Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24510 del 04/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 04/11/2020, (ud. 26/06/2019, dep. 04/11/2020), n.24510

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. MAISANO Giulio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4532-2013 proposto da:

MONDI IPI SRL, MONDI GRADISAC SRL, elettivamente domiciliati in ROMA

P.ZA DI SPAGNA 15, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO DE

BIASI, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato VANIA

PETRELLA;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO DI GORIZIA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 71/2012 della COMM.TRIB.REG. di TRIESTE,

depositata il 28/06/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26/06/2019 dal Consigliere Dott. GIULIO MAISANO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

Con sentenza n. 71/01/12 pubblicata il 28 giugno 2012 la Commissione Tributaria Regionale del Friuli – Venezia Giulia, ha accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Gorizia n. 27/2/11 pubblicata il 5 aprile 2011, che aveva accolto i ricorsi proposti dalla Mondi Gradisac s.r.l., e dalla Mondi Services Italia S.r.l., già Mondi Packaging Services Italia S.r.l., società consolidante che aveva optato per la tassazione di gruppo, includente la prima società consolidata, avverso gli avvisi di accertamento n. (OMISSIS) ai fini IRES in regime di consolidato fiscale e (OMISSIS) ai fini IRAP, quest’ultimo oggetto d’impugnazione da parte della consolidata, notificati dall’Agenzia delle Entrate alle contribuenti per l’anno 2005 con il recupero a tassazione della somma di Euro 103.702,14 corrispondente alla differenza fra la provvigione calcolata nella misura del 4% riguardo ai clienti procacciati dal proprio agente Aidic Rado operante sui mercati esteri di Croazia, Bosnia-Erzegovina, Macedonia e Serbia e le provvigioni fatturate dallo stesso, differenza riconosciuta quale costo non deducibile.

La Commissione Tributaria Regionale ha considerato che tale differenza provvigionale, di gran lunga superiore a quella contrattualmente prevista ed a quella corrisposta ad altro agente operante sul mercato dell’Austria, non è deducibile, non risultando da elementi certi e precisi la sua riferibilità ai ricavi ed ai proventi della società.

La Mondi Gradisac S.r.l. e la Mondi IPI S.r.l., che ha fuso per incorporazione la Mondi Services Italia S.r.l., hanno proposto ricorso per cassazione avverso tale sentenza articolato su tre motivi, ulteriormente illustrato da memoria.

L’Agenzia delle entrate ha resistito con controricorso, chiedendo il rigetto del ricorso, deducendone l’infondatezza.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo si lamenta, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 75, ora art. 109, TUIR, in relazione ai principi elaborati da questa Corte in tema di certezza di un componente negativo di reddito in materia tributaria. In particolare si deduce che la Commissione Tributaria Regionale avrebbe fatta errata applicazione dell’art. 109 del TUIR, che si riferisce a spese e oneri afferenti ricavi non imputati al conto dei profitti e delle perdite, prevedendone la deducibilità se e nella misura in cui risultano da elementi certi e precisi, mentre l’ipotesi in questione non si riferisce a ricavi non imputati al conto profitti e perdite.

2. Con il secondo motivo si deduce violazione dell’art. 2697 c.c. in relazione ai principi elaborati da questa Corte riguardo al riparto dell’onere della prova in materia tributaria, ex art. 360 c.p.c., n. 3 In particolare si assume che la pronuncia impugnata sarebbe in contrasto con l’affermazione di questa Corte secondo cui l’onere di provare il difetto del requisito dell’inerenza sarebbe a carico dell’amministrazione finanziaria allorchè le spese sono strettamente collegate alla produzione del reddito ed inerenti all’attività di impresa come nel caso delle spese per provvigioni.

3. Con il terzo motivo si lamenta, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 75, ora art. 109, TUIR, in relazione ai principi elaborati da questa Corte in tema di certezza di un componente negativo di reddito in materia tributaria.

4. I tre motivi possono essere congiuntamente esaminati in quanto tra loro connessi.

Essi sono infondati.

4.1. Segnatamente, in relazione al primo motivo, deve osservarsi come il riferimento all’inciso di cui all’art. 109 TUIR, comma 4 contenuto nell’impugnata sentenza, sia del tutto ultroneo ai fini dell’effettiva individuazione della ratio decidendi della pronuncia resa dalla CTR.

4.1.1. Ove, infatti, esso non sia estrapolato, come invece risulta nella formulazione del motivo di ricorso, dal contesto della decisione, si ha modo di verificare come la CTR abbia piuttosto attribuito rilievo decisivo alla previsione del requisito della certezza e della precisione degli elementi da cui ricavare la inerenza dei costi deducibili, requisito ritenuto nella fattispecie non sussistente. La valutazione al riguardo espressa dal giudice del merito sulla base dell’esame delle risultanze istruttorie, non è poi suscettibile di rivisitazione in sede di legittimità, non essendo stata peraltro la relativa statuizione oggetto di censura da parte delle ricorrenti in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella sua formulazione applicabile ratione temporis.

5. Il secondo ed il terzo motivo debbono essere ugualmente rigettati, anche alla stregua del più recente indirizzo espresso dalla giurisprudenza di questa Corte in tema di c.d. inerenza qualitativa, su cui le ricorrenti hanno insistito specificamente nel terzo motivo di ricorso e nella memoria depositata in atti.

5.1. Va innanzi tutto premesso che, diversamente da quanto addotto dalle ricorrenti nel secondo motivo di ricorso, la sentenza impugnata, laddove ha affermato che incombe alla parte contribuente l’onere probatorio in tema d’inerenza dei costi, ha fatto applicazione di principio costantemente affermato in materia dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr., tra le molte, Cass. sez. 5, 27 dicembre 2018, n. 33504).

5.2. Va inoltre chiarito che non è qui in discussione il principio secondo il quale “In tema di reddito d’impresa, il requisito dell’inerenza dei costi deducibili attiene alla compatibilità, coerenza e correlazione dei detti costi non ai ricavi in sè, bensì all’attività imprenditoriale svolta, idonea a produrre a reddito”, quanto piuttosto – essendo certamente l’attività svolta dall’agente A.R. intesa a procacciare clienti nell’ambito del conseguimento dell’oggetto sociale e dunque i costi per essa sostenuti ad essa riferibili – in che termini, ai fini dell’inerenza, residui il giudizio sull’antieconomicità.

5.3. In proposito si è ormai più volte affermato che sebbene l’antieconomicità non costituisca espressione del principio d’inerenza, nondimeno possa rappresentare un indice rivelatore della mancanza della stessa (si vedano, tra le molte, con specifico riferimento alle imposte dirette, Cass. sez. 5, ord. 11 gennaio 2018, n. 450; Cass. sez. 5, 6 giugno 2018, n. 14579; Cass. sez. 5, ord. 30 luglio 2018, n. 20113; nonchè, in tema di IVA, ai fini della detraibilità dei relativi costi, cfr. Cass. sez. 5, 17 luglio 2018, n. 18904 e Cass. sez. 5, 28 dicembre 2018, n. 33574, laddove si è precisato che la macroscopica antieconomicità dell’operazione che sia dimostrata dall’amministrazione costituisce elemento sintomatico dell’assenza di correlazione dell’operazione stessa con l’esercizio dell’attività d’impresa).

Nella fattispecie in esame, di là anche dai profili probatori sull’opponibilità al fisco della maggiore provvigione che sarebbe stata convenuta, in difetto di pattuizione scritta, con l’agente A.R., ha assunto valenza decisiva, da parte della CTR, nel confermare la legittimità degli accertamenti, la sproporzione tra i costi, seppur riferiti alla medesima attività, relativi alle provvigioni erogate a quest’ultimo e le provvigioni corrisposte invece all’agente M. operante sul mercato austriaco.

5.4. Si tratta, anche in questo caso, di tipico accertamento in fatto compiuto dal giudice di merito, non censurato dalle ricorrenti in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 nella formulazione applicabile ratione temporis.

6. In conclusione il ricorso va pertanto rigettato.

7. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna le ricorrenti in solido al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.600,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 26 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2020

 

 

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