Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24514 del 10/09/2021

Cassazione civile sez. I, 10/09/2021, (ud. 15/07/2021, dep. 10/09/2021), n.24514

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21108/2020 proposto da:

O.I., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’avvocato Gerosa Maurizio, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, Commissione Territoriale per il

Riconoscimento della Protezione Internazionale c/o Prefettura U.T.G.

di Milano;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO, del 21/05/2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

15/07/2021 dal Cons. Dott. CAPRIOLI MAURA.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Considerato che:

O.I. ricorre per cassazione, affidandosi a sei motivi, avverso il decreto del Tribunale di Milano n. 4168/2020 reiettivo della sua domanda di protezione internazionale o di riconoscimento di quella umanitaria.

Il Ministero dell’Interno non si è costituito nei termini di legge, ma ha depositato un “atto di costituzione” al solo fine di prendere eventualmente parte alla udienza di discussione ex art. 370 c.p.c., comma 1.

Per quanto qui ancora di interesse, quel tribunale, tenuto conto del racconto del richiedente, ritenuto inattendibile, e della concreta situazione socio-politica del suo Paese di provenienza (Nigeria, Edo State), ha ritenuto insussistenti i presupposti necessari per il riconoscimento di ciascuna delle forme di protezione invocata.

Con un primo motivo si denuncia l’omessa motivazione su di un punto decisivo della controversia ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione alla mancata concessione dello status di rifugiato per essere incorso il Tribunale di Milano in una insufficiente e contraddittoria motivazione rilevante ai sensi del richiamato articolo.

Si lamenta che il primo giudice non avrebbe affrontato nel dettaglio tutte le circostanze favorevoli o sfavorevoli del ricorrente limitandosi ad una tautologica affermazione di principi non calati nel caso concreto.

Con un secondo motivo si deduce l’insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione alla mancata concessione della protezione sussidiaria e umanitaria.

I motivi sono entrambi inammissibili.

Invero, la decisione impugnata ha evidenziato, in modo analitico (cfr. pag. 7 e 8, da intendersi qui, per brevità, integralmente riportate), le ragioni per cui la ha considerato non credibile la storia raccontata dall’odierno ricorrente (che aveva dichiarato di aver lasciato il suo Paese – Nigeria, Edo State, per il timore di subire una imputazione ad una gamba a causa della sua scelta di abbracciare la religione cristiana invece che seguire quella del padre che apparteneva al culto degli (OMISSIS)).

Le incongruenze evidenziate dal giudice di merito si riferiscono agli elementi essenziali della storia e sono quindi idonee a minare la credibilità del richiedente la protezione.

Questa Corte, ancora recentemente, ha ribadito che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c), (cfr., ex multis, Cass. n. 6191 del 2020, in motivazione; Cass. n. 32064 del 2018; Cass. n. 30105 del 2018). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr. Cass. n. 3340 del 2019). Alcunché, però, si rinviene, su tale specifico punto (e con il rispetto degli oneri sanciti da Cass., SU. n. 8054 del 2014, per il vizio motivazionale predetto) nelle argomentazioni delle censure suddette (in particolare, nel secondo motivo, benché formulato invocandosi proprio l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) che si risolvono, sostanzialmente, in una elencazione di normativa e di principi giurisprudenziali senza, però, il benché minimo confronto di questi ultimi con le specifiche argomentazioni della sentenza del tribunale milanese.

Deve rimarcarsi, peraltro, che, nella specie, la semplice lettura del decreto oggi impugnato, nella parte in cui ha negato l’attendibilità dell’odierno ricorrente, presenta una motivazione ampiamente in linea con il minimo costituzionale sancito dall’appena citato arresto delle Sezioni Unite di questa Corte.

Il medesimo tribunale, poi, ha esaminato la situazione interna dell’Edo State, in Nigeria (cfr. pag. 8-9 del decreto impugnato), richiamando fonti internazionali aggiornate (ivi analiticamente indicate) e dando atto delle informazioni specifiche da esse ricavate, escludendo che la stessa potesse configurarsi in termini di gravità quale descritta dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), (la ritenuta inattendibilità dell’odierno ricorrente, invece, preclude, da sola, la riconoscibilità dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria di cui alle lett. a) e della medesima disposizione. Cfr. Cass. n. 23983 del 2020; Cass. n. 15794 del 2019; Cass. n. 4892 del 2019; Cass. n. 16925 del 2018).

Il tribunale suddetto, inoltre, ha negato il riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari sulla base, sostanzialmente dell’assenza di profili di vulnerabilità dipendenti dal suo allontanamento dall’Italia (insufficiente rivelandosi, sul punto, il solo, eventuale, svolgimento di attività di volontariato in Italia).

Questo secondo aspetto non è stato adeguatamente attinto dalla generica doglianza proposta dal ricorrente in relazione al rigetto della protezione umanitaria, che si risolve in una mera affermazione di principi, avulsa da qualsivoglia loro contestualizzazione con la vicenda personale propria del ricorrente stesso, oltre che priva di indicazione di concreti elementi da cui poter desumere l’effettiva esistenza di una situazione di vulnerabilità di quest’ultimo.

Alla stregua delle considerazioni sopra esposte il ricorso va dichiarato inammissibile.

Nessuna determinazione in punto spese stante la mancata costituzione della parte intimata.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; nulla per le spese; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 15 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 10 settembre 2021

 

 

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