Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2451 del 03/02/2010

Cassazione civile sez. lav., 03/02/2010, (ud. 22/12/2009, dep. 03/02/2010), n.2451

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE LUCA Michele – Presidente –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. MORCAVALLO Ulpiano – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO S.P.A., in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA

PIAZZA GIUSEPPE VERDI N. 10, presso lo studio dell’Avvocato TURCO

Chiara, (c/o l’Ufficio della Funzione Affari Legali e Societari), che

lo rappresenta e difende giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

C.I., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLE

MEDAGLIE D’ORO 157, presso lo studio dell’avvocato CIPRIANI ROMOLO

GIUSEPPE, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

PELLEGRINI ANTONIO, giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6255/2005 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 14/02/2006 R.G.N. 1000/04;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del

22/12/2009 dal Consigliere Dott. IANNIELLO Antonio;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza depositata il 14 febbraio 2006, la Corte di appello di Roma ha confermato la sentenza in data 5 febbraio 2003, con la quale il Tribunale della medesima citta’ aveva accolto la domanda svolta con ricorso ex art. 414 c.p.c. del 17 aprile 1997 da C. I. nei confronti della propria datrice di lavoro Istituto poligrafico e Zecca dello Stato s.p.a., di pagamento di una determinata somma a titolo di computo sulla base di calcolo dell’indennita’ di anzianita’ e del t.f.r. dei compensi per il lavoro straordinario svolto in maniera costante nel corso del rapporto di lavoro, risoltosi in data 31 dicembre 1993.

Avverso tale sentenza propone ora ricorso per Cassazione l’Istituto, affidandolo a tre motivi.

Resiste alle domande C.I. con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 – Col primo motivo di ricorso, l’Istituto poligrafico dello Stato deduce il vizio di motivazione nonche’ la violazione della L. n. 297 del 1982 e degli artt. 2120, 2934 e 2935 c.c., in relazione al rigetto dell’eccezione di prescrizione del diritto azionato, formulata sia in primo che in secondo grado.

In proposito, la societa’ sostiene infatti che la Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere sic et simpliciter che la prescrizione del diritto al trattamento di fine rapporto inizi a decorrere dalla cessazione del rapporto di lavoro, attribuendo pertanto a tale evento natura costitutiva del diritto.

Viceversa, a seguito della trasformazione dell’indennita’ di buonuscita in t.f.r., operata dalla L. n. 297 del 1982, occorrerebbe distinguere tra la fase di esigibilita’ del diritto, collocata al termine del rapporto di lavoro (ma parzialmente ormai stabilita del resto anche in corso di esso, se si ha riguardo alle relative possibili anticipazioni) e quella di maturazione e di concretizzazione quantitativa del diritto, cadente invece anno per anno, tanto e’ vero che la giurisprudenza di questa Corte riconosce la possibilita’ di una azione giudiziale di accertamento del livello dell’accantonamento annuale.

L’esistenza di un diritto di accertamento giudiziale dell’ammontare di ciascun accantonamento annuale del t.f.r. comporterebbe pertanto la soggezione al regime legale di prescrizione, con decorrenza dal momento in cui tale diritto potrebbe essere esercitato, vale a dire dallo scadere dell’anno di riferimento, con la conseguente possibile estinzione per decorso del relativo termine, nell’inerzia del titolare.

L’Istituto sostiene infine che in realta’ la domanda del lavoratore non atterrebbe, nella fattispecie considerata, alla rivendicazione del diritto al t.f.r., che sarebbe incontestato e per il cui pagamento la prescrizione decorre dal termine del rapporto, ma unicamente alla computabilita’ di determinati compensi negli accantonamenti annuali del tfr. Il relativo giudizio riguardando pertanto il singolo accantonamento annuale, anche la prescrizione relativa avrebbe una decorrenza collegata ad ognuno di tali anni.

Il motivo conclude con la formulazione di un quesito di diritto, non necessario nel presente procedimento, alla stregua di quanto disposto dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 27, comma 2.

Il motivo non merita accoglimento.

Gia’ in una precedente occasione, in relazione ad analoga deduzione proposta dall’Istituto, questa Corte (Cass. 10 ottobre 2007 n. 21239) ha infatti avuto modo di rilevare che “non e’ in contestazione la distinzione tra il diritto al pagamento del trattamento di fine rapporto, che matura alla cessazione del rapporto di lavoro, e il diritto all’accertamento della misura degli accantonamenti utili sulla base a determinati criteri di computo. In relazione a questo diverso oggetto, bisogna ancora distinguere l’azione diretta al mero accertamento dell’entita’ della quota periodicamente da accantonare, da quella in cui l’esistenza del diritto viene invocata non in se’ e per se’, ma strumentalmente al concreto conseguimento del particolare bene della vita che costituisce il contenuto del diritto medesimo.

Per questa seconda fattispecie, la prescrizione dell’azione diretta alla concreta attuazione di tale diritto (che puo’ anche escludere l’interesse all’azione di mero accertamento) non e’ configurabile finche’ perdura la situazione di incertezza, che legittima il lavoratore a richiedere l’accertamento giudiziale del suo diritto, e che non e’ esclusa dalle comunicazioni datoriali relative alla misura degli accantonamenti utili (Cass. 20 ottobre 2004 n, 20516, 11 marzo 2005 n. 5362, 17 maggio 2006 n, 11536 e successive conformi)”.

Dichiarando di condividere tale valutazione (su cui, cfr., altresi’, con orientamento ormai consolidato, ad es., Cass. nn. 6044/08, 2781/08, 2723/08, 2614/08, 1672/08, 1207/08), questo collegio non rinviene nelle difese dell’Istituto elementi sufficienti a rimettere in discussione la soluzione indicata.

Ne consegue la valutazione di correttezza dell’accertamento della Corte, territoriale, la quale, affermando che la prescrizione del diritto al trattamento di fine rapporto inizia a decorrere alla cessazione del rapporto di lavoro, ha respinto l’eccezione di prescrizione proposta dall’Istituto sul rilievo che il rapporto di lavoro esaminato era stato risolto in data 31 dicembre 1993 e l’azione giudiziaria del C. era stata proposta all’interno del quinquennio successivo, in data 17 aprile 1997.

2 – Col secondo motivo, il ricorrente denuncia l’errata interpretazione dell’accordo aziendale del 1974 relativo ai dipendenti dell’Istituto, con la conseguente illegittima reiezione della domanda riconvenzionale – eccezione di compensazione (da esso svolta per l’assorbimento – restituzione di quanto erogato in forza di tale accordo aziendale), anche per la violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c. e in violazione dell’art. 2120 c.c. come modificato dalla L. n. 297 del 1982.

La Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto che l’oggetto di tale accordo fosse lo scambio tra aumento della produttivita’ e un miglioramento retributivo consistente nell’erogazione di un compenso aggiuntivo. Per cui a-vrebbe altrettanto erroneamente interpretato la clausola, secondo la quale tale assegno “e’ assorbibile in caso di vertenze comunque proposte dal personale dipendente che possano ricollegarvisi, come riferibile esclusivamente ad eventuali liti sui compensi della produttivita’ e non sulla effettuazione di lavoro straordinario.

Una tale interpretazione, secondo la ricorrente, avrebbe omesso di considerare nella sua interezza il testo dell’accordo aziendale del 1974, il quale avrebbe chiaramente distinto la disciplina e le finalita’ di due incrementi retributivi, assegnando a quello in parola (lett. a) la funzione di evitare in futuro un contenzioso in allora massiccio relativo alla inclusione del compenso dello straordinario nel calcolo del t.f.r., oltre ad altri obiettivi come l’abolizione dei tempi morti e l’aumento di produttivita’; mentre questi ultimi avrebbero avuto una contropartita economica esclusivamente in un altro incremento retributivo (quello di cui alla lett. b).

Tutto cio’ si desumerebbe dal contesto, oltre che dal tenore letterale dell’accordo e dalla disciplina differenziata dei due istituti, il primo non collegato con la produzione aziendale e non corrisposto ai graduati (che appunto non percepirebbero compenso per il lavoro straordinario, ma unicamente una maggiorazione percentuale della retribuzione normale), mentre il secondo sarebbe legato all’effettiva presenza e al raggiungimento di risultati ed obiettivi programmati.

L’interpretazione sostenuta dall’Istituto sarebbe altresi’ confermata dal fatto che l’accordo del 1974 era stato rinegoziato, con la sostanziale conferma del relativo contenuto, dopo la riforma della L. n. 297 del 1982, legge che la sentenza violerebbe, laddove mostra di ignorare il margine da questa attribuito alla libera pattuizione delle parti.

L’Istituto conclude rilevando che per il compenso a) il lavoratore avrebbe ricevuto nel corso degli anni ben L. 44.127.097, nel cui importo andrebbe pertanto assorbita la somma oggi richiesta e ottenuta per il titolo azionato, in Euro 8.550,93 (salva l’integrale restituzione della stessa ove l’accordo dovesse essere ritenuto nullo).

Segue la formulazione di un quesito di diritto non necessario.

Anche il secondo motivo e’ infondato.

Va infatti ricordato che l’interpretazione del contratto collettivo aziendale citato (cosi’ come di ogni contratto di diritto comune, salvo il contratto collettivo nazionale di lavoro nel caso di ricorso per cassazione avverso le sentenze pubblicate successivamente al 1 marzo 2006: cfr. D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 2 e art. 27, comma 2) e’ operazione che si sostanzia in un accertamento di fatto, come tale riservato al giudice di merito e pertanto incensurabile in cassazione se non per vizi attinenti all’applicazione dei criteri legali di ermeneutica (artt. 1362 c.c. e segg.) o ad una motivazione carente o contraddittoria nella relativa argomentazione.

Nel caso in esame, la ricorrente, pur denunciando la violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c. non identifica in realta’ specifiche violazioni dei canoni ermeneutici legali, limitandosi a riprodurre il testo dell’accordo nella parte considerata, affermando genericamente che e’ stato violato, nell’interpretazione di esso, il criterio letterale, quello di contesto nonche’ quello relativo alla considerazione del comportamento successivo delle parti, che avrebbero rinegoziato l’accordo anche dopo la L. n. 297 del 1982.

Quanto al preteso vizio di motivazione, la ricorrente omette di indicare i vizi logici o i difetti di indagine che comprometterebbero l’iter logico seguito dalla Corte territoriale, in realta’ operando la mera contrapposizione di una propria diversa interpretazione del testo contrattuale a quella dei giudici, contrapposizione in cui non puo’ in nessun caso consistere la censura finalizzata al controllo di legittimita’ su di una interpretazione di contratto (cfr., ad es., recentemente Cass. 18 aprile 2008 n. 10203 e 2 novembre 2007 n. 23484).

Con riguardo, poi, alla censura di violazione della L. n. 297 del 1982 “nella parte in cui lascia margine di libera pattuizione”, va qui ribadito che la pattuizione collettiva in deroga, relativamente alla definizione di retribuzione utile per il calcolo del t.f.r., puo’ essere contenuta unicamente in contratti collettivi successivi alla L. n. 297 del 1982, e non e’ desumibile dal semplice richiamo ad accordi precedenti, genericamente confermati, essendo viceversa necessaria la riformulazione di un esplicita volonta’ nel senso indicato (Cass. n. 21239/07, cit.).

In proposito, la ricorrente si limita ad affermare che l’accordo del 1974 sarebbe stato rinegoziato, nel medesimo contenuto, anche successivamente alla legge del 1982, senza specificarne i termini precisi, in violazione della regola della autosufficienza del ricorso per Cassazione.

In ogni caso, la presenza di una rinegoziazione di identico contenuto non appare in grado di contraddire la interpretazione che di tale contenuto ha fornito la Corte territoriale, per le ragioni sopra indicate.

Va infine rilevato che la Corte territoriale ha respinto analoghe censure in ordine all’interpretazione dell’accordo del 1974 anche sulla base della autonoma considerazione che se anche puo’ ritenersi che l’accordo fosse stato stipulato anche nella prospettiva della progressiva eliminazione delle prestazioni straordinarie continuative, tale prospettiva era stata comunque successivamente abbandonata nei fatti, alla stregua del comportamento delle parti.

Un tale accertamento, che sostiene di per se’ solo la decisione dei giudici di merito, non e’ stato in alcun modo contrastato dal ricorrente, per cui anche per tale ragione il motivo in esame appare infondato.

3 – Col terzo motivo, viene denunciata l’errata interpretazione del C.C.N.L. grafici del 1992, con riferimento al calcolo del t.f.r.

nonche’ la violazione degli artt. 2120 e 1322 c.c..

La sentenza della Corte d’appello di Roma viene censurata infatti nella parte in cui avrebbe, con insufficiente e superficiale motivazione, rigettato la richiesta subordinata dell’Istituto di escludere dall’incidenza sul t.f.r. i compensi per lavoro straordinario successivi all’ottobre 1992.

In tale mese era stato infatti stipulato il nuovo C.C.N.L. dei grafici, il quale per la prima volta, nel fornire in via generale all’art. 21 la definizione del termine retribuzione, termine che poi sarebbe stato usato nell’articolo 34 del contratto, relativo al t.f.r. (che prevede che questo si calcoli sommando per ciascun anno di servizio una quota pari alla retribuzione dovuta per l’anno stesso divisa per 13,5), preciserebbe che, agli effetti dell’interpretazione e applicazione del contratto del 1992, la nozione di retribuzione va intesa come riferita a cio’ che viene complessivamente percepito dal lavoratore per la sua prestazione lavorativa “nell’orario normale”, cosi’ escludendo legittimamente per il futuro il computo dei compensi per l’orario straordinario.

Il motivo e’ fondato.

Nel respingere tale motivo di gravame, la Corte territoriale non ha infatti specificatamente preso in considerazione l’argomento dedotto dall’Istituto.

Argomento che va esaminato tenendo adeguatamente conto del fatto che la L. n. 297 del 1982 (con la formula “salvo diversa previsione dei contratti collettivi, la retribuzione annua… comprende tutte le somme… corrisposte in dipendenza del rapporto di lavoro a titolo non occasionale e con esclusione di quanto e’ corrisposto a titolo di rimborso spese”) non ha imposto ai contraenti collettivi l’utilizzazione di formule speciali o espressamente derogatorie della previsione legale relativa ad una retribuzione omnicomprensiva posta alla base del calcolo del t.f.r..

In proposito, questa Corte, con orientamento che va consolidandosi (in parziale contrasto con le precedenti Cass. nn. 17614/07 e 18289/07), ha infatti avuto recentemente modo di precisare che, a fronte della generica formula utilizzata dalla legge del 1982, non e’ possibile operare una differenziazione di significato unicamente in base alla forma o alla maggiore o minore pregnanza espressiva delle locuzioni usate dalla contrattazione collettiva. Con specifico riferimento alle norme qui considerate del C.C.N.L. grafici del 1992, e’ stato, in particolare, affermato che non si puo’ escludere, se la volonta’ risulta comunque chiara alla stregua dei criteri legali di ermeneutica contrattuale, che le parti stipulanti si esprimano al riguardo in maniera indiretta, facendo riferimento alla definizione di retribuzione non omnicomprensiva operata in una norma contrattuale diversa da quella riguardante l’istituto considerato.

Sull’argomento in esame e’ quindi mancata una adeguata valutazione della Corte territoriale in ordine al significato della disciplina contrattuale, esaminata nella sua integrita’, non limitata pertanto al contenuto dell’art. 34 del C.C.N.L. del 1992, commi 1 e 2 che disciplina il trattamento di fine rapporto, ma anche al citato art. 21 nonche’ all’art. 34 medesimo, comma 3 che testualmente dispone “per quanto non previsto dal presente articolo si fa riferimento alle norme della L. 29 maggio 1982, n. 297” (cfr. nel medesimo senso, le sentenze del 2008 prima citate).

4 – Concludendo, sulla base delle considerazioni svolte, vanno respinti i primi due motivi di ricorso e accolto il terzo; la sentenza impugnata va quindi cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio, anche per il regolamento delle spese di questo giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione, la quale provvedera’ ad una nuova valutazione dell’argomento indicato sulla base delle indicazioni di massima stabilite in questa sede.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso nei primi due motivi e accoglie il terzo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, con rinvio, anche per le spese di questo giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Roma.

Cosi’ deciso in Roma, il 22 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 3 febbraio 2010

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