Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24506 del 17/10/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 17/10/2017, (ud. 20/07/2017, dep.17/10/2017),  n. 24506

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13791-2016 proposto da:

P.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PORTUENSE

104, presso lo studio dell’avvocato ANTONIA DE ANGELIS,

rappresentato e difeso dall’avvocato MASSIMO CAMICIOLA;

– ricorrente –

contro

C.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BANCO DI S.

SPIRITO, 48, presso lo studio dell’avvocato AUGUSTO D’OTTAVI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato RAFFAELLA TONNI;

– controricorrente –

avverso il provvedimento n. 578/2015 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 04/05/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 20/07/2017 dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI.

Fatto

RITENUTO

che P.G., con ricorso affidato a tre motivi, ha impugnato la sentenza della Corte di appello di Ancona, in data 4 maggio 2015, che ne ha rigettato il gravame avverso la decisione del Tribunale di Macerata, la quale, a sua volta, aveva respinto l’opposizione, proposta dal medesimo P., avverso il decreto ingiuntivo emesso in favore C.E. per il pagamento della somma di Euro 103.291,37 (già Lire 200 milioni), complessivamente recata da tre assegni bancari;

che resiste con controricorso C.E..

che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata comunicata alle parti costituite, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio, in prossimità della quale il ricorrente ha depositato memoria;

che il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione semplificata.

Diritto

CONSIDERATO

che, con il primo mezzo, è dedotto omesso esame di fatto decisivo per il giudizio e discusso tra le parti, nonchè violazione dell’art. 2697 c.c., per aver la Corte territoriale ritenuto non censurabili in sede di impugnazione le valutazioni probatorie rese dal primo giudice in base a motivazione logica e corretta, senza tener conto della prova fornita da esso P. sulla restituzione della somma di Lire 30 milioni, quale parte del prestito di lire 200 milioni concessogli dal C.;

che il motivo è inammissibile, giacchè si appunta su una argomentazione resa dal giudice di appello solo “per completezza motivazionale” (e, quindi, ad abundantiam), senza censurare l’effettiva ratio decidendi della sentenza impugnata, ossia la non pertinenza al prestito di Lire 200 milioni della complessiva somma di Lire 30 milioni portata da tre assegni circolari consegnati al C. nel 1992, in epoca precedente al riconoscimento dell’intero debito (di Lire 2000 milioni) effettuato dal P. il 24 giugno 1993;

che, con il secondo mezzo, è dedotta “violazione di legge” (artt. 1967 e 2744 c.c. e art. 345 c.p.c.), in riferimento alla statuizione di tardività della “eccezione” di “nullità del patto commissorio ex art. 2744 c.c. – art. 1963 cc.” in relazione al trasferimento di area sita in (OMISSIS);

che il motivo è inammissibile per assoluta genericità, in quanto è carente di specifica e pertinente indicazione in ordine alla tempestività delle allegazioni a sostegno della asserita domanda (o eccezione) di nullità della compravendita per violazione del divieto di patto commissorio e alla relativa proposizione; carenza che non è affatto superata dagli stralci dell’atto di opposizione a decreto ingiuntivo inseriti (fotocopiando l’originale) a p. 11 del ricorso (da cui neppure emerge che detta domanda e/o eccezione sia stata proposta formalmente) ed alla quale non può ovviarsi con le deduzioni a p. 2 della memoria (che ha solo funzione illustrativa e non già emendativa o integrativa del ricorso), che, peraltro, divergono (in quanto evidenziano una domanda di nullità non presente originariamente) da quanto già riportato in ricorso, là dove, infine, si tace, comunque, su come la questione sia stata poi veicolata in sede di gravame;

che, peraltro, le censure omettono, in ogni caso, di impugnare specificamente l’effettiva e decisiva ratio decidendi della sentenza impugnata, ossia che mancava la prova “circa il fatto che il trasferimento avvenne per rafforzare la garanzia del P. alla restituzione di quanto ricevuto a mutuo”, incentrandosi le ulteriori critiche del ricorrente su una diversa lettura delle risultanze probatorie rispetto a quella fornita dal giudice del merito, al quale soltanto spetta la relativa valutazione;

che, con il terzo mezzo, è prospettata la violazione dell’art. 2943 c.c., per aver la Corte territoriale erroneamente respinto l’eccezione di prescrizione del credito vantato dal C.;

che il motivo è inammissibile, giacchè, per un verso, esso non contrasta affatto (art. 360-bis c.p.c.) la corretta applicazione in iure operata dalla Corte territoriale dei principi in materia di validità come promessa di pagamento degli assegni affetti da nullità per mancata indicazione delle data (tra le tante, Cass. n. 13949/2006e n. 25580/2011) e di ammissibilità della prova atipica nel giudizio civile (tra le altre, Cass. n. 20335/2004 e n. 1593/2017), mentre, per altro verso, introduce una questione – quella relativa alla invalidità della confessione stragiudiziale dello stesso P. in occasione dell’incontro del 24 giugno 1993 – che, in base a quanto emerge dalla sentenza impugnata, non risulta esser stata dedotta nel giudizio di merito e, quindi, è da ritenersi veicolata per la prima volta in questa sede, così da palesarsi come questione nuova (e, dunque, inammissibile), non avendo il ricorrente indicato in quale atto del giudizio di merito l’abbia in ipotesi sollevata (tra le altre, Cass. n. 20518/2008);

che il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile e il ricorrente condannato al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo in conformità ai parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014.

PQM

 

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, in favore della parte controricorrente, in Euro 6.000,00, per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del citato art. 13, comma 1 bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta civile – 3 della Corte suprema di Cassazione, il 20 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 17 ottobre 2017

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