Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24512 del 17/10/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 17/10/2017, (ud. 05/05/2017, dep.17/10/2017),  n. 24512

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPPI Aniello – Presidente –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13880-2014 proposto da:

V.S., in qualità di legale rappresentante pro tempore e

liquidatore della (OMISSIS) S.r.l., elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA MAZZINI, 134, presso lo studio dell’avvocato ROSELLA

ZOFREA, rappresentato e difeso dall’avvocato ROSSANA SCILLIA;

– ricorrente –

contro

BANCA NAZIONALE DEL LAVORO S.P.A., CURATELA FALLIMENTO (OMISSIS)

S.R.L.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 734/2013 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 29/05/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 05/05/2017 dal Consigliere Dott. MARIA ACIERNO.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte d’Appello di Catanzaro ha respinto l’impugnazione avverso la sentenza del Tribunale di Lamezia Terme con la quale era stata respinta l’opposizione alla dichiarazione di fallimento della s.r.l. (OMISSIS) in liquidazione. L’impugnazione è stata proposta da V.S. in qualità di liquidatore della società fallita.

A sostegno della decisione la Corte d’Appello ha affermato:

a) le censure relative al credito dell’istante sono del tutto infondate trattandosi di credito coperto da giudicato;

b) le altre censure relative al superamento del termine annuale dalla cessazione dell’attività dell’impresa fallita, in liquidazione dall’anno 1991 e con bilancio depositato il 15/11/97 (il fallimento è stato dichiarato nel 2000), difettano di specificità ex art. 342 c.p.c., in quanto il deposito del bilancio di liquidazione nel 1997 viene soltanto dedotta e la cancellazione della società dal registro delle imprese oltre un anno prima della dichiarazione di fallimento neanche allegata;

c) è infondato il rilievo secondo il quale la cancellazione dal registro delle imprese coincide con la cessazione dell’attività di liquidazione;

d) non risulta provata l’approvazione del bilancio in mancanza del deposito del fascicolo di parte.

Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione il V. affidato a cinque motivi, illustrati da memoria.

Nel primo motivo viene dedotta la violazione degli artt. 77 e 87 disp. att. c.p.c. per avere la Corte d’Appello deciso nonostante lo smarrimento dei fascicoli di parte senza ordinarne le opportune ricerche. La censura viene formulata anche sotto il profilo del vizio di motivazione.

La parte ricorrente afferma di aver ritirato i fascicoli di parte di entrambi i gradi il 24/10/2012 e di averli ridepositati il 10/12/2012. Il mancato rinvenimento degli stessi è stato, pertanto, dovuto a smarrimento e non da negligenza della parte. Se la Corte d’Appello avesse disposto le opportune ricerche dello stesso avrebbe potuto valutare il rilievo probatorio del bilancio di liquidazione, e della non contestazione della deduzione relativa all’intervenuta cancellazione dal registro delle imprese.

Il motivo è inammissibile perchè non colpisce la ratio decidendi della sentenza impugnata. Il rigetto del secondo e terzo motivo d’appello si fonda non sulla mancanza dei fascicoli di parte ma sulla violazione dell’art. 342 c.p.c. nella versione ratione temporis applicabile. Il difetto di specificità sollevato riguarda la mancata allegazione (e non la prova, che costituisce un ulteriore necessario adempimento contestuale o successivo a seconda dell’articolazione del procedimento) della cancellazione della società dal registro delle imprese. Al riguardo il ricorrente si limita a dedurre che nel grado precedente la cancellazione era stata dedotta, senza contestare la genericità dell’appello che sul punto, di cruciale rilievo, secondo la Corte era radicalmente carente. Pertanto, non rileva l’asserita completezza documentale del primo grado, rimanendo priva di censura la ratio dell’omessa deduzione ed allegazione dell’evento “cancellazione dal registro delle imprese”, peraltro da eseguirsi con indicazione precisa della data dell’adempimento nel giudizio di appello. Al riguardo nessun rilievo può avere la dedotta non contestazione in primo grado, trattandosi di un accertamento officioso rimesso al giudice fallimentare che non può essere provato mediante l’applicazione del predetto principio. La circostanza della mancata menzione del requisito temporale nel giudizio di opposizione, dedotta dal ricorrente, conduce, pertanto, alla conclusione, opposta a quella prospettata in ricorso, dell’accertamento positivo svolto d’ufficio dal giudice del fallimento. Ne consegue la necessità di una censura specifica e coerente con i canoni dell’art. 342 c.p.c., il cui omesso rispetto nella specie non è stato puntualmente censurato.

Nel secondo motivo viene dedotta l’omessa pronuncia in ordine all’effettiva determinazione del credito dell’istante Banca Nazionale del Lavoro. La censura è inammissibile dal momento che lo stesso ricorrente riconosce che si tratta di un credito portato da decreto ingiuntivo passato in giudicato del quale indica l’ammontare. Ne consegue l’inutilità di qualsiasi ulteriore accertamento. Solo a fini di completezza si osserva che le alternative e non univoche diverse determinazioni dell’importo finale, oltre ad essere meramente dedotte, non si collocano al di sotto della soglia ratione termporis applicabile al fallimento in oggetto.

Nel terzo motivo si lamenta che nella sentenza dichiarativa di fallimento ed in quella di opposizione non si fa riferimento al giudicato sul credito dell’istante e non si dà un’adeguata risposta alle obiezioni sul quantum. Il motivo è inammissibile per le ragioni ampiamente esposte nell’esame della seconda censura.

Nel quarto motivo viene censurata la mancata applicazione del principio di non contestazione in ordine alla circostanza della cancellazione dal registro delle imprese. Si tratta di una censura ripetitiva di quanto sostanzialmente già dedotto nel primo motivo, l’esame del quale contiene una specifica risposta anche sull’inapplicabilità del principio di non contestazione.

Nel quinto motivo vene contestato che sia stata ritenuta coperta dal giudicato derivante dal provvedimento monitorio non opposto, anche l’applicazione degli interessi usurari e dell’anatocismo.

Il motivo è radicalmente inammissibile per genericità non essendo nè dedotto nè allegato che la decurtazione delle voci in questione consentirebbe di scendere al di sotto della soglia di fallibilità in quanto del tutto mancante la quantificazione dell’importo costituito dalla lamentata applicazione delle clausole illecite.

Nel sesto motivo, sotto il profilo del vizio di omessa pronuncia si censura la mancata risposta al rilievo costituito dalla non attualità delle indagini della Guardia di Finanza sulle quali si fonda l’accertamento di fatto posto a base della dichiarazione di fallimento.

La censura è inammissibile perchè oltre a non essere qualificabile come vizio di omessa pronuncia, mira a richiedere a questa Corte un accertamento dei fatti alternativo a quello svolto insindacabilmente dal giudice di merito con motivazione del tutto adeguata.

In conclusione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. In mancanza di resistenza della parte intimata non si dà luogo ad alcuna statuizione sulle spese processuali.

PQM

 

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ricorrono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 5 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 17 ottobre 2017

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