Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2452 del 03/02/2010

Cassazione civile sez. lav., 03/02/2010, (ud. 22/12/2009, dep. 03/02/2010), n.2452

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE LUCA Michele – Presidente –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. MORCAVALLO Ulpiano – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

N.P., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA ANTONIO

MANCINI 4/B, presso lo studio dell’avvocato FASANO GIOVANNANTONIO,

che lo rappresenta e difende, giusta mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO S.P.A.;

– intimati –

e sul ricorso n. 10189/2007 proposto da:

ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO S.P.A., in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA,

PIAZZA G. VERDI 10, presso lo studio dell’avvocato CHIARA TURCO, (c/o

l’Ufficio della Funzione Affari Legali e Societari), che lo

rappresenta e difende giusta delega a margine del controricorso e

ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

N.P., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA ANTONIO

MANCINI 4B, presso lo studio dell’avvocato FASANO GIOVANNANTONIO, che

lo rappresenta e difende, giusta mandato a margine del ricorso;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 5422/2006 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 14/12/2006 r.g.n. 8197/03;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del

22/12/2009 dal Consigliere Dott. IANNIELLO Antonio;

udito l’Avvocato FASANO RAFFAELA per delega FASANO GIOVANNANTONIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino, che ha concluso per il rigetto di entrambi i

ricorsi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza depositata il 14 dicembre 2006, la Corte di appello di Roma, in parziale riforma della sentenza in data 22 ottobre 2002 del Tribunale della medesima citta’, su appello principale di N. P. e incidentale dell’Istituto poligrafico e Zecca dello Stato s.p.a., ha condannato quest’ultimo a pagare al proprio ex dipendente N. la somma di Euro 4.935,29 a titolo di ricalcolo del t.f.r.

per tener conto dei compensi erogati fino all’ottobre 1992 per il lavoro straordinario prestato in maniera continuativa.

Avverso tale sentenza propone ora ricorso per Cassazione N. P., affidandolo a quattro motivi.

Resiste alle domande la s.p.a. Istituto poligrafico e Zecca dello Stato, con controricorso, proponendo altresi’ contestualmente ricorso incidentale con due motivi.

Resiste al ricorso incidentale il N. con controricorso.

Ambedue le parti hanno depositato memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 – I due ricorsi, principale e incidentale, vanno riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c., in quanto riferiti ad una unica sentenza.

2 – Col primo motivo di ricorso, N.P. denuncia la violazione o falsa applicazione della L. n. 297 del 1982 e il vizio di motivazione in ordine alla posizione del termine finale dell’ottobre 1992 quanto al riconoscimento del diritto al computo del compenso per lavoro straordinario sul t.f.r..

In proposito il ricorrente sostiene che anche la L. n. 297 del 1982 adotta una nozione omnicomprensiva di retribuzione ed e’, anzi si tratterebbe di una nozione piu’ rigorosa del precedente testo dell’artt. 2121 c.c. includendo nel calcolo del t.f.r. la retribuzione di ogni prestazione non occasionale, per cui la deroga a tale regola da parte dei contratti collettivi, pur consentita dalla legge, dovrebbe essere formulata in modo chiaro e inequivoco.

Una tale deroga, contrariamente a quanto ritenuto dai giudici di merito non sarebbe individuabile nel combinato disposto degli artt. 34 – prima parte e 21 – prima parte del C.C.N.L. del 1992.

L’art. 21 di tale contratto fornirebbe infatti una nozione di retribuzione percepita diversa dal passato, ancorandola alla prestazione lavorativa “nell’orario normale”.

Ma cio’ non inciderebbe sulla disciplina del t.f.r., che sarebbe rimasta, anche nel contratto collettivo del 1992, identica a quella stabilita nei precedenti contratti collettivi e sarebbe stata formulata in termini identici a quelli usati dalla legge (in particolare, con l’uso del termine retribuzione dovuta anziche’ di retribuzione percepita – evidentemente unico oggetto della modifica di cui all’art. 21 – e richiamando infine la disciplina di cui alla L. n. 297 del 1982), per cui da essa non sarebbe desumibile in maniera chiara e univoca la volonta’ di innovare quanto a tale trattamento.

Del resto, i giudici di secondo grado avrebbero ignorato le dichiarazioni del teste sindacalista Brusoni, che avrebbe dichiarato che non era intenzione del sindacato innovare quanto alla disciplina del t.f.r..

Inoltre il ricorrente analizza la sentenza di questa Corte n. 5004/04 (della quale i giudici di appello avrebbero fatto applicazione), per contestare la correttezza della interpretazione resa dalla sentenza ivi impugnata delle norme indicate del C.C.N.L. grafici del 1992.

Il motivo conclude con la formulazione dei seguenti quesiti ex art. 366 bis c.p.c..

a) “voglia la Corte riconoscere e dichiarare che il disposto della L. n. 297 del 1982 e’ indipendente e autonomo rispetto ad ogni definizione del compenso percepito, in quanto la legge medesima basa la sua disposizione sul compenso dovuto (quindi oltre il percepito) e perche’ il conteggio di cui alla L. n. 297 del 1982 deve essere effettuato ad anno e non a mese come la retribuzione che l’art. 34 C.C.N.L. 1992 e i contratti precedenti sono autonomi rispetto all’art. 21 del contratto medesimo e che in via principale ed assoluta il conteggio va effettuato in attuazione della L. n. 297 del 1982″;

b) il fatto controverso ex art. 360 c.p.c., n. 5 riguarda il rapporto che la Corte d’appello di Roma ha ritenuto esistente tra la definizione di retribuzione mensile (art. 21 CCNL 1992 e la L. n. 297 del 1982, art. 1 il quale fa espresso riferimento a quanto dovuto annualmente”.

3 – Col secondo motivo di ricorso, il N. denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 416 e 436 c.p.c., in quanto la richiesta di riduzione del t.f.r. censurata nel motivo precedente sarebbe stata formulata dall’Istituto per la prima volta in appello e come tale avrebbe dovuto essere dichiarata inammissibile.

Quesito: “voglia la Corte rilevare e dichiarare che tra le conclusioni rassegnate dall’IPZS nella comparsa di costituzione del giudizio di primo grado non figura la limitazione del calcolo dell’incidenza del compenso per lavoro straordinario sul TFR all’ottobre 1992. Pertanto la domanda al riguardo formulata nel ricorso in appello e’ inammissibile”.

4 – Col terzo motivo del ricorso principale viene denunciato il vizio di motivazione della sentenza, laddove la Corte avrebbe ritenuto apoditticamente corretti i conteggi prodotti dall’IPZS senza alcuna effettiva verifica sugli stessi.

Quesito: Voglia la Corte dichiarare nulla e cassare la sentenza…

nella parte in cui ha liquidato a favore del N. l’errata somma a titolo di calcolo dell’indennita’ di liquidazione al 31 maggio 1982 e conseguentemente del t.f.r. per il periodo successivo. Di conseguenza voglia stabilire il principio cui la Corte di rinvio deve adeguarsi”.

5 – Col quarto motivo viene infine dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 91, 92, 93 c.p.c. per cio’ che riguarda l’avvenuta compensazione delle spese del grado di appello, a seguito della limitazione all’ottobre 1992 del diritto all’integrazione del t.f.r.. Con l’accoglimento della censura relativa a tale limitazione, le spese andranno pertanto integralmente rifuse al N..

6 – Col primo motivo del ricorso incidentale, l’Istituto poligrafico dello Stato deduce il vizio di motivazione e la violazione della L. n. 297 del 1982, degli artt. 2120, 2934 e 2935 c.c. in relazione al rigetto dell’eccezione di prescrizione del diritto azionato.

In proposito, la societa’ sostiene infatti che la Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere sic et simpliciter che la prescrizione del diritto al t.f.r. inizi a decorrere dalla cessazione del rapporto di lavoro, attribuendo pertanto a tale evento natura costitutiva del diritto.

Viceversa, a seguito della trasformazione dell’indennita’ di buonuscita in t.f.r., operata dalla L. n. 297 del 1982, occorrerebbe distinguere tra la fase di esigibilita’ (parzialmente del resto ormai stabilita anche in corso di rapporto, quanto alle anticipazioni) e quella di maturazione e concretizzazione quantitativa del diritto, cadente anno per anno, tanto e’ vero che la giurisprudenza di questa Corte riconosce la possibilita’ di una azione giudiziale di accertamento del livello dell’accantonamento annuale (cfr. Cass. 6046/00 e altre, tra cui S.U. n. 11945/90), diritto di azione che pertanto non potrebbe che essere esso stesso soggetto a prescrizione con decorrenza dalla possibilita’ di esercitarlo.

L’Istituto deduce altresi’ che in realta’ la domanda del lavoratore non atterrebbe alla rivendicazione del diritto al t.f.r., che sarebbe incontestato e per il cui pagamento la prescrizione decorre dal termine del rapporto, ma unicamente alla computabilita’ di determinati compensi negli accantonamenti annuali del tfr. Il relativo giudizio riguardando pertanto il singolo accantonamento annuale, anche la prescrizione relativa avrebbe una decorrenza collegata ad ognuno di tali anni.

Il motivo conclude con la formulazione, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., del seguente quesito di diritto:

“Accerti la Corte se, in costanza di rapporto di lavoro si prescriva, nel sistema normativo introdotto dalla L. n. 297 del 1982, non il diritto all’esigibilita’ del t.f.r. ma il diritto al computo nella base di calcolo del t.f.r. delle voci di calcolo che maturano anno per anno e che concorrono a comporre ogni rateo annuale”.

La societa’ sostiene inoltre che la Corte avrebbe comunque dovuto confermare la sentenza di primo grado che aveva accertato la prescrizione del diritto azionato all’anticipazione del t.f.r.

percepita in costanza di rapporto ed ha percio’ denunciato il vizio di motivazione in proposito.

Da cui: “Dica la Corte se il lavoratore, avendo percepito in data certa il 70% del t.f.r. maturato, possa esattamente quantificare il 100% maturato alla medesima data e pertanto possa – a fronte della detta liquidita’ del credito — esattamente opporre ogni contestazione al criterio di calcolo adoperato per la quantificazione del t.f.r.

maturato e se dunque, correlativamente, operi la prescrizione quinquennale dei relativi crediti”.

7 — Col secondo motivo, la societa’ ricorrente incidentale denuncia l’errata interpretazione dell’accordo aziendale del 1974 relativo ai dipendenti dell’Istituto, con la conseguente illegittima reiezione della domanda riconvenzionale – eccezione di compensazione da esso svolta, anche in violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c. e in violazione dell’art. 2120 c.c. come modificato dalla L. n. 297 del 1982.

La Corte territoriale avrebbe in proposito erroneamente ritenuto che l’oggetto di tale accordo fosse lo scambio tra aumento della produttivita’ e un miglioramento retributivo consistente nell’erogazione di un compenso aggiuntivo. Per cui avrebbe altrettanto erroneamente interpretato la clausola, secondo la quale tale assegno “e’ assorbibile in caso di vertenze comunque proposte dal personale dipendente che possano ricollegarvisi, come riferibile esclusivamente ad eventuali liti sui compensi della produttivita’ e non sulla effettuazione di lavoro straordinario.

Una tale interpretazione, secondo la ricorrente incidentale, avrebbe omesso di considerare nella sua interezza il testo dell’accordo aziendale del 1974, il quale avrebbe chiaramente distinto la disciplina e le finalita’ di due incrementi retributivi, assegnando a quello in parola (lett. a) la funzione di evitare in futuro un contenzioso in allora massiccio relativo alla inclusione del compenso dello straordinario nel calcolo del t.f.r., oltre ad altri obiettivi come l’abolizione dei tempi morti e l’aumento di produttivita’;

mentre questi ultimi avrebbero avuto una contropartita economica esclusivamente in un altro incremento retributivo (quello di cui alla lett. b).

Tutto cio’ si desumerebbe dal contesto, oltre che dal tenore letterale dell’accordo e dalla disciplina differenziata dei due istituti, il primo non collegato con la produzione aziendale e non corrisposto ai graduati (che appunto non percepirebbero compenso per il lavoro straordinario, ma unicamente una maggiorazione percentuale della retribuzione normale), mentre il secondo sarebbe legato all’effettiva presenza e al raggiungimento di risultati ed obiettivi programmati.

L’interpretazione sostenuta dall’Istituto sarebbe altresi’ confermata dal fatto che l’accordo del 1974 era stato rinegoziato, con la sostanziale conferma del relativo contenuto, dopo la riforma della L. n. 297 del 1982, legge che la sentenza violerebbe, laddove mostrerebbe di ignorare il margine da questa attribuito alla libera pattuizione delle parti.

L’Istituto conclude rilevando che per il compenso a) la lavoratrice avrebbe ricevuto nel corso degli anni somme ben maggiori di quelle oggi rivendicate, nel cui importo andrebbero pertanto assorbite quest’ultime (salva l’integrale restituzione delle prime ove l’accordo dovesse essere ritenuto nullo).

Segue la formulazione del seguente quesito di diritto: “Accerti la Corte se, in applicazione dell’accordo aziendale del 1974, le somme eventualmente dovute al sig. N. a titolo di ricalcalo di IDA e TFR in considerazione del lavoro straordinario prestato debbano in ogni caso essere considerate assorbite e/o compensate sino a concorrenza di quanto percepito dagli stessi per il c.d. Punto A”.

8 – Va esaminato per primo il primo motivo del ricorso incidentale relativo alla pretesa prescrizione annuale del diritto all’accertamento dell’ammontare dei singoli accantonamenti annuali del t.f.r..

Il motivo non merita accoglimento.

Gia’ in una precedente occasione, in relazione ad analoga deduzione proposta dall’Istituto, questa Corte (Cass. 10 ottobre 2007 n. 21239) ha intatti avuto modo di rilevare che “non e’ in contestazione la distinzione tra il diritto al pagamento del trattamento di fine rapporto, che matura alla cessazione del rapporto di lavoro, e il diritto all’accertamento della misura degli accantonamenti utili sulla base a determinati criteri di computo. In relazione a questo diverso oggetto, bisogna ancora distinguere l’azione diretta al mero accertamento dell’entita’ della quota periodicamente da accantonare, da quella in cui l’esistenza del diritto viene invocata non in se’ e per se’, ma strumentalmente al concreto conseguimento del particolare bene della vita che costituisce il contenuto del diritto medesimo.

Per questa seconda fattispecie, la prescrizione dell’azione diretta alla concreta attuazione di tale diritto (che puo’ anche escludere l’interesse all’azione di mero accertamento) non e’ configurabile finche’ perdura la situazione di incertezza, che legittima il lavoratore a richiedere l’accertamento giudiziale del suo diritto, e che non e’ esclusa dalle comunicazioni datoriali relative alla misura degli accantonamenti utili (Cass. 20 ottobre 2004 n. 20516, 11 marzo 2005 n. 5362, 17 maggio 2006 n. 11536 e successive conformi)”.

Dichiarando di condividere tale valutazione (su cui, cfr., altresi’, con orientamento ormai consolidato, ad es., Cass. nn. 6044/08, 2781/08, 2723/08, 2614/08, 1672/08, 1207/08), la quale appare riferibile anche all’ipotesi in cui in corso di rapporto sia stata chiesta e ottenuta una anticipazione del t.f.r., senza che vi sia stata controversia sul relativo ammontare, questo collegio non rinviene nelle difese dell’Istituto elementi sufficienti a rimettere in discussione la soluzione indicata.

Ne consegue la valutazione di correttezza dell’accertamento della Corte territoriale, la quale, affermando che la prescrizione del diritto al trattamento di fine rapporto inizia comunque a decorrere alla cessazione del rapporto di, lavoro, ha respinto l’eccezione di prescrizione proposta dall’Istituto sul rilievo che l’azione giudiziaria del N. era stata proposta e notificata all’interno del quinquennio successivo alla cessazione del relativo rapporto di lavoro.

Al quesito di diritto va pertanto risposto che “il diritto al trattamento del t.f.r. si prescrive a decorrere dalla data di cessazione del rapporto di lavoro, senza che sulla prescrizione incida in alcun modo la mancata proposizione in corso di rapporto di azioni di accertamento del livello dei singoli accantonamenti annuali o la percezione sempre in corso di rapporto di un anticipo, senza che sull’ammontare dello stesso sia sorta controversia tra le parti del rapporto di lavoro”.

Va quindi esaminato il secondo motivo del ricorso principale che appare preliminare rispetto al primo.

Il motivo (che non comporta la necessaria formulazione di un quesito di diritto, risolvendosi nella semplice denuncia di violazione della legge processuale per errore di fatto: su cui cfr. Cass., sez. 2A, sent. 20 giugno 2008), il cui esame sarebbe preliminare a quello precedente, e’ comunque manifestamente infondato, risultando dagli atti, come dedotto e riprodotto dalla controricorrente, che, nelle argomentazioni svolte dall’Istituto nella memoria di costituzione del giudizio di primo grado a sostegno delle conclusioni di rigetto delle domande di controparte, era stato illustrato anche il contenuto dell’art. 21 del C.C.N.L. del 1992, con la nuova definizione di retribuzione rapportata all’orario normale.

Il che appare sufficientemente indicativo del fatto che si chiedeva il rigetto delle domande quantomeno in forza del C.C.N.L. del 1992 e quindi a partire dal momento della sua efficacia.

Il primo motivo del ricorso principale propone una interpretazione di norme del contratto collettivo nazionale di lavoro diversa da quella operata dai giudici di merito e riconducibile al richiamo ivi oprato alla definizione di retribuzione di cui alla L. n. 297 del 1982.

Di esso devesi preliminarmente rilevare d’ufficio l’improcedibilita’, a norma dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), secondo cui, col ricorso per Cassazione, devono essere depositati, a pena di improcedibilita’, “gli atti processuali i documenti i contratti e accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda”.

La disposizione ricomprende anche i contratti e accordi collettivi di lavoro, a seguito della modifica ad essa apportata dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 7 con effetto, a norma dell’art. 27, comma 2 del medesimo decreto legislativo, da riferirsi ai ricorsi per Cassazione avverso le sentenze depositate successivamente alla data del 1 marzo 2006; essa riguarda il contratto nel suo testo integrale ed e’ infine da porsi in collegamento con la modifica operata altresi’ quanto all’art. 360 c.p.c., n. 3, con l’introduzione della possibilita’ di un controllo di legittimita’ in ordine al vizio di violazione o falsa applicazione dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro (per cui deve ritenersi riferita esclusivamente a tali accordi e contratti collettivi).

Nel caso in esame il ricorrente si e’ limitato a riprodurre nel corpo del ricorso e a sostegno del motivo in esame unicamente alcuni stralci del C.C.N.L. invocato, allegando unicamente gli altri atti di cui all’art. 369 c.p.c., ivi compresi i fascicoli di parte del giudizio di merito.

Senonche’ questa Corte ha gia’ avuto modo di precisare che, a norma della disposizione citata del codice di procedura civile, non appare sufficiente ad adempiere all’onere di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 l’allegazione dell’intero fascicolo di parte del giudizio di merito (Cass. S.U. ord. 14 ottobre 2009 n. 21747).

Inoltre e comunque va rilevato che (come recentemente ribadito da questa Corte nelle sentenze gemelle rese all’udienza del 1 dicembre 2009 in cause nn. 18208/08, 18812/08, 20342/08 e 20344/08), anche la parziale allegazione del C.C.N.L. invocato (a voler ritenere equivalente ad essa la riproduzione nel corpo del ricorso) non sarebbe sufficiente ad assicurare l’adempimento dell’onere indicato.

E’ stato infatti al riguardo ripetutamente affermato (cfr., ad es.

Cass. nn. 5050/08 e 19560/07), in sede di procedimento ex art. 420 bis c.p.c. (contenente la disciplina del procedimento relativo all’accertamento pregiudiziale sull’efficacia, validita’ e interpretazione dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro, che prevede l’immediata decisione da parte del giudice, con una sentenza impugnabile in Cassazione), che questa Corte, nell’interpretazione del contratto invocato, ha il potere di ricercare all’interno dell’intero contratto collettivo le clausole ritenute utili ai tale fine, senza essere in tale funzione condizionata dalle prospettazioni di parte.

Una tale regola e’ sicuramente applicabile anche in sede di controllo di legittimita’ del contratto collettivo nazionale di lavoro a seguito di ricorso per Cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 3, in quanto la produzione parziale di un documento sarebbe incompatibile con i principi fondamentali dell’ordinamento (che non consentono a chi invoca in giudizio un contratto di produrne solo una parte) nonche’ con i criteri ispiratori dell’intervento legislativo citato, volto a potenziare la funzione nomofilattica della Corte (nei medesimi termini, cfr. Cass. 2 luglio 2009 n. 15495).

La regola appare infine coerente con i canoni di ermeneutica contrattuale di cui la Corte deve fare applicazione, in particolare con la regola relativa alla interpretazione complessiva delle clausole, secondo la quale “Le clausole del contratto si interpretano le une per mezzo delle altre, attribuendo a ciascuna il senso che risulta dal complesso dell’atto” (art. 1363 c.c.) (cfr. anche Cass. n. 21080/08).

Il terzo motivo del ricorso principale e’ inammissibile, in ragione della mancata osservanza della regola della autosufficienza del ricorso per Cassazione (su cui cfr., per tutte, recentemente, Cass. nn. 5043/09, 4823/09 e 338/09), non essendo stati specificati gli errori cui sarebbe incorsa la Corte territoriale nel liquidare le somma di cui alla sentenza: esso sarebbe comunque improcedibile, ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), in ragione del mancato deposito degli atti su cui si fonda.

Infine, l’ultimo motivo del ricorso principale resta assorbito dalla valutazione di inammissibilita’, improcedibilita’ e infondatezza di quelli precedenti, dal cui accoglimento, quantomeno parziale, dipende.

Anche il secondo motivo del ricorso incidentale e’ infine infondato.

Premesso che il quesito non riguarda in realta’ alcuna questione riconducibile al vizio di violazione di leggi, ma attiene semmai alla interpretazione dell’accordo aziendale citato, va infatti ricordato che l’interpretazione del contratto collettivo aziendale citato (cosi’ come di ogni contratto di diritto comune, salvo il contratto collettivo nazionale di lavoro nel caso di ricorso per Cassazione avverso le sentenze pubblicate successivamente al 1 marzo 2006: cfr.

D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 2 e art. 27, comma 2) e’ operazione che si sostanzia in un accertamento di fatto, come tale riservato al giudice di merito e pertanto incensurabile in Cassazione se non per vizi attinenti all’applicazione dei criteri legali di ermeneutica (art. 1362 c.c. e segg.) o ad una motivazione carente o contraddittoria nella relativa argomentazione.

Nel caso in esame, il ricorrente, pur denunciando la violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c. non identifica in realta’ specifiche violazioni dei canoni ermeneutici legali, limitandosi a riprodurre il testo dell’accordo nella parte considerata, affermando genericamente che e’ stato violato, nell’interpretazione di esso, il criterio letterale, quello di contesto nonche’ quello relativo alla considerazione del comportamento successivo delle parti, che avrebbero rinegoziato l’accordo anche dopo la L. n. 297 del 1982.

Quanto al preteso vizio di motivazione, la parte ricorrente incidentale omette di indicare i vizi logici o i difetti di indagine che comprometterebbero l’iter logico seguito dalla Corte territoriale, in realta’ operando la mera contrapposizione di una propria diversa interpretazione del testo contrattuale a quella dei giudici, contrapposizione in cui non puo’ in nessun caso consistere la censura finalizzata al controllo di legittimita’ su di una interpretazione di contratto (cfr., ad es., recentemente Cass. 18 aprile 2008 n. 10203 e 2 novembre 2007 n. 23484).

Con riguardo, poi, alla censura di violazione della L. n. 297 del 1982 “nella parte in cui lascia margine di libera pattuizione”, va comunque ribadito che la pattuizione collettiva in deroga, relativamente alla definizione di retribuzione utile per il calcolo del t.f.r., puo’ essere contenuta unicamente in contratti collettivi successivi alla L. n. 297 del 1982, e non e’ desumibile dal semplice richiamo ad accordi precedenti, genericamente confermati, essendo viceversa necessaria la riformulazione di un esplicita volonta’ nel senso indicato (Cass. n. 21239/07, cit).

In proposito, la parte ricorrente incidentale si limita ad affermare che l’accordo del 1974 sarebbe stato rinegoziato, nel medesimo contenuto, anche successivamente alla legge del 1982, senza specificarne i termini precisi, in violazione della regola della autosufficienza del ricorso per Cassazione.

In ogni caso, la presenza di una rinegoziazione di identico contenuto non appare in grado di contraddire la interpretazione che di tale contenuto ha fornito la Corte territoriale, per le ragioni sopra indicate.

9 – Concludendo, ambedue i ricorsi sono infondati e vanno respinti, con conseguente integrale compensazione tra le parti delle spese di questo giudizio di cassazione.

P.Q.M.

LA CORTE Riunisce i ricorsi e li rigetta, compensando integralmente tra le parti le spese di questo giudizio.

Cosi’ deciso in Rama, il 22 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 3 febbraio 2010

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