Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2451 del 03/02/2021

Cassazione civile sez. I, 03/02/2021, (ud. 11/12/2020, dep. 03/02/2021), n.2451

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. ARIOLLI Giovanni – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 912-2019 proposto da:

A.M.S., ((OMISSIS)), elettivamente domiciliato presso

lo studio dell’Avv. Daniela Vigliotti, del foro di Busto Arsizio che

lo rappresenta e difende (pec:

avv.daniela.vigliotti.busto.pecavvocati.it);

– ricorrente –

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro-tempore,

elettivamente domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– intimato –

avverso il decreto n. 7277/2018 del Tribunale di Milano;

udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica

dell’11/12/2020 dal consigliere relatore Dott. Giovanni Ariolli;

udito il P.M. nella persona del Sostituto Procuratore Generale

Dott.ssa Sanlorenzo Rita, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito il Difensore del ricorrente, avv. Francesco Verrastro, in

sostituzione dell’avv. Daniela Vigliotti, che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. A.M.S., cittadino del (OMISSIS), ricorre per cassazione avverso il decreto n. 7277/2018 del Tribunale di Milano con cui è stato respinto il ricorso avverso il provvedimento con cui la locale commissione territoriale aveva rigettato la sua domanda di protezione internazionale ed umanitaria. In particolare il Tribunale, una volta reputato non credibile il racconto del migrante (il quale aveva dichiarato di essersi allontanato dal paese di origine per sfuggire alle violente reazioni dei (OMISSIS) al suo rifiuto di combattere contro l’esercito (OMISSIS)), negava il ricorrere dei presupposti per riconoscere il diritto al rifugio, non essendo stata allegata alcuna forma di persecuzione personale riconducibile a quelle previste dalla Convenzione di Ginevra, o la protezione sussidiaria, dovendosi escludere che nella zona di provenienza del migrante vi fosse una situazione di violenza generalizzata e indiscriminata di intensità tale da esporre un qualsiasi civile ivi presente al rischio di perdere la vita o vedere compromessa la propria incolumità. Il tribunale riteneva inoltre che non ricorressero i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria, in mancanza di una condizione di integrazione sociale del ricorrente in Italia particolarmente apprezzabile e tenuto conto, invece, della condizione di integrazione familiare e sociale di cui il migrante avrebbe potuto godere in caso di rimpatrio.

2. Svolgendo quattro motivi chiede l’annullamento del decreto impugnato.

2.1. Con il primo motivo lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, commi 9, 10 e 11 in combinato disposto con l’art. 46, paragrafo 3 della Direttiva n. 32/2013, e con l’art. 3 Cost., comma 1, art. 24 Cost., commi 1 e 2, art. 111 Cost., commi 1 e 2, art. 117 Cost., comma 1, per avere il Tribunale di Milano rigettato il ricorso senza previa fissazione dell’udienza di comparizione personale delle parti finalizzata a rendere l’interrogatorio libero del ricorrente, nonostante la mancanza della videoregistrazione delle dichiarazioni rese avanti la Commissione territoriale.

2.2. Con il secondo motivo deduce la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) per non avere il decreto impugnato riconosciuto la sussistenza di una minaccia grave alla vita dell’odierno ricorrente in ragione della situazione geopolitica dello Stato di provenienza.

2.3. Con il terzo motivo denuncia la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, per non avere il Tribunale di Milano assolto all’onere di cooperazione istruttoria.

2.4. Con il quarto motivo lamenta la violazione dell’art. 5, comma 6 e art. 19 TUI per non avere il Tribunale di Milano riconosciuto al ricorrente la protezione umanitaria, in ragione della situazione attuale del Paese di provenienza.

3. Non si è costituito il Ministero dell’Interno.

4. Con ordinanza interlocutoria n. 7843 adottata da questa Sezione all’udienza camerale del 4/2/2020, il ricorso veniva rimesso all’odierna pubblica udienza per la decisione della questione di diritto circa la necessità o meno che il giudice disponga l’audizione del richiedente che ne faccia espressa richiesta (e non solo che provveda a fissare l’udienza di comparizione), in caso di assenza di videoregistrazione del colloquio davanti la Commissione territoriale.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso – che attiene alla questione per cui vi è stata ordinanza interlocutoria di rimessione all’odierna pubblica udienza – presenta profili di inammissibilità e di infondatezza.

Partendo da quest’ultimi per voler seguire l’ordine espositivo delle doglianze prospettate dal ricorrente, giova in primo luogo ricordare che è stato recentemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte il principio, al quale il Collegio intende aderire, secondo cui “Nei giudizi in materia di protezione internazionale il giudice, in assenza della videoregistrazione del colloquio svoltosi dinanzi alla Commissione territoriale, ha l’obbligo di fissare l’udienza di comparizione, ma non anche quello di disporre l’audizione del richiedente, a meno che: a) nel ricorso non vengano dedotti fatti nuovi a sostegno della domanda (sufficientemente distinti da quelli allegati nella fase amministrativa, circostanziati e rilevanti); b) il giudice ritenga necessaria l’acquisizione di chiarimenti in ordine alle incongruenze o alle contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni del richiedente; c) il richiedente faccia istanza di audizione nel ricorso, precisando gli aspetti in ordine ai quali intende fornire chiarimenti e sempre che la domanda non venga ritenuta manifestamente infondata o inammissibile” (cfr. Sez. 1, Sentenza n. 21584 del 07/10/2020, Rv. 658982; in termini Sez. 1, sentenze n. 27274 e n. 27275 del 13/10/2020; n. 25312 del 14/10/2020; conforme Sez. 1, n. 22049 del 13/10/2020, Rv. 659115).

Ne consegue, pertanto, che nessun automatismo è dunque predicabile tra la mancanza di videoregistrazione e la necessaria audizione del richiedente, come invece sostenuto nel motivo di censura qui in esame.

Inoltre, il ricorrente incentra la sua censura sulla necessità che, in assenza della videoregistrazione, venga fissata l’udienza, citando all’uopo anche orientamenti giurisprudenziali di questa Corte di cui il Tribunale di Milano risulta avere fatto corretta applicazione (parimenti citandoli nel provvedimento impugnato), non avvedendosi che su tale profilo vi è carenza di interesse in quanto dall’esame degli atti l’udienza risulta essere stata proprio all’uopo tenuta.

Con riguardo, poi, all’esigenza di disporre l’audizione, il ricorrente si è limitato a dedurre genericamente un vulnus nell’istruttoria derivante dalla mancanza di tale adempimento (vedi pag. 7, primo capoverso del ricorso), omettendo di specificare le circostanze fattuali su cui avrebbe dovuto essere sentito e rendere eventuali chiarimenti, di talchè la censura si appalesa del tutto generica e come tale inammissibile (vedi sul punto anche Cass. n. 8931/2020). Al riguardo, questa Corte ha affermato che “nel solco di quanto affermato dalla recente sentenza n. 21584-20 il corredo esplicativo dell’istanza di audizione deve risultare anche dal ricorso per cassazione, in prospettiva di autosufficienza; in particolare il ricorso, col quale si assuma violata l’istanza di audizione, implica che sia soddisfatto da parte del ricorrente l’onere di specificità della censura, con indicazione puntuale dei fatti a suo tempo dedotti a fondamento di quell’istanza” (Sez. 1, n. 25312 dell’11/11/2020).

Inoltre, nel ricorso non risultano essere stati dedotti fatti nuovi a sostegno della domanda (sufficientemente distinti da quelli allegati nella fase amministrativa, circostanziati e rilevanti); nè il giudice ha ritenuto necessaria l’acquisizione di chiarimenti in ordine alle incongruenze o alle contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni del richiedente; nè il richiedente risulta aver proposto istanza di audizione nel ricorso, precisando gli aspetti in ordine ai quali intendeva fornire chiarimenti per dissipare incongruenze o contraddizioni.

2. Il secondo e terzo motivo di ricorso, in tema di protezione sussidiaria, sono inammissibili.

2.1. Con riguardo alla denunciata violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) il decreto impugnato ha anzitutto motivatamente escluso che la situazione che il ricorrente pone a fondamento della sua domanda di protezione ne integri i presupposti, stante l’assenza di credibilità della vicenda narrata proprio con riferimento all’essere esposto alle ritorsioni dei (OMISSIS) per essersi sottratto ad un forzoso reclutamento, in ragione delle numerose illogicità che caratterizzano la successione degli eventi, tra le quali, in particolare, quella che la stessa Polizia, impegnata notoriamente in azioni contro tale gruppo, non solo avrebbe rifiutato la sua denunzia ma lo avrebbe incitato ad unirsi a tale fazione, ovvero che gli stessi (OMISSIS) avrebbero sporta denuncia riguardo all’accaduto stante la notorietà pubblica del ricorrente (vedi pag. 7 del decreto impugnato).

Peraltro, con riferimento alla zona di provenienza del ricorrente, il Tribunale, dopo aver operato una ricostruzione dettagliata della situazione sociopolitica del (OMISSIS), sulla base di fonti informative accreditare e debitamente specificate nel corpo della motivazione del decreto impugnato, ha escluso che nella zona dove questi dovrebbe ragionevolmente ricollocarsi, ossia l'(OMISSIS), si siano registrate criticità tali da integrare una situazione di violenza generalizzata e indiscriminata di particolare intensità (si è osservato come in tale zona non siano riportati eventi mortali contro soggetti comuni). Pertanto, sulla base di tale ricostruzione, ha escluso la sussistenza, in caso di rimpatrio, di un grave danno derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale. Ciò in armonia con il principio secondo cui, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria. Il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Cass. n. 18306/2019 e Cass., n. 27535/2020 e n. 27316/2020 con specifico riguardo al (OMISSIS)).

2.2. Con riferimento, poi, alla denuncia di mancato assolvimento all’onere di cooperazione istruttoria, questa Suprema Corte, poi, ha ancora recentemente (cfr. Cass. n. 18446 del 2019) chiarito che: i) la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve ponderare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in Cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr., nel medesimo senso, Cass. n. 3340 del 2019). Deve, peraltro, rimarcarsi, da un lato, che, nella specie, la semplice lettura del decreto oggi impugnato, nella parte in cui ha negato l’attendibilità del racconto dell’odierno ricorrente presenta, per come sora già osservato, una motivazione ampiamente in linea con il minimo costituzionale sancito da Cass. SU, n. 8053 del 2014; dall’altro, che, quanto alle censure proposte ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nemmeno risultano osservati gli specifici oneri di allegazione previsti, in proposito, dall’appena citata decisione delle Sezioni Unite di questa Corte; il) in tema di riconoscimento della protezione sussidiaria, il principio secondo il quale, una volta che le dichiarazioni del richiedente siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 non occorre procedere ad approfondimenti istruttori officiosi, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori che investe le domande formulate ai sensi dell’art. 14, lett. a) e b), del predetto decreto (cfr. Cass. n. 15794 del 2019; Cass. n. 4892 del 2019), mentre, quanto a quella proposta giusta la lett. c) medesimo decreto, si è già riferito che il provvedimento oggi impugnato ha comunque esaminato la situazione fattuale ed operato la ricostruzione della realtà socio-politica del Paese di effettiva provenienza del richiedente, onde la corrispondente doglianza di quest’ultimo è insuscettibile di accoglimento, in quanto, sostanzialmente, volta ad ottenere la ripetizione del giudizio di fatto, attività qui preclusa in virtù della funzione di legittimità. A tanto deve soltanto aggiungersi, da un lato, che il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nel prevedere che “ciascuna domanda è esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati…”, deve essere interpretato nel senso che l’obbligo di acquisizione di tali informazioni da parte delle Commissioni territoriali e del giudice deve essere osservato in diretto riferimento ai fatti esposti ed ai motivi svolti in seno alla richiesta di protezione internazionale, non potendo, per contro, addebitarsi la mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi, in ordine alla ricorrenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione, riferita a circostanze non dedotte (cfr. Cass. n. 30105 del 2018).

4. Il quarto motivo – che attiene al mancato riconoscimento della protezione umanitaria – è fondato.

Sebbene il ricorrente abbia formulato la censura lamentando la violazione e la falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, nel corpo del motivo ha invece fatto riferimento alla mancanza di esame da parte del Tribunale di documentazione rilevante ai fini della sussistenza del requisito dell’integrazione in Italia, allegata al ricorso originario (e riprodotta in questa sede in ossequio al principio di autosufficienza). Può quindi ritenersi implicitamente dedotta anche la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

Ciò premesso, questa Corte, con riferimento al vizio deducibile ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ha precisato che l’omesso esame del fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, va inteso, in applicazione dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, tenendo conto della prospettiva della novella, mirata ad evitare l’abuso dei ricorsi basati sul vizio di motivazione, non strettamente necessitati dai precetti costituzionali, supportando la generale funzione nomofilattica della Corte di cassazione. Ne consegue che: a) l'”omesso esame” non può intendersi che “omessa motivazione”, perchè l’accertamento se l’esame del fatto è avvenuto o è stato omesso non può che risultare dalla motivazione; b) i fatti decisivi e oggetto di discussione, la cui omessa valutazione è deducibile come vizio della sentenza impugnata, sono non solo quelli principali ma anche quelli secondari; c) è deducibile come vizio della sentenza soltanto l’omissione e non più l’insufficienza o la contraddittorietà della motivazione, salvo che tali aspetti, consistendo nell’estrinsecazione di argomentazioni non idonee a rivelare la “ratio decidendi”, si risolvano in una sostanziale mancanza di motivazione (Cass., n. 7983/2014).

Ciò posto, rileva il Collegio come nel provvedimento impugnato il mancato esame degli elementi probatori specificamente dedotti dal ricorrente riguardo alla sua integrazione in Italia siano tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, la stessa “ratio decidendi” su cui si fonda il percorso argomentativo condotto dal giudice di merito e in forza del quale il ricorso originario è stato rigettato.

In particolare, il riferimento contenuto nel decreto del Tribunale “all’assenza della titolarità di un rapporto di lavoro (lo stesso ha documentato la proroga di un contratto di lavoro a termine sino al 24.12.2016), nulla deducendo riguardo la propria autonomia abitativa, documentando una conoscenza assai limitata della lingua italiana”, omette di dare conto della documentazione allegata dal ricorrente da cui risulta che il ricorrente è titolare di un rapporto di lavoro per di più a tempo indeterminato, con retribuzione adeguata, tanto che lo stesso ricorrente non può più beneficiare del patrocinio a spese dello Stato, nonchè possiede un domicilio, come indicato anche ai fini del presente ricorso (in termini, sul rilievo, ai fini della fondatezza della censura di violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, dell’omesso esame di documentazione attinente al rapporto di lavoro, vedi Sez. 1, n. 25060/2020).

Trattandosi di fatti da cui dipende la valutazione comparativa – demandata al giudice del merito – tra l’integrazione sociale raggiunta dal richiedente in Italia e la situazione del Paese di origine, quali presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria (Cass., S.U. n. 29459/2019), va accolto il motivo di ricorso e cassato il decreto impugnato, rinviandosi, anche per le spese di questo giudizio, al Tribunale di Milano in diversa composizione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo motivo di ricorso; dichiara inammissibili il secondo ed il terzo; accoglie il quarto motivo di ricorso, cassa il decreto impugnato e rinvia, anche per le spese di questo giudizio, al Tribunale di Milano in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 11 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 3 febbraio 2021

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