Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24507 del 10/09/2021

Cassazione civile sez. I, 10/09/2021, (ud. 29/01/2021, dep. 10/09/2021), n.24507

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – rel. Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 17237/2019 proposto da:

O.K., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la

cancelleria civile della Corte di cassazione, rappresentato e difeso

dall’avvocato Domenico Russo, per procura speciale estesa in calce

al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso il decreto del Tribunale di Napoli depositato il 30 aprile

2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

29 gennaio 2021 dal relatore Dott. Marco Vannucci.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

Il ricorrente, cittadino della Nigeria, in sede di audizione innanzi alla Commissione territoriale ha narrato di avere lasciato il Paese per il timore del fanatismo vendicativo dello zio paterno, potente membro delle forze armate locali. Respinta la richiesta di protezione internazionale dalla competente Commissione territoriale, il ricorrente ha adito il Tribunale di Napoli che, proceduto alla audizione del ricorrente, gli ha negato il riconoscimento sia della protezione internazionale sia di quella umanitaria.

Ha ritenuto il tribunale che le dichiarazioni del richiedente non siano attendibili perché generiche, contraddittorie su più punti e caratterizzate da espedienti narrativi stereotipati, né la audizione del ricorrente in udienza ha consentito di superare i rilievi già svolti dalla Commissione avendo evitato il predetto di rispondere a domande dirette rifugiandosi in richiami vaghi e contraddittori; che dunque deve escludersi nella specie il rischio di danno grave richiesto dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, per il riconoscimento della protezione sussidiaria, né la regione di provenienza del ricorrente (Edo State) risulta afflitta da uno stato di violenza indiscriminata; che il ricorrente non ha dedotto alcuna circostanza rientrante anche astrattamente nelle ipotesi legittimanti il riconoscimento dello status di rifugiato; che, quanto alla protezione umanitaria, debba escludersi che il richiedente versi in situazione di particolare vulnerabilità, e d’altra parte la inattendibilità delle sue dichiarazioni in ordine alle ragioni del suo espatrio ed alla sua vera vita in patria non consente di operare la necessaria valutazione comparativa tra le condizioni di origine del ricorrente e quelle determinate nel Paese di accoglienza.

Avverso la predetta decisione ha proposto ricorso per cassazione il richiedente asilo affidandosi a due motivi.

Il Ministero è rimasto intimato.

Diritto

RITENUTO

Che:

1.- Con il primo motivo di ricorso si lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, norme di legge (D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis) per avere il tribunale ritenuto inattendibili le dichiarazioni del ricorrente sulla base di apodittiche affermazioni di inverosimiglianza, senza verificare la conformità di tali dichiarazioni alle informazioni ufficiali sul contesto sociale, politico, etnico, religioso ed ordinamentale della Nigeria, con il clima di violenza che contraddistingue il metodo di risoluzione delle controversie tra privati.

1.1. Il motivo è infondato.

Il corretto svolgimento della attività di cooperazione istruttoria presuppone che tutti i soggetti coinvolti assolvano i propri compiti, poiché anche il richiedente asilo ha il dovere di cooperare per una corretta istruzione della domanda compiendo ogni ragionevole sforzo per motivarla e circostanziarla (art. 13 Direttiva 2013/32/UE e art. Direttiva 2011/95/UE) mentre il compito del giudicante si esplica in termini di integrazione istruttoria (Cass. n. 16411/2019), trattandosi di cooperazione con la parte e non sostituzione ad essa, sicché le relative modalità di svolgimento devono essere improntate a criteri di trasparenza, di modo che la terzietà dell’organo giudicante non ne risulti compromessa (Cass. 29056/2019).

Questa Corte, in più occasioni, ha escluso che il giudice, ritenuto inattendibile intrinsecamente il racconto, debba anche assumere informazioni (COI) sul paese di origine (Cass. n. 28862/2018; Cass. n. 33858/2019; Cass. n. 8367/2020).

Se il racconto è affetto da estrema genericità o da importanti contraddizioni interne, la ricerca delle COI è inutile perché manca alla base una storia individuale attendibile rispetto alla quale valutare la coerenza esterna, la plausibilità ed il livello di rischio; il giudice non può e non deve supplire ad eventuali carenze delle allegazioni (Cass. n. 2355/2020; Cass. 8819/2020). Una volta esclusa la credibilità intrinseca della narrazione offerta dal richiedente asilo per la gravità delle riscontrate contraddizioni, lacune e incongruenze, non deve procedersi al controllo della credibilità estrinseca, che attiene alla concordanza delle dichiarazioni con il quadro culturale, sociale, religioso e politico del Paese di provenienza (Cass. 24575/2020; Cass. 6738/2921).

Nella specie il giudice di merito ha riscontrato genericità nel racconto, connotato da elementi stereotipati e da una certa reticenza nell’offrire particolari effettivamente caratterizzanti, così da escluderne l’attendibilità.

Nel motivo di ricorso non si spiega la ragione delle lacune e incongruenze rilevate dal giudice del merito, limitandosi a ripetere quanto già esposto e ad affermare apoditticamente che la storia è verosimile e che avrebbe dovuto essere valutata nel contesto sociale della zona di provenienza, facendo riferimento all’essere radicato in Nigeria il metodo violento di risoluzione delle controversie tra privati. Il che però il tribunale non ha negato, bensì semmai confermato, quando ha fatto riferimento a espedienti narrativi stereotipati cui il ricorrente ha per l’appunto fatto ricorso evitando di rispondere a domande dirette riferite alla sua concreta vicenda.

2. Il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, nonché artt. 28 e 29 T.U.I., artt. 29 Cost. e segg. e art. 8 Convenzione E.D.U.. Lamenta il ricorrente che il tribunale non abbia considerato, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, il suo diritto alla unità familiare, pur avendo in premessa dato atto delle dichiarazioni di esso ricorrente circa la intervenuta nascita, nell’aprile 2018, di un figlio dalla sua compagna nigeriana con la quale convive in Italia.

2.1. Il motivo è inammissibile, stante la sua estrema genericità nella indicazione degli elementi di fatto acquisiti nel giudizio di merito rilevanti ai fini della tutela che sarebbe stata illegittimamente negata.

I dati di fatto risultanti dalla decisione, il rapporto del ricorrente con la compagna nigeriana (nel ricorso viene definita moglie senza tuttavia ulteriori indicazioni) dalla quale ha avuto recentemente un figlio in Italia, non sono di per sé stessi sufficienti per applicare nella specie i richiamati principi di tutela della unità familiare e di rispetto della vita privata e familiare, non essendo sufficiente la sola esistenza di un nucleo familiare per consentire la permanenza in Italia di cittadini stranieri al di fuori delle regole (artt. 29 e 30 T.U.I.) che disciplinano il loro ingresso nel territorio dello Stato, fermo restando che, in presenza di distinti presupposti, l’interesse superiore del minore è comunque tutelato dall’art. 31 T.U.I. (v. Cass. n. 3165 del 3/12/2019).

Nella specie, non si dice in ricorso se sia stato specificamente allegato – e documentato – nel giudizio di merito l’effettivo esercizio della potestà genitoriale sul minore in capo al ricorrente, né quale sia il livello di integrazione socio-lavorativa di quest’ultimo in Italia, né quale sia la condizione giuridica della presenza in Italia della compagna (o moglie) nigeriana, limitandosi sul punto il ricorso ad affermare non utilmente che quest’ultima sarebbe ben integrata. Tali carenze non consentono al Collegio di verificare la sussistenza della violazione di legge lamentata.

5. Il rigetto del ricorso si impone dunque.

Nulla sulle spese in difetto di regolare costituzione della parte intimata.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 29 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 10 settembre 2021

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