unite
sull’onda della già menzionata sentenza n. 26806 del 2009 sono pervenute proprio
sulla base del rilievo — che questo Collegio ha più sopra già affermato — che le
disposizioni del codice civile sulle società per azioni a partecipazione pubblica non
valgono a configurare uno statuto speciale delle stesse e che la scelta della Pubblica
Amministrazione di acquisire partecipazioni in società private implica
l’assoggettamento alle regole proprie della forma giuridica prescelta.
11. Con un’ultima argomentazione a cavallo del quarto e quinto
motivo, le ricorrenti intendono far derivare l’esonero dalla richiesta contribuzione da
alcuni provvedimenti emessi dall’Autorità amministrativa (d.m. 25338 del 12.11.98 e
ulteriori provvedimenti dell’INPS) ai sensi dell’art. 36 del d.P.R. 26.04.57 n. 818
(peraltro abrogato in parte qua dal menzionato art. 20 del d.l. n. 112 del 2008), per
l’applicazione del più volte richiamato art. 40, c. 2, del r.d.1.4.10.35 n. 1827, che
escludeva l’assoggettamento dei dipendenti delle aziende pubbliche e di quelle
esercenti pubblici servizi “quando ad essi sia garantita la stabilità dell’impiego”.
Detti provvedimenti, con cui era accertata la stabilità di impiego del personale
dipendente della Azienda energetica metropolitana (AEM) di Torino, dante causa
remota di A.E.M. Torino Distribuzione s.p.a. costituirebbero titolo per l’esonero
contributivo, in quanto contenuti nel patrimonio dell’impresa originaria, trasmesso ex
art. 2112 c.c. all’avente causa.
Questa richiesta è frutto di una non corretta lettura dell’art. 2112 c.c. Questa
norma, infatti, persegue lo scopo di garantire ai lavoratori la conservazione dei diritti
in caso di mutamento dell’imprenditore, assicurando la continuità del rapporto di
lavoro nei confronti dell’azienda, o alla parte di essa, trasferita ed esistente al
momento del trasferimento (v. per tutte Cass. 17.03.09 n. 4452). E’ estranea, invece,
alla tutela da essa offerta la garanzia di continuità delle prerogative della struttura
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ud. 15 aprile 2013

anche se la s.p.a. gestisce un servizio pubblico essenziale (S.u. 7.07.11 n. 14957; S.u.

aziendale riconosciute alla parte imprenditoriale dall’autorità amministrativa, atteso
che dette prerogative sono condizionate alla permanenza dei requisiti richiesti dalla
legge per il loro riconoscimento. Nel caso di specie detti provvedimenti di
accertamento erano legati alla condizione dell’Azienda esaminata — chiamata ad
accertare “la sussistenza della stabilità d’impiego, … in sede amministrativa su
domanda del datore di lavoro” — in relazione alla soggettività specifica del datore di
lavoro, come esistente al momento dell’accertamento, ed alle condizioni ivi

economici.
Per tali ragioni anche l’ultima frazione del quarto motivo ed il quinto sono
anch’essi infondati.

12. In conclusione il ricorso deve essere rigettato.
In ragione della successione di leggi intervenuta nella fattispecie e delle
conseguenti incertezze di coordinamento, il Collegio ritiene opportuno procedere alla
compensazione delle spese del giudizio di legittimità tra le parti costituite, nulla
statuendo invece nei confronti di Equitalia Nomos spa, che non ha svolto attività
difensiva.

PER QUESTI MOTIVI
La Corte rigetta il ricorso; compensa tra le parti costituite le spese di questo
giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma il 15 aprile 2013
Il Consigliere

Il Presidente

verificate, con impossibilità di trasferire detti provvedimenti in capo ad altri soggetti

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