Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24523 del 04/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 04/11/2020, (ud. 23/10/2019, dep. 04/11/2020), n.24523

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. SAIEVA Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2127/2014 proposto da:

C.I.C. S.r.l., rappresentata e difesa dall’avv. Rosario Calì del

Foro di Palermo, con domicilio eletto presso lo studio del difensore

in Palermo Via Gioacchino Di Marzo, n. 11;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro-tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

i cui uffici è domiciliata ope legis in Roma, Via dei Portoghesi,

n. 12;

– resistente –

Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Sicilia n. 83/24/13 pronunciata il 22.3.2013 e depositata il

29.5.2013;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

23.10.2019 dal Consigliere Giuseppe Saieva.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La C.I.C. S.r.l. con socio unico, ha proposto ricorso affidato a tre motivi contro l’Agenzia delle Entrate per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Sicilia n. 83/24/13, pronunciata il 22.3.2013 e depositata il 29.5.2013, concernente l’impugnativa dell’avviso di accertamento relativo ai redditi recuperati a tassazione per IRES, IRAP ed IVA per l’anno 2005, con cui le erano stati attribuiti, sulla base degli studi di settore di categoria, maggiori ricavi.

2. Con la sentenza impugnata, la C.T.R. della Sicilia, aveva confermato la decisione della C.T.P. di Palermo, ritenendo che la società non aveva documentato, nè in sede di verifica, nè in giudizio, una realtà economica diversa da quella rilevata dai verbalizzanti, venendo meno all’onere della prova che la presunzione di esistenza di ricavi non contabilizzati le imponeva.

3. L’Agenzia delle entrate depositava atto di costituzione al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa ex art. 370 c.p.c., comma 1.

4. Il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 23.10.2019, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c., e art. 380 bis 1 c.p.c., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, conv. in L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la società ricorrente deduce la “nullità della sentenza emessa dalla Commissione tributaria regionale per omessa pronuncia su due motivi di impugnazione della sentenza di primo grado; error in procedendo e violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4; mancanza dei presupposti per ritenere assorbiti i motivi del ricorso non esaminati in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”, lamentando che la C.T.R. avrebbe omesso di motivare sulle presunte irregolarità contestate dai verbalizzanti in relazione alla violazione dell’art. 93, comma 6, del TUIR ed alla contabilizzazione delle rimanenze di lavori in corso di esecuzione di durata infrannuale con il criterio del corrispettivo maturato in luogo di quello del costo di produzione, nonchè sulla assoluta aleatorietà ed indeterminatezza della quantificazione dei presunti maggiori ricavi omessi recuperati a tassazione.

1.1. Il motivo è infondato.

1.2. Come più volte ribadito da questa Corte, ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto; ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo in tal caso ravvisarsi una implicita statuizione di rigetto quando la pretesa avanzata con il capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia (Cass. n. 20311 del 4.10.2011; Cass. n. 3756 del 15.2.2013).

1.3. Nel caso di specie, la sentenza impugnata, nell’escludere la fondatezza delle ragioni dell’appello, ha seguito un percorso logico e coerente, incompatibile con l’argomento riproposto dal contribuente a fondamento del ricorso per cassazione, talchè non è ravvisabile il dedotto vizio di omessa pronuncia.

2. Con il secondo motivo la società ricorrente deduce la “illegittimità della sentenza per violazione ed errata applicazione del TUIRn. 917 del 1986, artt. 92 e 93 ratione temporis vigente, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3” evidenziando che contrariamente a quanto ritenuto dalla C.T.R. – secondo cui non sarebbe consentito contabilizzare le rimanenze di lavori in corso di esecuzione infrannuale con il criterio del corrispettivo maturato – è proprio l’art. 92 del TUIR che, invece, impone l’utilizzazione del diverso criterio del costo di produzione.

2.1. Tale motivo si appalesa infondato.

2.2. Come affermato costantemente da questa Corte, in tema di determinazione del reddito d’impresa, le regole sull’imputazione temporale dei componenti del reddito, dettate in via generale dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75 sono tassative ed inderogabili, non essendo consentito al contribuente di ascrivere a proprio piacimento un componente positivo o negativo del reddito ad un esercizio diverso da quello individuato dalla legge come esercizio di competenza (Cass. 30/7/2018, n. 20095; Cass. 17/07/2014, n. 16349; Cass., 18/12/2009, n. 26665; Cass., 13/5/2009, n. 10981; Cass. 15/11/2000, n. 14774), poichè ciò finirebbe per rendere lo stesso contribuente arbitro della scelta del periodo più conveniente in cui dichiarare i componenti del proprio reddito, con innegabili riflessi sulla determinazione del relativo reddito imponibile. Premessa quindi l’inderogabilità del criterio di competenza dettato dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75 (Cass. n. 7504/2016), occorre precisare che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la violazione dei criteri d’imputazione cronologica dei componenti positivi e negativi del reddito non costituisce una violazione meramente formale, sia perchè l’imputazione ad un determinato periodo di imposta di componenti ad esso estranei (in quanto riferibili ad altro periodo) incide sulla determinazione del reddito d’impresa di quella specifica annualità (cfr. Cass. 03/10/2018, n. 24006); sia perchè, comunque, “in nessun caso… il contribuente può scegliere liberamente, secondo le proprie convenienze, l’esercizio in cui registrare i costi, dovendo l’eventuale spostamento dall’anno di riferimento essere ancorato a fatti obbiettivi e verificabili” (Cass., 30/12/2009, n. 28070 e, da ultimo, Cass. 30/7/2018, n. 20095).

2.3. Con specifico riferimento ai prodotti in corso di lavorazione e ai servizi in corso di esecuzione, le opere, le forniture ed i servizi di durata

non superiore ai dodici mesi, ai sensi dell’art. 92, comma 6, del TUIR, devono essere valutati come i prodotti in corso di lavorazione, ovvero in base ai costi sostenuti nell’esercizio per la loro esecuzione, mentre qualora la commessa abbia un tempo di esecuzione superiore ai dodici mesi, ma non anche al periodo d’imposta, si renderà applicabile la disciplina prevista dal successivo art. 93 TUIR, in base alla quale il meccanismo delle rimanenze finali si applica anche ai fini della valutazione delle opere in corso di esecuzione di durata ultrannuali e ciò in ragione del fatto che, a fronte dei costi sostenuti, l’impresa ritrarrà un ricavo solo con il completamento dell’opera. Trova perciò previsione, coerentemente con i criteri che sovrintendono all’inquadramento contabile delle rimanenze, che le rimanenze finali che costituiscono esistenze iniziali dell’esercizio successivo sono assunte per il valore complessivo determinato a norma delle disposizioni che seguono per la parte eseguita fin dall’inizio del contratto.

2.4. Ne consegue che la Commissione regionale ha fatto corretta applicazione dei principi anzidetti.

3. Con il terzo motivo la società ricorrente deduce la “illegittimità della sentenza per omessa insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine a fatti decisivi per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5; omesso esame della documentazione prodotta in giudizio necessaria per la decisione della controversia ed erronea valutazione dei fatti di causa”, non avendo il Giudice di appello valutato fatti e documenti essenziali per la risoluzione della controversia ed affermando erroneamente che in sede di verifica, la società non aveva “prodotto la documentazione/appalti atta a quantificare i ricavi imputati” e rilevando che “neanche in sede giudiziaria la ricorrente ha documentato una realtà economica diversa da quella rilevata dai verbalizzanti”, ignorando i contratti regolarmente prodotti in giudizio unitamente alle fatture emesse a conclusione dei lavori.

3.1. Anche tale motivo è inammissibile.

3.2. Quanto al dedotto vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, che consente di impugnare una sentenza per “violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro”, la ricorrente non ha neppure indicato quale disposizione di legge la C.T.R. avrebbe violato con la sentenza impugnata.

3.3. Quanto poi al motivo di ricorso con cui – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, si osserva che nella specie manca la specifica indicazione del “fatto” controverso o decisivo in relazione al quale la motivazione si assume carente, dovendosi intendere per “fatto” non una “questione” o un “punto” della sentenza, ma un fatto vero e proprio e, quindi, un fatto principale, ex art. 2697 c.c., (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) od anche un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purchè controverso e decisivo.

3.4. Per le Sezioni unite di questa Corte l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia).

3.5. Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., sez. un., 7 aprile 2014, n. 8053).

3.6. Nella specie, le censure della ricorrente riguardano non “fatti”, ma argomentazioni giuridiche ed eccezioni in senso lato, per cui la società avrebbe potuto, al più, censurare la sentenza per omessa pronuncia ai sensi dell’art. 112 c.p.c. e art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

4. Il ricorso va pertanto rigettato. Nulla sulle spese in mancanza di qualsiasi attività difensiva dell’Amministrazione finanziaria. Sussistono i presupposti per il versamento da parte della società ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Nulla sulle spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2020

 

 

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