Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2452 del 03/02/2021

Cassazione civile sez. I, 03/02/2021, (ud. 11/12/2020, dep. 03/02/2021), n.2452

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. ARIOLLI Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 02885-2019 proposto da:

K.B., ((OMISSIS)), elettivamente domiciliato presso lo

studio dell’Avv. Stefania Mariani, del foro di Ascoli Piceno che lo

rappresenta e difende pec: stefania.mariani.pec.it);

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro-tempore;

– intimato –

avverso il decreto n. 14587/2018 del Tribunale di Ancona;

udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica

dell’11/12/2020 dal consigliere relatore Dott. Giovanni Ariolli;

udito il P.M. nella persona del Sostituto Procuratore Generale

Dott.ssa Sanlorenzo Rita, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. K.B., cittadino della (OMISSIS), ricorre per cassazione avverso il decreto n. 14587/2018 del Tribunale di Ancona con cui è stato respinto il ricorso avverso il provvedimento con cui la locale commissione territoriale aveva rigettato la sua domanda di protezione internazionale ed umanitaria.

2. Svolgendo tre motivi chiede l’annullamento del decreto impugnato.

2.1. Con il primo il ricorrente deduce “la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione agli artt. 4 della direttiva 2011/95/UE, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 nonchè art. 10 direttiva 2013/32/UE, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e 27”. 5.1. Con il primo motivo si denuncia la violazione del dovere di cooperazione istruttoria da parte del Tribunale, con particolare riguardo alla necessità di acquisire informazioni aggiornate ed attendibili sulla situazione del Paese di origine, al fine di metterle in relazione alle dichiarazioni rese dal richiedente la protezione internazionale (il quale ha riferito di essere esposto al timore di subire ritorsioni dal marito della donna rimasta vittima del sinistro stradale che lo aveva visto coinvolto, quale conducente di autobus). Si contesta, inoltre, il giudizio espresso dal Tribunale in ordine alla valutazione di rilevanza dei report ritenuti utili ai fini della decisione, i quali avrebbero dovuto essere sottoposti al contraddittorio delle parti.

2.2. Con il secondo motivo lamenta “la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 5, 7 e 14 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27”. Il motivo attiene al diniego del riconoscimento della protezione sussidiaria in relazione al profilo di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c); in particolare il ricorrente lamenta la mancata attivazione del potere di cooperazione istruttoria da parte del giudice, con riguardo alla possibilità delle autorità ivoriane di assicurare adeguata protezione al richiedente.

2.3. Con il terzo motivo deduce “la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: violazione o falsa applicazione degli artt. 4 della Direttiva 2011/95/UE, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 nonchè art. 10 Direttiva 2013/32/UE, D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27 in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1, art. 2 Cost.”.

3. Non si è costituito il Ministero dell’Interno.

4. Con ordinanza interlocutoria n. 8809 adottata da questa Sezione all’udienza camerale del 12/2/2020, il ricorso veniva rimesso all’odierna pubblica udienza in relazione alla questione relativa alla possibilità di sottoscrizione dell’attestazione di conformità della copia analogica del decreto impugnato all’originale contenuto nel fascicolo telematico del giudizio di merito da parte del procuratore cui era stato conferito mandato per quel solo giudizio, in data successiva al conferimento ad altro professionista della procura speciale allegata al ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Prima di esaminare i motivi di ricorso, va affrontata preliminarmente la questione, di carattere pregiudiziale, relativa alla validità dell’attestazione di conformità apposta dal legale del merito sulla copia digitale del provvedimento impugnato dopo che il ricorrente aveva rilasciato mandato e procura speciale per il giudizio di cassazione ad altro difensore. Si tratta, infatti, di una questione che assume particolare rilievo in quanto attiene ad uno dei requisiti di procedibilità dell’impugnazione – il cui vizio è rilevabile ex officio – e che ha formato oggetto anche di altra ordinanza interlocutoria (la n. 7680/2020) resa nell’ambito di differente procedimento (Rg. n. 35920/2018) rimessa per la decisione all’odierna udienza pubblica.

Ciò premesso, ritiene il Collegio che, ai fini della presentazione del ricorso per cassazione, sia validamente attestata – peraltro in assenza di contestazione alcuna – anche dal difensore del ricorrente nella fase di merito la conformità della copia analogica del decreto impugnato redatto in forma digitale, nonostante sia stato già nominato altro legale per il procedimento davanti la Corte di cassazione. Invero, il conferimento della successiva nomina non determina una consequenziale perdita del potere certificativo in capo al precedente difensore, trattandosi “dell’autentica” di un provvedimento emesso all’esito della fase del giudizio di merito nel corso del quale il legale ha esercitato il munus difensivo e in forza del quale ha ricevuto – quale destinatario – formale comunicazione dell’atto da parte della cancelleria. Sarebbe, infatti, irragionevole che tale soggetto sia, per un verso, abilitato a ricevere la comunicazione telematica della copia digitale del provvedimento conclusivo di tale fase processuale, restandone “depositarlo” in quanto pertinente al fascicolo informatico del giudizio di merito e, per altro, privarlo del potere di attestarne la conformità rispetto ad un atto “originale” che è entrato in suo legittimo possesso, al quale ha potuto accedere in forza della persistenza di valide credenziali e destinato ad essere prodotto nell’ambito di una fase che ne costituisce un fisiologico epilogo. Ciò non toglie, però, che tale potere di autentica possa essere alternativamente esercitato anche dal difensore nominato per il giudizio di cassazione laddove, successivamente al deposito in cancelleria della procura, abbia avanzato un’istanza di visibilità del fascicolo di merito al quale sia stato autorizzato ad accedere. Una soluzione volta a riconoscere la coesistenza del potere in capo ai difensori rispettivamente nominati per il giudizio di merito e per quello di cassazione, assicura maggiore celerità negli adempimenti difensivi volti all’iscrizione del ricorso in cassazione, nell’ambito di un procedimento, quale quello in materia di immigrazione, caratterizzato da evidenti peculiarità.

Va, pertanto, affermato sul punto il seguente principio di diritto: in tema di ricorso per cassazione, ai fini dell’osservanza di quanto imposto, a pena di improcedibilità, dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, nel caso in cui la sentenza impugnata sia stata redatta in formato digitale e notificata tramite PEC, l’attestazione di conformità della copia analogica predisposta per la Corte di cassazione può essere effettuata, ai sensi della L. n. 53 del 1994, art. 9, commi 1 bis e 1 ter, anche dal difensore che ha assistito la parte nel precedente grado di giudizio, i cui poteri processuali e di rappresentanza permangono anche quando il cliente ha conferito il mandato alle liti per il giudizio di legittimità ad un altro difensore.

2. Ciò premesso, il primo motivo di ricorso è inammissibile poichè non coglie la ratio decidendi con la quale il tribunale ha inteso escludere la potenzialità lesiva dei fatti narrati ai fini della protezione internazionale richiesta. Seppur non possa escludersi che il danno grave alla persona possa provenire anche da soggetti privati, il giudice del merito ha escluso, con motivazione non affatto apparente, che una situazione di possibile minaccia avente carattere inter-privato, in quanto dovuta ad un evento di carattere accidentale, possa assurgere, in mancanza di elementi dimostrativi di non poter ricorrere nel caso concreto alla tutela statuale, a requisito legale per il riconoscimento della protezione internazionale, poichè altrimenti ogni soggetto che è parte di un procedimento penale (che non risulta neppure avviato) si troverebbe di per sè nella condizione di poter accedere a tale forma speciale di protezione, con la conseguenza di far sostanzialmente coincidere il numero delle persone ammissibili con quelle coinvolte nell’area di operatività della giurisdizione penale in detti Paesi (in termini, Sez. 1, ord. n. 1064 del 19/12/2019, dep. 2020). Questa Corte ha, infatti, al riguardo precisato, che le liti tra privati per ragioni proprietarie o familiari non possono essere addotte come causa di persecuzione o danno grave, nell’accezione offerta dal D.Lgs. n. 251 del 2007, trattandosi di “vicende private” estranee al sistema della protezione internazionale, non rientrando nè nelle forme dello “status” di rifugiato, (art. 2, lett. e), nè nei casi di protezione sussidiaria, (art. 2, lett. g), atteso che i c.d. soggetti non statuali possono considerarsi responsabili della persecuzione o del danno grave ove lo Stato, i partiti o le organizzazioni che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio, comprese le organizzazioni internazionali, non possano o non vogliano fornire protezione contro persecuzioni o danni gravi, ma con riferimento ad atti persecutori o danno grave non imputabili ai medesimi soggetti non statuali ma da ricondurre allo Stato o alle organizzazioni collettive di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, lett. b) (in termini, Cass., ord. n. 9043/2019).

Nel caso in esame, e trattasi di profilo che rileva anche ai fini della manifesta infondatezza del secondo motivo di ricorso spiegato in tema di protezione sussidiaria, il giudice del merito ha sufficientemente dato atto, facendo riferimento anche a quanto riferito dallo stesso ricorrente, dell’esistenza in concreto della tutela statale (si precisa, infatti, nel decreto impugnato, che vi fu da parte della stessa Polizia ampia disponibilità a raccogliere i timori del richiedente), a fronte, peraltro, di un timore di subire ritorsioni avente carattere del tutto ipotetico. Inoltre, si è al contempo evidenziato come il suggerimento fornito dalla polizia al ricorrente di sospendere per un certo periodo l’attività lavorativa non fosse espressione di un intento di carattere abdicativo della tutela statale, bensì assumesse la natura di mero suggerimento di carattere cautelativo, tanto che la stessa polizia precisava come all’esito egli avrebbe potuto riprendere il lavoro di conducente di autobus (così implicitamente escludendo anche ipotesi di diretta responsabilità nel sinistro).

Quanto, poi, all’omessa sottoposizione dei report al contraddittorio delle parti, va ribadito che, in tema di protezione internazionale, l’omessa sottoposizione al contraddittorio delle COI (“country of origin information”) assunte d’ufficio dal giudice ad integrazione del racconto del richiedente, non lede il diritto di difesa di quest’ultimo, poichè in tal caso l’attività di cooperazione istruttoria è integrativa dell’inerzia della parte e non ne diminuisce le garanzie processuali, a condizione che il tribunale renda palese nella motivazione a quali informazioni abbia fatto riferimento, al fine di consentirne l’eventuale critica in sede di impugnazione; sussiste, invece, una violazione del diritto di difesa del richiedente quando costui abbia esplicitamente indicato le COI, ma il giudice ne utilizzi altre, di fonte diversa o più aggiornate, che depongano in senso opposto a quelle offerte dal ricorrente, senza prima sottoporle al contraddittorio. (Sez. 1, Ordinanza n. 29056 del 11/11/2019, Rv. 655634). Nel caso in esame, il richiedente si è limitato a contestare genericamente la valenza dei report utilizzati dal tribunale, omettendo di fare riferimento ad altre fonti documentali di carattere alternativo, a fronte, invece, di una motivazione del provvedimento impugnato che fa espresso riferimento al particolare rilievo ed affidabilità delle informazioni acquisite anche in ragione della loro attualità al momento della decisione presa.

3. Anche il secondo motivo è inammissibile. Il tribunale, infatti, con motivazione congrua e scevra da vizi logici, ha escluso che il ricorrente possa subire un danno grave alla persona in caso di rientro nel proprio Paese di origine, tanto in ragione della particolare natura della vicenda narrata (costui ha riferito solo di un evento e comunque di episodi privi di idoneità lesiva specifica), quanto della presenza di una tutela effettiva ad opera delle forze dell’ordine, accertata anche per come riferito dallo stesso richiedente (vedi sul punto anche quanto osservato sub paragrafo 2). Il decreto impugnato ha dato, quindi, congruamente atto delle rationes in forza delle quali la verifica officiosa chiesta dal ricorrente si riveli del tutto superflua nel caso di specie. La doglianza, pertanto, pur formulata sotto il profilo della violazione e/o falsa applicazione di norme di legge, finisce per risolversi in una censura alla persuasività del ragionamento del giudice di merito nella valutazione delle istanze istruttorie e, dunque, si traduce in un vizio di motivazione non consentito in questa sede trovando applicazione il novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

4. Il terzo motivo è inammissibile per due profili. Anzitutto, poichè generico, in quanto il ricorrente omette di precisare in cosa si sarebbe tradotta l’integrazione sociale che il tribunale avrebbe omesso di valutare. Inoltre, perchè la censura muove da un errato presupposto di fatto, ossia che il tribunale abbia totalmente omesso di valutare la possibilità di integrazione sociale del richiedente nel tessuto sociale italiano. Invero, dalla lettura del provvedimento impugnato, risulta come tale apprezzamento sia stato compiuto dal giudice del merito, essendosi precisato come “in Italia il richiedente non ha dato prova di avere seriamente intrapreso un percorso di integrazione sociale e lavorativa” (vedi pag. 8).

5. In conclusione va, pertanto, dichiarata l’inammissibilità del ricorso. Nulla per le spese non avendo l’Amministrazione intimata svolto attività difensiva.

6. Per quanto dovuto a titolo di doppio contributo, si ritiene di aderire all’orientamento espresso da questa Corte con la sentenza n. 9660/2019.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 11 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 3 febbraio 2021

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