Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24500 del 17/10/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 17/10/2017, (ud. 16/03/2017, dep.17/10/2017),  n. 24500

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22191/2015 proposto da:

C.S., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA PRATI

DEGLI STROZZI 22, presso lo studio dell’avvocato MARIA FRANCESCA

FERA, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

ENTE REGIONALE PER L’ABITAZIONE PUBBLICA DELLE MARCHE – PRESIDIO DI

PESARO-URBINO, C.F. e P.I. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

GENNARO SOMMELLIER 28, presso lo studio dell’avvocato ELEONORA

NOCITO, rappresentato e difeso dall’avvocato IDA CANTARINI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 603/2015 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 12/05/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 16/03/2017 dal Consigliere Dott. GABRIELE POSITANO.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

Il Tribunale di Pesaro, con sentenza del 25 febbraio 2014, accoglieva l’opposizione proposta da C.S. avverso il decreto di rilascio emesso da Erap Marche, Presidio di Pesaro e Urbino, per la detenzione senza titolo di un alloggio, rilevando che la C., separata da P., intestatario dell’alloggio aveva, dapprima, abbandonato l’immobile a seguito della separazione e, successivamente, ripreso la convivenza, pochi mesi prima del decesso dell’intestatario, con ciò ricostruendo la comunione morale e materiale con il marito. Avverso tale decisione proponeva appello Erap Marche, deducendo l’insussistenza del presupposto del ripristino della convivenza;

con sentenza del 12 maggio 2015 la Corte d’Appello di Ancona accoglieva l’appello e, in riforma della sentenza impugnata, rigettava l’opposizione avverso il decreto di rilascio, con condanna dell’appellata al pagamento delle spese;

avverso tale decisione propone ricorso per cassazione la C. sulla base di tre motivi; resiste in giudizio l’Erap con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

con il primo motivo la ricorrente deduce violazione o falsa applicazione dell’art. 434 c.p.c., n. 1, ovvero omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, rappresentato dalla dedotta inammissibilità del ricorso in appello di Erap, per difetto di specificità dei motivi. Pur trattandosi di fatto decisivo la Corte territoriale avrebbe omesso ogni valutazione sul punto;

con il secondo motivo deduce la violazione o la falsa applicazione dell’art. 157 c.c., in quanto gli effetti della separazione dovevano ritenersi cessati sulla base di un comportamento concludente determinato dalla stabile convivenza presso l’alloggio del P.: la Corte territoriale avrebbe dovuto attribuire valore agli elementi esteriori, tesi a dimostrare la volontà dei coniugi di ripristinare la comunione di vita, piuttosto che ad elementi caratterizzati da imponderabile soggettività;

con il terzo motivo lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo, costituito dalle risultanze probatorie del giudizio di primo grado in ordine all’avvenuto ripristino della convivenza. In particolare, le dichiarazioni dei testimoni non sarebbero state adeguatamente valutate dalla Corte territoriale al fine di ritenere provato il ripristino della convivenza;

preliminarmente è infondata la eccezione di inammissibilità del ricorso perchè notificato alla parte personalmente e non presso il difensore costituito (Cass. 17404/2002) sollevata dal controricorrente, sia perchè con la costituzione in giudizio il vizio è sanato, sia perchè dalle risultanze processuali emerge che il ricorso è stato notificato all’Erap presso il difensore, avvocato Bodoni;

il primo motivo, che pure presenta profili di inammissibilità attesa l’irrituale deduzione del vizio, che avrebbe dovuto essere fatto valere ex art. 112 c.p.c. e art. 360 c.p.c., n. 4, è infondato. La ricorrente sostanzialmente deduce che la Corte d’Appello non avrebbe provveduto in ordine all’eccezione di inammissibilità dell’appello, fondata sulla circostanza che il testo dell’atto risultava costituito da copie non ordinate nelle singole pagine e questo avrebbe impedito di valutare le conclusioni dell’appellante, le censure e le richieste. Va rilevato che tale vizio non incide sulla validità dell’atto, trovando applicazione il principio in tema di ritualità del ricorso secondo cui, la mancanza “di una o più pagine non comporta l’inammissibilità del ricorso, ma costituisce vizio della notifica sanabile, con efficacia “ex tunc”, mediante nuova notifica di una copia integrale, su iniziativa dello stesso ricorrente o entro un termine fissato dalla Corte di cassazione, ovvero per effetto della costituzione dell’intimato” (Sez. U, Sentenza n. 18121 del 14/09/2016, Rv. 641080-01). Pertanto, oltre alla efficacia sanante della costituzione, la ricorrente non individua la decisività delle deduzioni non esaminate (Cass. 11977/13) omettendo di trascrivere le parti contestate e di specificare, in concreto, che le omissioni rappresentavano profili essenziali. In sostanza, difetta la prova che le criticità dell’atto di appello, nei termini genericamente illustrati nel ricorso, abbiano reso incomprensibile l’atto (Cass. 8095/12);

il secondo motivo è manifestamente infondato, attesa la necessità dell’ulteriore presupposto fattuale, non valutabile in questa sede, del ripristino della comunione di vita ed intenti, oltre alla mera coabitazione (Cass. 19533/14). Sotto tale profilo le censure non colgono nel segno e, quindi, sono viziate da difetto di specificità, poichè la ricorrente non deduce elementi idonei a rappresentare una reale comunione di vita e di intenti, quale elemento ulteriore rispetto alla semplice coabitazione;

il terzo motivo è inammissibile, perchè non è consentito sulla base del nuovo testo dell’art. 360, n. 5, applicabile al caso di specie (la sentenza di appello è successiva all’anno 2012) valutare la congruità della motivazione riguardo al profilo della prova dell’esistenza di una effettiva comunione di vita e di intenti tra i coniugi;

ne consegue che il ricorso deve essere rigettato; le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza, dandosi atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1,comma 17: “Quando l’impugnazione, anche incidentale, è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma del comma 1-bis. Il giudice dà atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l’obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso”.

PQM

 

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese in favore del controricorrente, liquidandole in Euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta della Corte Suprema di Cassazione, il 16 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 17 ottobre 2017

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