Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24509 del 04/11/2020

Cassazione civile sez. I, 04/11/2020, (ud. 13/10/2020, dep. 04/11/2020), n.24509

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare – rel. Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8462/2019 proposto da:

O.K., elettivamente domiciliato in Roma Via Barnaba

Tortolini 30, presso lo studio dell’avvocato Alessandro Ferrara, che

lo rappresenta e difende in forza di procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in Roma Via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ex lege;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di NAPOLI, depositato il 15/02/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/10/2020 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE

SCOTTI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 bis depositato il 8/8/2018, O.K., cittadino del (OMISSIS), ha adito il Tribunale di Napoli-Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini UE impugnando il provvedimento con cui la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha respinto la sua richiesta di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria, con riferimento alla richiesta di protezione internazionale proposta nel 2017, a seguito di audizione effettuata il 17/5/2017.

Il ricorrente, in occasione di una precedente richiesta di protezione internazionale e relativa audizione da parte della Commissione, effettuata il 25/6/2009, aveva riferito di essere nato in (OMISSIS); di aver studiato fino alla Junior School; di essere sposato con un figlio; di aver lasciato il proprio Paese il 2/8/2008 insieme al fratello, rimasto nel Burkina Faso; che dopo la morte del nonno, stregone, suo padre avrebbe dovuto prendere il suo posto, ma aveva rifiutato perchè cristiano; che lui e il fratello, avrebbero dovuto far da servi al nuovo stregone e rimanere celibi; che per sfuggire alle pressioni dei parenti, d’accordo con il padre, avevano deciso di lasciare il Paese; di aver saputo da una lettera della moglie che il fratello, tornato in (OMISSIS), sarebbe stato ucciso; che il fratello si era ammalato in Burkina Faso a causa dell’influenza esercitata dagli spiriti maligni scatenati dai parenti; di temere per la sua vita in caso di ritorno in (OMISSIS).

In occasione della seconda audizione da parte della Commissione Territoriale nel 2017, disposta in relazione alla successiva richiesta di protezione internazionale per cui è causa, il ricorrente aveva dichiarato di essere andato alla scuola elementare e di non avere figli; di essere andato via dal suo Paese per motivi religiosi, in seguito al rifiuto del padre, cristiano, di succedere al capovillaggio dopo la morte di costui; che ne erano insorti scontri nella comunità, erano stati sequestrati terreni e lui era stato accusato della morte di un cugino in seguito a un litigio; di temere il ritorno nel proprio Paese, non essendo ancora stato trovato il colpevole della morte del cugino; di essersi sposato in Italia e di avere un problema all’occhio destro per un incidente sul lavoro.

Con decreto del 15/2/2019, comunicato in pari data, il Tribunale ha respinto il ricorso, ritenendo che non sussistessero i presupposti per il riconoscimento di ogni forma di protezione internazionale e umanitaria.

2. Avverso il predetto decreto ha proposto ricorso O.K., con atto notificato il 12/3/2019, svolgendo unico articolato motivo.

L’intimata Amministrazione dell’Interno si è costituita con controricorso notificato il 23/4/2019, chiedendo la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto del ricorso.

Il ricorrente ha depositato memoria del 29/9/2020.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il motivo di ricorso, dedicato alla mancata concessione della protezione umanitaria, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, in relazione all’art. 8 CEDU e all’art. 11 Cost.

1.1. Il ricorrente premette di essere coniugato con una cittadina (OMISSIS), sposata il (OMISSIS), titolare di permesso UE per soggiornante di lungo periodo che svolge regolare attività di colf, di condurre in locazione una abitazione a (OMISSIS) con contratto intestato alla moglie e di lavorare come giardiniere a (OMISSIS) due volte alla settimana con paga di Euro 30,00 al giorno.

Secondo il ricorrente, il Tribunale, pur invocando l’insegnamento della Corte di Strasburgo, non si era conformato alle indicazioni provenienti dalla sentenza di quella Corte del 4/10/2016 (Jihana Alì vs Svizzera e Italia), in tema di equo bilanciamento fra il diritto-dovere dello Stato di assicurare l’ordine pubblico e la sicurezza nazionale e il diritto del privato a non subire illegittime ingerenze nella propria vita privata e familiare, nonostante fossero stati dedotti e documentati plurimi indici di positivo inserimento socio-lavorativo e sussistessero legami familiari in Italia, ritenuti irrilevanti nella pronuncia impugnata.

Ritenendo “pilatescamente” che la vita familiare potrebbe trovar tutela nel nostro ordinamento solo attraverso gli istituti di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 28,29 e 30 il Tribunale aveva interpretato riduttivamente la giurisprudenza della Corte Europea, sottraendosi al dovere del giudice nazionale di interpretare le norme dell’ordinamento in modo possibilmente conforme alla CEDU.

1.2. Il Tribunale si è conformato alla giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte, che con sentenza del 13/11/2019 n. 29460 ha avallato l’interpretazione maggioritaria inaugurata da Sez. 1, n. 4890 del 19/02/2019, Rv. 652684 – 01, in tema di successione delle leggi nel tempo in materia di protezione umanitaria, il diritto alla protezione, espressione di quello costituzionale di asilo, sorge al momento dell’ingresso in Italia in condizioni di vulnerabilità per rischio di compromissione dei diritti umani fondamentali e la domanda volta a ottenere il relativo permesso attrae il regime normativo applicabile; ne consegue che la normativa introdotta con il D.L. n. 113 del 2018, convertito con L. n. 132 del 2018, nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina contemplata dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e dalle altre disposizioni consequenziali, non trova applicazione in relazione a domande di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell’entrata in vigore (5 ottobre 2018) della nuova legge; tali domande debbono, pertanto, essere scrutinate sulla base della normativa esistente al momento della loro presentazione, ma, in tale ipotesi, l’accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari sulla base delle norme esistenti prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 113 del 2018, convertito nella L. n. 132 del 2018, comporta il rilascio del permesso di soggiorno per casi speciali previsto dal suddetto D.L., art. 1, comma 9.

1.3. Inoltre la stessa sentenza n. 24960/2019 delle Sezioni Unite ha aderito al filone giurisprudenziale promosso dalla sentenza della Sez. 1, n. 4455 del 23/02/2018, Rv. 647298 – 01, in tema di protezione umanitaria, affermando il principio secondo cui l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza.

Secondo il richiamato orientamento giurisprudenziale, i seri motivi di carattere umanitario o risultanti da obblighi internazionali o costituzionali cui il D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, subordina il riconoscimento allo straniero del diritto al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, pur non essendo definiti dal legislatore, sono accumunati dal fine di tutelare situazioni di vulnerabilità personale dello straniero derivanti dal rischio di essere immesso nuovamente, in conseguenza del rimpatrio, in un contesto sociale, politico o ambientale idoneo a costituire una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali inviolabili.

La condizione di vulnerabilità può avere ad oggetto anche le condizioni minime per condurre un’esistenza nella quale non sia radicalmente compromessa la possibilità di soddisfare i bisogni ineludibili della vita personale, quali quelli strettamente connessi al proprio sostentamento e al raggiungimento degli standards minimi per un’esistenza dignitosa. Al fine di verificare la sussistenza di tale condizione, non è sufficiente l’allegazione di una esistenza migliore nel Paese di accoglienza, sotto il profilo dell’integrazione sociale, personale o lavorativa, ma è necessaria una valutazione comparativa tra la vita privata e familiare del richiedente in Italia e quella che egli ha vissuto prima della partenza e alla quale si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio.

Nè il livello di integrazione dello straniero in Italia nè il contesto di generale compromissione dei diritti umani nel Paese di provenienza del medesimo integrano, se assunti isolatamente, i seri motivi umanitari alla ricorrenza dei quali lo straniero risulta titolare di un diritto soggettivo al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari. Da un lato, infatti, il diritto al rispetto della vita privata, sancito dall’art. 8 CEDU, può subire ingerenze da parte dei pubblici poteri per il perseguimento di interessi statuali contrapposti, quali, tra gli altri, l’applicazione e il rispetto delle leggi in materia di immigrazione, in modo particolare nel caso in cui lo straniero non goda di un titolo di soggiorno nello Stato di accoglienza, ma vi risieda in attesa che venga definita la sua domanda di determinazione dello status di protezione internazionale. Dall’altro, il contesto di generale compromissione dei diritti umani nel Paese di provenienza del richiedente deve necessariamente correlarsi alla vicenda personale del richiedente stesso, perchè altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la sua situazione particolare, ma quella del suo Paese di origine in termini generali e astratti, in contrasto con il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.

Il riconoscimento della protezione umanitaria al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato d’integrazione sociale in Italia, non può pertanto escludere l’esame specifico ed attuale della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine. Tale riconoscimento deve infatti essere fondato su una valutazione comparativa effettiva tra i due piani, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile, costitutivo dello statuto della dignità personale, in comparazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese di accoglienza (Sez.1, 23/02/2018, n. 4455).

1.4. Il ricorrente, senza confrontarsi con il citato orientamento giurisprudenziale, insiste per ottenere la protezione umanitaria a prescindere dal giudizio comparativo, ut supra ritenuto necessario, e solo sulla scorta del diritto alla tutela della propria vita privata e familiare ex art. 8 CEDU, non adeguatamente assicurata dal rilievo attribuito ai legami matrimoniali dal testo unico di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998.

1.5. L’art. 8 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo prevede che ogni persona abbia diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza e non possa esservi ingerenza della pubblica autorità nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria per la sicurezza nazionale, l’ordine pubblico, il benessere economico del paese, la prevenzione dei reati, la protezione della salute o della morale, o la protezione dei diritti e delle libertà altrui.

Ancora recentemente questa Corte ha ribadito che non può essere riconosciuto il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari considerando, isolatamente ed astrattamente, il livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al Paese di provenienza, atteso che il rispetto del diritto alla vita privata di cui all’art. 8 CEDU, può soffrire ingerenze legittime da parte di pubblici poteri finalizzate al raggiungimento d’interessi pubblici contrapposti quali quelli relativi al rispetto delle leggi sull’immigrazione, particolarmente nel caso in cui lo straniero non possieda uno stabile titolo di soggiorno nello Stato di accoglienza, ma vi risieda in attesa che sia definita la sua domanda di riconoscimento della protezione internazionale (Sez.2, 24/7/2020 n. 15911; Sez.1, 24/6/2020 n. 12534; Sez. 1, 07/01/2020, n. 106; Sez. 6 – 1, n. 17072 del 28/06/2018; Rv. 649648-01; Sez. 1, n. 4455 del 23/02/2018, Rv. 647298 – 01).

Infatti la Corte Europea diritti dell’uomo, sez. IV, 08/04/2008, n. 21878, ha affermato che secondo il diritto internazionale, gli Stati hanno il diritto di controllare l’ingresso, il soggiorno e l’allontanamento degli stranieri; nè la Convenzione nè i Protocolli attribuiscono a un individuo il diritto all’asilo politico; tuttavia l’espulsione ordinata da uno Stato contraente può sollevare problemi di compatibilità con gli obblighi derivanti dall’art. 3, e determinare responsabilità dello Stato, quando la persona espulsa corra il concreto rischio di essere sottoposta a trattamenti inumani o degradanti nello Stato di destinazione; l’accertamento della sussistenza del rischio di trattamenti contrari all’art. 3 è condotto dalla Corte sulla base delle prove prodotte dal ricorrente e delle informazioni ottenute sulla situazione in atto nello Stato di destinazione; la Convenzione non attribuisce il diritto di uno straniero di entrare e risiedere in uno Stato contraente, ma l’allontanamento di una persona dallo Stato in cui vivono parenti stretti può generare una violazione del diritto al rispetto della vita familiare di cui all’art. 8; la misura di allontanamento che non determini violazioni dell’art. 3 nondimeno può dar luogo a violazioni dell’art. 8 qualora rechi restrizioni ai diritti derivanti da tale disposizione che non siano lecite.

Nella giurisprudenza della Corte Europea inoltre è assegnato importante rilievo all’accertamento se la vita familiare sia stata creata in un momento in cui le persone interessate erano consapevoli del fatto che per lo status di una di loro in ordine all’immigrazione la continuità di tale vita familiare nello Stato di accoglienza sarebbe stata precaria fin dall’inizio; in una simile situazione l’allontanamento del familiare non cittadino sarebbe incompatibile con l’art. 8 soltanto in circostanze eccezionali (Sarumi c. Regno Unito; Shebashov c. Lettonia Abdulaziz, Cabales e Balkandali c. Regno Unito, p. 68; Mitchell c. Regno Unito; Ajayi e altri c. Regno Unito (dec.); Rodrigues da Silva e Hoogkamer c. Paesi Bassi; Biao c. Danimarca (GC), p. 138).

1.6. Si potrebbe astrattamente ipotizzare che in presenza di un forte radicamento in Italia dello straniero che si manifesti attraverso il legame familiare con persone legittimamente residenti sul territorio nazionale, sia attraverso il suo inserimento effettivo nel tessuto socio- produttivo del Paese per effetto di rapporti lavorativi sufficientemente stabili, sia infine attraverso un apprezzabile livello di integrazione culturale e linguistica, il concreto manifestarsi di un diritto alla vita privata e familiare, rilevante ai sensi dell’art. 8 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e meritevole di tutela per la ricorrenza di seri motivi di carattere umanitario, risultanti da obblighi costituzionali e internazionali dello Stato italiano.

In un’ipotesi del genere il giudizio comparativo volto a verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza, potrebbe condurre a un risultato scontato per la preponderante incidenza di uno dei due fattori in comparazione fino a far quasi “evaporare” l’altro.

1.7. Non ricorrono tuttavia tali condizioni nel caso concreto.

Nella fattispecie sotto il profilo dell’integrazione culturale e linguistica il ricorrente segnala solo la frequenza di un corso di alfabetizzazione presso la Caritas e dal punto di vista lavorativo viene menzionata solo un’attività lavorativa di modestissima entità reddituale (Euro 60 alla settimana) del tutto inidonea a garantire autonomia e autosufficienza; per contro il legame coniugale con cittadina straniera titolare di regolare permesso di soggiorno, isolatamente considerato, riceve adeguata tutela attraverso le specifiche diposizioni del D.Lgs. n. 286 del 1998 in tema di unità e ricongiungimento familiare).

2. Il ricorso deve quindi essere rigettato.

Le spese seguono la soccombenza, liquidate come in dispositivo.

PQM

LA CORTE

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.100,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito come per legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 13 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2020

 

 

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA