Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24522 del 04/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 04/11/2020, (ud. 23/10/2019, dep. 04/11/2020), n.24522

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. SAIEVA Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2057/2014 proposto da:

D.F., rappresentato e difeso dall’avv. Angelo Vola del Foro

di Piacenza e dall’avv. Giuseppe Merlino del Foro di Roma, con

domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, Piazza

della Libertà, n. 13;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro-tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

i cui uffici è domiciliata ope legis in Roma, Via dei Portoghesi,

n. 12;

– resistente –

Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Lombardia n. 89/32/13 pronunciata il 12.6.2013 e depositata il

19.6.2013;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

23.10.2019 dal Consigliere Giuseppe Saieva.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. D.F. ha proposto ricorso affidato a quattro motivi contro l’Agenzia delle Entrate per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, n. 89/32/13 pronunciata il 12.6.2013 e depositata il 19.6.2013, concernente l’impugnativa dell’avviso di accertamento relativo a maggiore Irpef, Irap ed Iva per l’anno 2004, con il quale, sulla base degli studi di settore di categoria, gli erano stati attribuiti maggiori ricavi.

2. Con la sentenza impugnata, la C.T.R. della Lombardia, aveva confermato la decisione della C.T.P. di Milano ritenendo che dalle discrepanze dei dati dichiarati dal contribuente e dalla documentazione acquisita, erano emersi elementi idonei a confermare la correttezza dei dati risultanti dagli studi di settore, mentre in sede di contraddittorio il contribuente non aveva assolto all’onere della prova che gli derivava dalla legge.

3. L’Agenzia delle entrate si è riservata di partecipare all’eventuale pubblica udienza.

4. Il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 23 ottobre 2019, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c., e art. 380 bis 1 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce “violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia sui motivi di appello (con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4)”, lamentando che la C.T.R. non si era pronunciata sull’eccezione di nullità derivata dell’avviso di accertamento, per vizio dell’atto presupposto; non si era pronunciata sull’errore materiale commesso dall’Agenzia delle Entrate circa la determinazione dell’IRPEF dovuta, omettendo di scomputare le ritenute d’imposta; non si era pronunciata sugli errori materiali nella determinazione delle sanzioni, nè si era pronunciata sul denunciato vizio di motivazione dell’avviso di accertamento impugnato.

1.1. Tale motivo è infondato.

1.2. Come più volte ribadito da questa Corte, ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto; ma ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo in tal caso ravvisarsi una implicita statuizione di rigetto quando la pretesa avanzata con il capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia (Cass. n. 20311 del 4.10.2011; Cass. n. 3756 del 15.2.2013).

1.3. Nel caso di specie, non è ravvisabile il dedotto vizio di omessa pronuncia, in quanto la sentenza impugnata, nell’escludere la fondatezza delle ragioni dell’appello, ha seguito un percorso logico incompatibile con l’argomento riproposto dal contribuente a fondamento del ricorso per cassazione.

2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5)”, in quanto con la sentenza impugnata, la C.T.R. aveva omesso “l’esame del fatto relativo all’errata quantificazione delle sanzioni agevolate contenute nell’invito al contraddittorio”.

2.1. Detto motivo è inammissibile.

2.2. Al riguardo va rilevato che il giudizio di appello risulta introdotto in data 16.11.2012 e quindi, trattandosi di statuizione di seconde cure in parte qua agitur che ha confermato in toto la statuizione di prime cure con motivazione di rigetto del gravame fondato sulle medesime ragioni alla cui stregua il primo giudice aveva respinto la domanda del ricorrente, è indubbio che ricorre l’ipotesi di “doppia conforme”, prevista dall’art. 348 ter c.p.c., comma 5, ai sensi del quale “il ricorrente in cassazione – per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 – deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse” (Cass. 22.12.2016, n. 26774).

2.3. In difetto di tale adempimento, devono applicarsi, ai sensi del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 2 le regole sulla cd. doppia conforme, applicabili ai giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del citato decreto, ossia ai giudizi di appello introdotti dopo il giorno 11 settembre 2012. (cfr. Cass. 18.12.2014, n. 26860).

3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce “violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, della L. n. 212 del 200, art. 7 (con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”, lamentando che l’avviso di accertamento sarebbe privo di motivazione in relazione ai presupposti di fatto ed alle ragioni giuridiche che lo avevano determinato; in particolare dei motivi per cui l’Ufficio non aveva tenuto conto delle ritenute subite dal contribuente nella determinazione dell’imposta IRPEF dovuta.

3.1. Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.

3.2. Trattandosi infatti di sentenza pubblicata in data 19.6.2013 deve essere applicato l’art. 360, comma 1, n. 5 riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, secondo cui è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione. (Sez. U, sentenza n. 8053 del 7.4.2014).

3.3. Nel caso in esame il ricorrente non denuncia alcun omesso esame di un fatto storico, ma censura la motivazione denunciandone sostanzialmente l’insufficienza (vizio non più deducibile secondo il “riformato” art. 360 c.p.c., n. 5) e sollecitando questa Corte a sostituirsi al giudice di merito nell’esame complessivo delle risultane probatorie, in tal modo formulando censure di merito non ammesse nel giudizio di legittimità.

3.4. La Commissione regionale ha comunque spiegato, attraverso una motivazione esaustiva ed immune da vizi logici, le ragioni per cui ha ritenuto legittimo l’accertamento operato dall’Ufficio, indicando gli elementi su cui ha fondato il proprio convincimento e chiarendo, in particolare, che il contribuente, esercente attività di “intermediario del commercio di prodotti di carta, cancelleria e libri”, per il 2004 aveva dichiarato un reddito di soli Euro 4.491,00, prodotto con ricavi considerevoli. La C.T.R. ha poi evidenziato le discrepanze tra i dati dichiarati dal contribuente ed i dati risultati dalla documentazione da cui emergevano elementi idonei a confermare la correttezza dei dati risultanti dagli studi di settore, come operati dall’Ufficio: in particolare il numero elevato di agenti (sette) addetti all’attività, non indicati nello studio di settore, nel quale era stato indicato un solo collaboratore familiare, mentre nel 770/05 risultavano n. 7 subagenti, diversamente da quanto risultante dal quadro D dello studio di settore, ove ne erano stati indicati solo tre.

3.5. In tale contesto, la decisione non appare censurabile sotto il profilo motivazionale.

4. Con il quarto motivo deduce violazione e falsa applicazione del D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 62-sexies, comma 3, conv. con mod. con L. 29 ottobre 1993, n. 427, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), della L. n. 146 del 1998, art. 10, comma 1, (con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), contestando il giudizio della C.T.R. secondo cui egli non avrebbe fornito elementi idonei a giustificare il proprio scostamento dagli studi di settore.

4.1. Anche tale motivo si appalesa infondato, non confrontandosi con la ratio decidendi della sentenza impugnata.

4.2. Invero, in tema di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore, la relativa procedura costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standards in sè considerati, ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente con il contribuente, il quale, in tale sede, ha la facoltà di contestare l’applicazione dei parametri, provando, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli standards o la sussistenza di circostanze concrete che giustificano lo scostamento della propria posizione reddituale, con ciò costringendo l’Ufficio – ove non ritenga attendibili le allegazioni di parte – ad integrare la motivazione dell’atto impositivo indicando le ragioni del suo convincimento (cfr. Cass. 20 settembre 2017, n. 21754; Cass. 7 giugno 2017, n. 14091). L’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice liberamente valutare tanto l’applicabilità degli standards al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato dalle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa. In tal caso, però, egli assume le conseguenze di questo suo comportamento, in quanto ogni qual volta il contraddittorio sia stato regolarmente attivato ed il contribuente ometta di parteciparvi ovvero si astenga da qualsivoglia attività di allegazione, l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli standards (Cass. Sez. U., 18.12.2009, n. 26635) e non è tenuto ad offrire alcuna ulteriore dimostrazione della pretesa esercitata in ragione del semplice disallineamento del reddito dichiarato rispetto ai menzionati parametri (Cass. n. 17646 del 2014; n. 10047 del 2016).

4.3. E’ pur vero che la motivazione dell’avviso di accertamento non può esaurirsi nel mero rilievo dello scostamento, essendo preciso onere dell’Ente impositore motivare adeguatamente sulla concreta applicabilità dello studio di settore prescelto, a partire dal cluster di riferimento, e sulle ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente (Cass. 12 aprile 2017, n. 9484); ma quel che assume centrale importanza nell’accertamento mediante l’applicazione dei parametri o studi di settore è proprio il contraddittorio con il contribuente dal quale possono emergere elementi idonei a commisurare alla concreta realtà economica dell’impresa la “presunzione” indotta dal rilevato scostamento del reddito dichiarato dai parametri e, di conseguenza, la giustificabilità di un onere della prova contraria a carico del contribuente (Cass. Sez. U., 18 dicembre 2009, n. 26635).

4.4. Nel caso in esame, emerge dalla sentenza, nella parte relativa allo svolgimento del processo, che l’Ufficio già nel giudizio di primo grado aveva posto in evidenza che in sede di contraddittorio il contribuente non aveva fornito alcuna argomentazione idonea a confutare quanto accertato ed a giustificare la gestione antieconomica posta in essere nell’anno d’imposta in contestazione.

4.5. Il ricorrente, d’altro canto, non ha riportato in ricorso e neppure allegato, in omaggio al principio di autosufficienza, eventuali giustificazioni evidenziate in sede di contraddittorio, e non valutate dall’Ufficio, volte a dimostrare la sussistenza di circostanze idonee in astratto a contrastare la presunzione di maggiore reddito, sicchè deve ritenersi che l’Agenzia fiscale abbia esattamente applicato le modalità procedurali indicate da questa Corte e che la Commissione regionale – la quale, peraltro, si limita a rilevare la assenza di giustificazioni da parte del contribuente nel corso del procedimento amministrativo – non ha errato nell’applicazione delle norme invocate dal ricorrente, essendosi uniformata ai principi sopra richiamati.

5. In conclusione, il ricorso va rigettato. Nulla sulle spese in assenza di attività difensiva dell’Amministrazione finanziaria. Sussistono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla sulle spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 23 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2020

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