Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24515 del 04/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 04/11/2020, (ud. 26/06/2019, dep. 04/11/2020), n.24515

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. GILOTTA Bruno – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 6134/2014, proposto da:

I Maestri s.r.l., corrente in (OMISSIS) presso il Centro Orafo

(OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avv. Giuseppe Ciaramella,

elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv. Pierpaolo

Bagnasco, in via alla Civitavecchia, n. 7 Roma;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio

legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza n. 240/18/13 emessa inter partes il

22.07.2013 dalla Commissione Tributaria Regionale della Campania.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

Con la predetta sentenza la Commissione Tributaria Regionale della Campania, confermando – per quanto qui rileva – quella emessa in primo grado dalla Commissione Tributaria Provinciale di Caserta, validava per la maggior parte l’avviso di accertamento n. (OMISSIS), relativo all’anno 2007, con il quale, sulla base del P.V.C. di constatazione 20-5-2010 della Guardia di Finanza, che a sua volta richiamava una segnalazione della Guardia di Finanza di Vicenza, si contestava alla società “I Maestri” l’acquisto in forma occulta, da potere delle società (OMISSIS) s.r.l. e New Orobase s.r.l., di preziosi per l’importo di oltre quarantaseimila Euro e quindi – in applicazione di una percentuale di ricarico convenuta con il rappresentante della società – ricavi non dichiarati, ai fini i.re.s., i.v.a. e i.r.a.p., di oltre settantottomila Euro.

Contro questa sentenza ricorre per quattro motivi la contribuente.

L’Agenzia delle Entrate resistite con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

Con il primo motivo la ricorrente denuncia “violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53 con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4” in quanto la Commissione Tributaria Regionale ha dichiarato inammissibile, “perchè non idoneo a contrastare le valutazioni espresse sul punto dalla sentenza di primo grado che si sofferma specificamente su di esso, il motivo di appello proposto avverso la sentenza di primo grado nel quale si deduceva che “la contabilità in nero di altra impresa non è indizio grave, preciso e concordante dell’esistenza di redditi d’impresa”. Sostiene la ricorrente che la Commissione Tributaria Regionale, non condividendo le critiche espresse alla sentenza di primo grado, avrebbe dovuto rigettare il motivo, spiegandone le ragioni, e non limitarsi a dichiararlo inammissibile.

Il motivo è infondato.

La Commissione ha sostanzialmente seguito la giurisprudenza maggioritaria (cass., 30525/’18; cass., 32954/’18) secondo la quale nel processo tributario la riproposizione a supporto dell’appello delle ragioni inizialmente poste a fondamento dell’impugnazione del provvedimento impositivo (per il contribuente) ovvero della dedotta legittimità dell’accertamento (per l’Amministrazione finanziaria), in contrapposizione alle argomentazioni adottate dal giudice di primo grado, assolve l’onere di impugnazione specifica imposto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53 quando il dissenso investa la decisione nella sua interezza e, comunque, ove dall’atto di gravame, interpretato nel suo complesso, le ragioni di censura siano ricavabili, seppur per implicito, in termini inequivoci.

Con il secondo motivo la ricorrente denuncia “violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, nonchè del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, n. 4 con riferimento all’art. 360 c.p.c., nn 3 e 4”, sostenendo, in collegamento con quanto dedotto al precedente motivo, che la Commissione Tributaria Regionale, anche a ritenere che avesse inteso richiamare la sentenza di primo grado, avrebbe dovuto spiegare le ragioni perchè abbia optato per quelle dei primi giudici; e spiegare altresì perchè sarebbe stata generica la contestazione delle poste in nero da parte del contribuente e rilevante l’assenza di spiegazioni dei rapporti con le società vicentine.

Il motivo è infondato.

Di là anche dall’erroneo riferimento al parametro normativo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la sentenza impugnata consente appieno il controllo sulle rationes decidendi, che sono state in effetti attinte dalla contribuente con gli specifici ulteriori motivi di censura.

Con il terzo motivo la ricorrente denuncia “omesso esame di un fatto controverso decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, perchè la Commissione Tributaria Regionale non avrebbe preso in considerazione le circostanza addotte dall’appellante in ordine all’inattendibilità in sè dei dati contenuti nelle pen drives, sulla quale aveva operato un “numero svariato di non meglio individuati soggetti”, e sull’inattendibilità della incerta ricostruzione del loro contenuto da parte della Guardia di Finanza; e ritenendo che se la Commissione Tributaria Regionale non fosse incorsa nella denunciata violazione e avesse valutato la questione posta, il gravame sarebbe stato accolto.

Il motivo è infondato.

L’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 conv. in L. n. 134 del 2012, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo delta sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cass., 27415/’18; cass., 14802/’17; cass., sez. un., 8054/’14).

Nel caso di specie, come già osservato in ordine al secondo motivo, la Commissione Tributaria Regionale – richiamando la sentenza di primo grado – ha dato rilievo ai contenuti delle pen drives e alle dichiarazioni dei due rappresentanti delle società vicentine, senza ignorare i singoli rilievi che il contribuente aveva formulato sia nel primo che nel secondo grado di giudizio.

Con il quarto motivo la ricorrente denuncia “violazione degli artt. 2697,2727, e 2729 c.c., del D.P.R. n. 600 del 1972, art. 39, commi 1 e 2, e dell’art. 54 nonchè del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 55 con riferimento all’art. 360, c. 1, n. 5 c.p.c.” avendo la Commissione Tributaria Regionale immotivatamente confermato la tesi dell’Ufficio secondo la quale sarebbero avvenuti acquisti “in nero” che avrebbero dato luogo a ricavi “in nero”. Riporta in proposito ampi stralci del p.v.c. della Guardia di Finanza di Vicenza e dell’atto di accertamento, dove le risultanze del p.v.c. si sono trasfuse. Sottolinea la difficoltà dichiarata dagli stessi ispettori a ricostruire il contenuto delle pen drives e l’errore compiuto per la ricostruzione del fatturato del 2005. Denuncia l’errata applicazione in suo danno di presunzioni e l’impossibilità di dare prova contraria riguardo ad elementi indiziari relativi a soggetti terzi riguardo ai quali non sarebbe stata certa neppure l’effettività dei rapporti fiscalmente rilevanti.

Anche questo motivo è infondato.

Innanzi tutto, infatti, esso tenta di introdurre ancora una volta elementi di valutazione di fatto che esulano dalli e della Corte, negando valore indiziario alla ricostruzione dei rapporti intervenuti fra (OMISSIS) s.r.l. (dichiarata fallita dal Tribunale di Vicenza) e la New Orobase s.r.l. ed essa ricorrente I Maestri s.r.l. Nell’affermare l’impossibilità di fornire poi prova contraria al compendio indiziario scaturito dall’attività d’indagine della Guardia di Finanza a carico della società “terza”, tralascia di considerare che, in base al P.V.C., la chiave di lettura dei rapporti fra (OMISSIS) e la società “I Maestri” s.r.l. di (OMISSIS), documentati nelle pen drives, era stata ricostruita “con l’ausilio dei rappresentanti legali delle predette società”, cosicchè gli elementi indiziari furono dati non tanto dalla documentazione informatica, quanto dai rappresentanti di (OMISSIS) e New Orobase (padre e figlia): sicchè non è neppure possibile mettere in dubbio che gli elementi indiziari raccolti a carico della ricorrente non siano stati gravi e precisi, ancorchè provenienti da indagini su altro contribuente (cass. 14150/2016) e tali da implicare l’illegittima applicazione del regime delle presunzioni.

Le spese seguono la soccombenza.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione, in favore dell’Agenzia delle Entrate, delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 2.300,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso

art. 13 comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 26 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2020

 

 

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