Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24511 del 30/11/2016


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Cassazione civile sez. VI, 30/11/2016, (ud. 28/09/2016, dep. 30/11/2016), n.24511

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – rel. Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14826/2014 proposto da:

D.F., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato GAETANO

IROLLO, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’AVVOCATURA CENTRALE

DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati EMANUELA

CAPANNOLO, CLEMENTINA PULLI, MAURO RICCI, giusta procura a margine

del controricorso;

– controricorrente –

e contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 2752/2013 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 09/05/2013;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

28/09/2016 dal Consigliere Relatore Dott. FABRIZIA GARRI;

udito l’Avvocato Clementina Pulli difensore del controricorrente che

si riporta ai motivi scritti.

Fatto

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO

La Corte di appello di Napoli ha rigettato il gravame proposto da D.F. e, preso atto dell’avvenuto riconoscimento in sede amministrativa della pensione di invalidità a decorrere dal maggio 2007 e dell’indennità di accompagnamento dal giugno 2010 ha escluso che pur sussistendo i requisiti sanitari per il riconoscimento dell’assegno dal marzo al maggio 2007 non ne ricorrevano quelli reddituali avendo la ricorrente omesso di depositare documentazione per il periodo successivo al 2002 sebbene allo scopo, e su sua richiesta, fosse stata differita la decisione dell’appello.

Per la cassazione della sentenza ricorre la D. e resiste l’Inps con controricorso. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze è rimasto intimato.

La ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378, con la quale ha insistito nelle conclusioni già prese.

Tanto premesso il primo motivo di ricorso è inammissibile.

Va premesso che al presente giudizio trova applicazione l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo modificato del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134.

La sentenza della Corte di appello è stata pubblicata il 9 maggio 2013 e dunque oltre il trentesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della L. 7 agosto 2012, n. 134, di conversione del D.L. 22 giugno 2012, n. 83 (11 settembre 2012) con la conseguenza che trova applicazione l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), nella nuova formulazione restrittiva introdotta dell’art. 54, comma 1, lett. b), del suddetto D.L. che consente di denunciare solo e soltanto l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.

Non si configura tale vizio quando, come nella specie, i fatti storici rilevanti in causa siano stati comunque presi in considerazione dal giudice. Ed infatti la Corte territoriale ha fondato la sua decisione sugli esiti della consulenza disposta in appello proprio per rispondere alla denunciata omessa valutazione da parte del consulente di primo grado di alcune patologie.

Per quanto riguarda invece la denunciata mancata applicazione delle tabelle previste dal decreto del Ministero della Sanità del 5 febbraio 1992 la censura è manifestamente infondata.

La Corte territoriale nel recepire le conclusioni del consulente ha fatto proprie le valutazioni tecniche da questo espresse nel valutare le patologie che hanno tenuto conto espressamente delle tabelle approvate con il D.M. 5 febbraio 1992, come risulta dai passi della consulenza riportati dalla stessa parte ricorrente.

Ne consegue che non è ravvisabile nel caso in esame la denunciata violazione di legge che sussiste quando nel valutare i presupposti per il riconoscimento di una prestazione assistenziale non si sia avuto riguardo alla tabella indicativa delle percentuali di invalidità per le minorazioni e le malattie invalidanti, approvata con decreto del Ministero della Sanità del 5 febbraio 1992, che in attuazione del D.Lgs. 23 novembre 1988, n. 509, art. 2, integra il decreto stesso ed è vincolante, (cfr., ex plurimis, Cass. 5571 del 2001; Cass. 6050 del 2001; Cass. 13685 del 2002; Cass. 13938 del 2002; Cass. 3361 del 2003; Cass. 6652 del 2003; Cass. 13938 del 2004 e recentemente n. 6850 del 2014). Ugualmente infondato è il secondo motivo di appello atteso che la Corte territoriale, dopo aver accertato che solo dal marzo 2007 si erano realizzate le condizioni sanitarie necessarie al riconoscimento dell’assegno chiesto ha poi verificato che la documentazione reddituale depositata nulla provava quanto al pur breve periodo in considerazione.

Si tratta di accertamento di fatto che, oltre a non essere censurabile in sede di legittimità, è comunque aderente a quanto espressamente afferma la ricorrente nel ricorso per cassazione quando rammenta che la certificazione rilasciata dall’Agenzia delle entrate il 14.3.2007 – depositata in giudizio il successivo 23.3.2007 – attestava l’insussistenza di redditi per il periodo antecedente la richiesta del 28.1.2007.

Le spese del giudizio di legittimità devono essere dichiarate non ripetibili sussistendone le condizioni prescritte dall’art. 152 disp. att. c.p.c..

La circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17. Invero, in base al tenore letterale della disposizione, il rilevamento della sussistenza o meno dei presupposti per l’applicazione dell’ulteriore contributo unificato costituisce un atto dovuto, poichè l’obbligo di tale pagamento aggiuntivo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo – ed altrettanto oggettivamente insuscettibile di diversa valutazione – del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, dell’impugnazione, muovendosi, nella sostanza, la previsione normativa nell’ottica di un parziale ristoro dei costi del vano funzionamento dell’apparato giudiziario o della vana erogazione delle, pur sempre limitate, risorse a sua disposizione (così Cass., Sez. Un., n. 22035/2014).

PQM

La Corte, rigetta il ricorso.

Dichiara non ripetibili le spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis del citato D.P.R..

Così deciso in Roma, il 28 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 30 novembre 2016

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