Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24512 del 04/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 04/11/2020, (ud. 26/06/2019, dep. 04/11/2020), n.24512

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. GILOTTA Bruno – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 21489/2013, proposto da:

C.M., rappresentato e difeso dagli avv. Maria Sonia

Vulcano e Claudio Lucisano, presso lo studio quest’ultimo in Roma;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio

legale in la Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza n. 60/34/11 emessa inter partes il

26 settembre 2011 dalla Commissione Tributaria Regionale del

Piemonte.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

Con la predetta sentenza la Commissione Tributaria Regionale, in riforma della sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Torino, ha convalidato gli accertamenti dell’Agenzia delle Entrate con i quali, fra l’altro, erano stati determinati ricavi non contabilizzati per gli anni 2001 e 2002, pari rispettivamente a Euro 26.733,00 e a Euro 6.517,00.

Gli avvisi erano stati impugnati dalla contribuente che aveva contestato la legittimità dell’applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 e ritenuto comunque incongrua l’applicazione di percentuali ricarico al venduto, ricavata da quanto emerso nel corso della verifica effettuata dall’Ufficio nel corso del 2006.

La sentenza qui impugnata ha giustificato la decisione richiamando l’orientamento giurisprudenziale che consente all’Amministrazione finanziaria il ricorso all’accertamento induttivo anche in presenza di contabilità regolare e valorizzando il fatto che a percentuale di ricarico era stata stabilita con la stessa contribuente, che non aveva fornito poi elementi specifici che giustificassero per gli anni 2001 e 2002 percentuali di ricarico diverse e minori.

Ricorre per la cassazione di questa sentenza C.M. adducendo due motivi.

L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.

Per la trattazione è stata fissata l’adunanza in camera di consiglio del 26 giugno 2019, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c., e art. 380 bis 1 c.p.c., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, conv. in L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

Con il primo motivo la ricorrente adduce “violazione e mancata applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 56 e dell’art. 324 c.p.c.; denunzia ai sensi del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 62 e art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5” perchè la Commissione Tributaria Regionale non avrebbe preso in considerazioni tutti motivi in base ai quali la sentenza di primo grado aveva ritenuto incongruo il modus procedendi dell’Ufficio – di applicare agli anni 2001 e 2002 le percentuali di ricarico rilevate nel 2006 con riferimento in particolare alle diverse condizioni economiche per passaggio lira/Euro, alle peculiarità di ogni esercizio rispetto agli altri, al fatto che i prodotti assunti a campione non erano uguali ma solo simili e che si trattava di un campione di merci e non dell’universo.

Così ignorando questi motivi, la Commissione Tributaria Regionale avrebbe dovuto dichiarare inammissibile, per formazione di giudicato interno, il ricorso in appello, in quanto il gravame non avrebbe impugnato tutti i punti della sentenza.

Il motivo è palesemente inammissibile.

Nel processo tributario, il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 56 nel prevedere che le questioni e le eccezioni non accolte in primo grado, e non specificamente riproposte in appello, si intendono rinunciate, fa riferimento, come il corrispondente art. 346 c.p.c., all’appellato e non all’appellante, principale o incidentale che sia, in quanto l’onere dell’espressa riproposizione riguarda, nonostante l’impiego della generica espressione “non accolte”, non le domande o le eccezioni respinte in primo grado, bensì solo quelle su cui il giudice non abbia espressamente pronunciato (ad esempio, perchè ritenute assorbite), non essendo ipotizzabile, in relazione alle domande o eccezioni espressamente respinte, la terza via – riproposizione/rinuncia – rappresentata dal detto D.Lgs., art. 56 e art. 346 c.p.c., rispetto all’unica alternativa possibile dell’impugnazione – principale o incidentale – o dell’acquiescenza, totale o parziale, con relativa formazione di giudicato interno (Cass., 14534 del 06/06/2018).

La norma riguarda peraltro i termini del contrasto fra le parti, non il percorso argomentativo del giudice, che può restare complessivamente condiviso anche senza approvarne pedissequamente tutti i passaggi.

Con il secondo motivo la ricorrente denuncia “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 23, comma 3, e del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 57, comma 1; violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c.; denunzia ai sensi del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 62 e art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”, in quanto la Commissione Tributaria Regionale avrebbe fatto proprio un argomento mai trattato in primo grado (argomento secondo cui per categorie omogenee di beni la percentuale di ricarico è sempre la stessa) e determinato un’illegittima inversione dell’onere della prova, ponendo a carico del contribuente la dimostrazione di percentuali di ricarico diverse da quelle calcolate dall’Ufficio quella di dimostrare.

Anche questo è motivo palesemente inammissibile.

Innanzi tutto non può ritenersi questione nuova, per la prima volta dedotta in appello, quella relativa all’applicazione della medesima percentuale di ricarico per beni omogenei. L’Ufficio con il suo gravame aveva inteso replicare alle affermazioni della Commissione Tributaria Provinciale che aveva annullato gli accertamenti, fra l’altro, ritenendo il campione non indicativo perchè conteneva beni simili ma non identici e perchè i singoli beni potevano avere percentuali di ricarico diversi in ragione del margine di guadagno concesso dal produttore. La questione era quindi la stessa e riguardava l’utilità del campione di merci sul quale era stata calcolata la percentuale di ricarico.

In secondo luogo, e riguardo all’onere posto dalla Commissione Tributaria Regionale a carico della contribuente per dimostrare l’inidoneità del campione assunto, si tratta di una soluzione in linea con la giurisprudenza, secondo la quale in tema di accertamento analitico induttivo D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 1, lett. d) le percentuali di ricarico, accertate con riferimento ad un determinato anno fiscale, costituiscono validi elementi indiziari, da utilizzare secondo i criteri di razionalità e prudenza, per ricostruire i dati corrispondenti relativi ad anni precedenti o successivi, atteso che, in base all’esperienza, non si tratta di una variabile occasionale, per cui incombe sul contribuente, anche in virtù del principio di vicinanza della prova, l’onere di dimostrare i mutamenti del mercato o della propria attività che possano giustificare in altri periodi l’applicazione di percentuali diverse cass., n. 27330 del 29/12/2016; cass., n. 15038 del 2014); tanto più se, come nel caso di specie, la percentuale di ricarico era stata concordata con la contribuente in sede di verifica fiscale.

Poichè si tratta quindi di valutazioni di merito, questo motivo del ricorso è, prima che infondato, inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente a rifondere all’Agenzia delle Entrate le spese del presente procedimento, che liquida in 2.300,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 26 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2020

 

 

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