Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24503 del 17/10/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 17/10/2017, (ud. 30/03/2017, dep.17/10/2017),  n. 24503

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14621/2016 proposto da:

P.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso da se

medesimo;

– ricorrente –

contro

B.P.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2044/2015 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 23/12/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 30/03/2017 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO

SCARANO.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 2044 del 2015 la Corte d’Appello di Bari ha respinto il gravame interposto dal sig. P.G. in relazione alla pronunzia Trib. Bari n. 2653 del 2010 di accoglimento della domanda nei suoi confronti proposta dal sig. B.P. di risarcimento dei danni lamentati per non avere, nella sua qualità di avvocato, messo in esecuzione “una cambiale da Lire 8.000.000 emessa dalla Signora D.P.A.”.

Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito il P. propone ora ricorso per cassazione, affidato ad unico motivo, illustrato da memoria.

L’intimato non ha svolto attività difensiva.

E’ stata comunicata al P.G. e notificata ai difensori delle parti costituite proposta ex art. 380 bis c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con unico motivo il ricorrente denunzia “omesso ed errato accertamento sul corretto contraddittorio processuale. Violazione e falsa applicazione delle norme di diritto in materia di costituzione in giudizio del convenuto e diritto di difesa”.

Il ricorso è inammissibile.

Il motivo risulta formulato in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, atteso il ricorrente pone a suo fondamento atti e documenti del giudizio di merito (es., l'”atto di citazione in riassunzione notificato il 19/25.11.2005″, l'”atto di appello”, l'”attestazione rilasciata dal funzionario responsabile della Cancelleria Centrale Civile del Tribunale di Bari… in data 30.01.2006″) limitandosi meramente a richiamarli, senza invero debitamente – per la parte d’interesse in questa sede – riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie ai fini della relativa individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte Suprema di Cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (v., da ultimo, Cass., 16/3/2012, n. 4220), con precisazione (anche) dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, e se essi siano stati rispettivamente acquisiti o prodotti (anche) in sede di giudizio di legittimità (v. Cass., 23/3/2010, n. 6937; Cass., 12/6/2008, n. 15808; Cass., 25/5/2007, n. 12239, e, da ultimo, Cass., 6/11/2012, n. 19157), la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (cfr., da ultimo, Cass., Sez. Un., 19/4/2016, n. 7701).

A tale stregua non deduce le formulate censure in modo da renderle chiare ed intellegibili in base alla lettura del solo ricorso, non ponendo questa Corte nella condizione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il relativo fondamento (v. Cass., 18/4/2006, n. 8932; Cass., 20/1/2006, n. 1108; Cass., 8/11/2005, n. 21659; Cass., 2/81/2005, n. 16132; Cass., 25/2/2004, n. 3803; Cass., 28/10/2002, n. 15177; Cass., 12/5/1998 n. 4777) sulla base delle sole deduzioni contenute nel medesimo, (v. Cass., 24/3/2003, n. 3158; Cass., 25/8/2003, n. 12444; Cass., 1/2/1995, n. 1161).

Non sono infatti sufficienti affermazioni – come nel caso -apodittiche, non seguite da alcuna dimostrazione (v. Cass., 21/8/1997, n. 7851).

Va per altro verso sottolineato che non risulta invero idoneamente censurata la ratio decidendi dell’impugnata sentenza secondo cui “lungi dall’attenersi alla prescrizione di specificità, non ha indicato quali gli errori inficianti il percorso logico argomentativo seguito dal primo giudice, ma, anzichè contrapporre alle argomentazioni svolte nella sentenza quelle proprie, volte ad incrinare il fondamento logico-giuridico delle prime, le ha ignorate, limitandosi ad affermare apoditticamente mancare la prova della consegna del titolo (mentre nella sentenza impugnata si dà atto essere tale consegna avvenuta in presenza dell’avv. Gianluca Clary, che ha confermato la circostanza in sede testimoniale) e della attribuibilità a sè del ritiro della cambiale (a fronte della firma: ” P.G.” per avvenuto ritiro, apposta sul registro delle procedure esecutive mobiliari del Tribunale di Lucera e della deposizione dell’omonimo cugino)”.

Risulta a tale stregua dal ricorrente non osservato il consolidato principio secondo cui è sufficiente che anche una sola delle rationes decidendi su cui si fonda la decisione impugnata non abbia formato oggetto di censura (ovvero sia stata respinta) perchè il ricorso (o il motivo di impugnazione avverso il singolo capo di essa) debba essere rigettato nella sua interezza (v. Cass., Sez. Un., 8/8/2005, n. 16602), non già per carenza di interesse, come pure si è da questa Corte sovente affermato (v. Cass., 11/2/2011, n. 3386; Cass., 12/10/2007, n. 21431; Cass., 18/9/2006, n. 20118; Cass., 24/5/2006, n. 12372; Cass., Sez. Un., 8/8/2005, n. 16602), quanto bensì per essersi formato il giudicato in ordine alla ratio decidendi non censurata (v. Cass., 27/12/2016, n. 27015; Cass., 22/9/2011, n. 19254: Cass., 11/1/2007, n. 1658; Cass., 13/7/2005, n. 14740).

Emerge evidente, a tale stregua, come lungi dal denunziare vizi della sentenza gravata rilevanti sotto i ricordati profili, le deduzioni del ricorrente, oltre a risultare formulate secondo un modello difforme da quello delineato all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, in realtà si risolvono nella mera doglianza circa la dedotta erronea attribuzione da parte del giudice del merito agli elementi valutati di un valore ed un significato difformi dalle sue aspettative (v. Cass., 20/10/2005, n. 20322), e nell’inammissibile pretesa di una lettura dell’asserto probatorio diversa da quella nel caso operata dai giudici di merito (cfr. Cass., 18/4/2006, n. 8932).

Per tale via in realtà sollecita, cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici di merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443).

Non è a farsi luogo a pronunzia in ordine alle spese di giudizio di Cassazione, non avendo l’intimato svolto attività difensiva.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, come modif. dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 30 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 17 ottobre 2017

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