Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24501 del 30/11/2016


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Cassazione civile sez. VI, 30/11/2016, (ud. 06/10/2016, dep. 30/11/2016), n.24501

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29990-2014 proposto da:

G.L., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato CLARA

MENICHELLA giusta procura speciale in calce al ricorso; (ammesso al

G.P.);

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

suo legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’AVVOCATURA CENTRALE

DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati EMANUELA

CAPANNOLO, CLEMENTINA PULLI, MAURO RICCI giusta procura speciale a

margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5710/2014 del TRIBUNALE di FOGGIA, depositata

il 22/05/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

06/10/2016 dal Consigliere Relatore Dott. PAGETTA ANTONELLA;

udito l’Avvocato Pulli Clementina difensore del controricorrente che

si riporta agli scritti.

Fatto

FATTO E DIRITTO

In esito a dichiarazione di dissenso rispetto alle conclusioni del consulente tecnico officiato nel procedimento per accertamento tecnico preventivo ai sensi dell’art. 445 bis c.p.c., G.L. proponeva ricorso al giudice del Tribunale di Foggia, ai sensi dell’art. 445 bis cit., comma 6.

Il ricorso era respinto sul rilievo della ritenuta correttezza della relazione del consulente tecnico d’ufficio nominato nel procedimento per ATP, alla stregua della quale doveva escludersi la sussistenza delle condizioni giustificative per il riconoscimento della indennità di accompagnamento.

Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso G.L. sulla base di un unico motivo. L’INPS ha resistito con tempestivo controricorso.

Con l’unico motivo, articolato in più profili, parte ricorrente ha dedotto violazione e falsa applicazione di norme di diritto nonchè omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 111 Cost., comma 7, ed alla L. n. 222 del 1984, art. 1.

esposto che il ricorso ex art. 445 bis c.p.c., era inteso al conseguimento dell’assegno ordinario di invalidità L. n. 222 del 1984, ex art. 1, e, in caso di aggravamento in corso di causa, al riconoscimento del diritto alla pensione di cui alla L. cit. art. 2, prestazione. Ha evidenziato che, nonostante il giudizio di accertamento tecnico preventivo vertesse sulla sussistenza del requisito sanitario relativo alle richiamate prestazioni, il Tribunale aveva fatto riferimento all’indennità di accompagnamento. Ha quindi censurato la decisione per avere prestato acritica adesione alle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio.

Il Consigliere relatore, nella relazione depositata ai sensi degli artt. 375 e 380 bis c.p.c., ha concluso per il rigetto del ricorso.

Il Collegio condivide la proposta del relatore e ritiene che il ricorso debba essere respinto con statuizione di inammissibilità.

Giova premettere che, nonostante nell’illustrazione del motivo parte ricorrente faccia espresso riferimento alla circostanza che il Tribunale aveva individuato erroneamente la prestazione in relazione alla quale era stato attivato il procedimento ex art. 445 bis c.p.c., (indennità di accompagnamento in luogo dell’assegno ordinario di invalidità), a tale allegazione non viene fatta corrispondere alcuna specifica censura, intesa a ricondurre la non corretta individuazione della prestazione oggetto di causa ad un vizio della sentenza impugnata denunciabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1.

Il ricorrente, infatti, si limita ad assumere l’errore del giudicante esclusivamente quale sintomatico della superficialità con cui il Tribunale aveva verificato i fatti e gli atti di causa sottoposti alla sua attenzione. (v. ricorso, pag. 3).

Invero, i motivi di critica sviluppati in ricorso investono la adesione prestata dalla sentenza impugnata alla relazione peritale, relazione che – si assume – avrebbe valutato in maniera non adeguata il complesso patologico sofferto dal periziato, trascurando di richiedere alcuni accertamenti strumentali, indispensabili al fine della corretta diagnosi; avrebbe inoltre non correttamente valutato il profilo attinente alle occupazioni confacenti alle attitudini.

Tali doglianze non sono idonee alla valida censura della decisione.

In relazione alla nuova configurazione del motivo di ricorso per cassazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame in ragione della data di pubblicazione – il 20 novembre 2014 – della sentenza impugnata, le Sezioni unite di questa Corte hanno chiarito che “la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione”. (Cass. ss.uu. n. 8053 del 2014) In particolare è stato precisato che il controllo previsto dal nuovo n. 5) dell’art. 360 c.p.c. concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). In conseguenza la parte ricorrente sarà tenuta ad indicare, nel rigoroso rispetto delle previsioni, di cui agli artt. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), – il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale (emergente dalla sentenza) o extratestuale (emergente dagli atti processuali), da cui ne risulti l’esistenza, il come e il quando (nel quadro processuale) censure articolate non sono coerenti con tali indicazioni; le critiche alla sentenza impugnata si limitano ad esprimere un mero dissenso diagnostico rispetto alle conclusioni attinte dal ctu e condivise dal giudicante, dissenso concretante un’inammissibile critica del convincimento del giudice (Cass. ord. n. 1652 del 2012), senza individuare alcun fatto storico, nel senso sopra precisato, avente carattere decisivo ed oggetto di discussione tra le parti il cui esame sia stato omesso dal consulente nella relazione peritale condivisa dal Tribunale. Parimenti inammissibile per la sua genericità risulta la ulteriore deduzione di violazione del principio del giusto processo ex art. 111 c.p.c., comma 7, affidata alla considerazione che “non può che evidenziarsi l’ostinazione con la quale è intervenuto il legislatore ordinario in una materia così delicata”.

In base alle considerazioni che precedono il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Le spese di lite, liquidate come da dispositivo sono regolate secondo soccombenza.

L’ammissione dell’odierno ricorrente al patrocinio a spese dello Stato esclude l’obbligo al versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, (Cass. 18523 del 2014).

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in Euro 2.500,00 per compensi professionali, Euro 100,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15%, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 6 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 30 novembre 2016

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