Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 245 del 10/01/2017

Cassazione civile, sez. III, 10/01/2017, (ud. 21/10/2016, dep.10/01/2017),  n. 245

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI AMATO Sergio – Presidente –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1485-2014 proposto da:

M.V., M.E., M.G., MA.EM.,

considerati ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato SEBASTIANO

SANGUEDOLCE giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

G.D., MA.SU., elettivamente domiciliati in

ROMA, PIAZZA DI PIETRA 26, presso lo studio dell’avvocato DANIELE

MESSINA, rappresentati e difesi dall’avvocato SALVATORE PETRUCCI

giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrenti –

e contro

B.M., + ALTRI OMESSI

– intimati –

avverso la sentenza n. 1665/2012 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 21/11/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/10/2016 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA CIRILLO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per l’inammissibilità, in

subordine rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. M.G. e O.F. convennero in giudizio, davanti al Tribunale di Palermo, A. e A.G., B.M., G.D., Ma.Su., G.L., A. e C.M.C., chiedendo che fossero tutti condannati al risarcimento dei danni subiti dal loro immobile, adibito ad attività di officina, a causa di ripetute fuoriuscite di acqua e liquami dai tubi di adduzione degli appartamenti di proprietà dei convenuti, siti al primo e secondo piano del medesimo edificio dove si trovava l’immobile degli attori.

Si costituirono in giudizio i convenuti, chiedendo il rigetto della domanda.

Espletata l’istruttoria anche tramite lo svolgimento di una c.t.u., il Tribunale accolse la domanda, dichiarò che i danni erano conseguenza delle perdite derivanti dagli appartamenti dei convenuti e li condannò in solido al pagamento della somma di Euro 12.026,99 a titolo di risarcimento danni, oltre rivalutazione ed interessi e con il carico delle spese, nonchè ad apportare ai loro impianti tutte le riparazioni necessarie ad evitare il ripetersi dei fatti dannosi.

2. La pronuncia è stata appellata dai soli convenuti G.D. e Ma.Su. e il giudizio stato interrotto per la morte di O.F. e poi riassunto; indi, rigettata la richiesta di una ulteriore c.t.u, la Corte d’appello di Palermo, con sentenza del 21 novembre 2012, in parziale riforma di quella di primo grado, ha rigettato la domanda risarcitoria proposta dal M. nei confronti degli appellanti G. e Ma., compensando le spese di entrambi i gradi di giudizio.

Ha osservato la Corte territoriale che appariva inutile la nomina di un nuovo c.t.u., posto che le parti avevano concordemente riconosciuto che lo stato dei luoghi era nel frattempo mutato. Richiamando le conclusioni cui era giunto il c.t.u. nominato dal Tribunale, la Corte d’appello ha rilevato che era “circostanza pacifica” che la causa dei danni fosse da attribuire alle perdite provenienti dalle tubazioni di scarico dei piani superiori. Tuttavia, poichè dalla stessa c.t.u. nulla risultava “in ordine all’identità dei soggetti processuali cui appartenevano, all’epoca dei fatti in questione, le tubazioni lese che hanno determinato le infiltrazioni di acqua e dei liquami”, mancava la prova che i danni oggetto di causa fossero riconducibili anche alle tubazioni di scarico appartenenti agli appellanti G. e Ma., con conseguente accoglimento dell’appello da questi ultimi proposto.

3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Palermo propongono ricorso G., V., E. ed Ma.Em., con unico atto affidato a tre motivi.

Resistono C.D. e Ma.Su. con un unico controricorso affiancato da memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), violazione e falsa applicazione degli artt. 2051 e 2697 c.c., degli artt. 115 e 116 c.p.c. oltre ad omessa e insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia prospettato dalle parti e rilevabile d’ufficio.

Rilevano i ricorrenti che la loro pretesa risarcitoria si fondava, fin dal giudizio di primo grado, sulla violazione dell’obbligo di custodia di cui all’art. 2051 c.c.. Le testimonianze assunte, in parte trascritte nel motivo in esame, avevano consentito di accertare che i tubi dai quali erano derivate le perdite appartenevano anche ai convenuti G. e Ma.; la sentenza, quindi, rigettando la domanda nei confronti di costoro, avrebbe “stravolto il sostrato probatorio” oltre ad essere intrinsecamente contraddittoria, posto che ha riconosciuto come circostanza pacifica il fatto che i danni derivavano dalle perdite derivanti dai tubi di scarico siti ai piani superiori dello stabile.

2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

La censura, ribadendo le ragioni di contraddittorietà già esposte riguardo al motivo precedente, osserva che la sentenza sarebbe il frutto dell’omesso esame dei documenti esistenti in atti (verbale del Comando dei Vigili del fuoco ed ordinanza del Sindaco di Palermo) e delle deposizioni testimoniali (testi S. e L.), dalle quali risulterebbe in modo chiaro che il G. aveva fatto riparare i tubi del proprio appartamento, in tal modo dimostrando che gli stessi appartenevano a lui.

3. I due motivi, da trattare insieme in quanto tra loro strettamente connessi, sono privi di fondamento quando non inammissibili.

Occorre innanzitutto rilevare che la presunta violazione dell’art. 2051 c.c. contiene profili di probabile novità, atteso che la domanda giudiziale, per come è inquadrabile in base alla sentenza impugnata ed al ricorso, sembra essere stata prospettata piuttosto in termini di violazione del principio generale di cui all’art. 2043 c.c.. Ad ogni modo, ove anche il giudizio fosse stato intrapreso ai sensi dell’art. 2051 cit., è pacifico che la giurisprudenza di questa Corte pone a carico del danneggiato l’onere di provare l’esistenza del nesso di causalità tra la cosa in custodia e il danno. Nella specie, la sentenza della Corte d’appello è pervenuta al rigetto della domanda risarcitoria sulla base del rilievo, considerato decisivo, per cui non era stata dimostrata l’appartenenza delle tubazioni lese, dalle quali era stata generata la fuoriuscita dei liquami, ai singoli condomini convenuti in giudizio dai danneggiati.

A fronte di simile motivazione, i due motivi tendono in modo palese ad ottenere in questa sede un nuovo e non consentito esame del merito. Il secondo motivo, in particolare, richiamando alcuni documenti, trascritti in ricorso, asseritamente non esaminati o non correttamente valutati dalla Corte d’appello, non considera che, in relazione al testo vigente dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), la censura di vizio di motivazione non può connettersi all’omesso esame di elementi istruttori, una volta che il fatto storico è stato comunque esaminato dal giudice di merito (Sezioni Unite, sentenza 8 aprile 2014, n. 8053).

D’altra parte, come le Sezioni Unite di questa Corte hanno ribadito nella sentenza 16 febbraio 2016, n. 2951, la titolarità della posizione soggettiva, attiva o passiva, vantata in giudizio è un elemento costitutivo della domanda che attiene al merito della decisione, per cui spetta comunque a chi agisce allegarla e provarla.

4. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116 e 196 c.p.c. oltre ad omessa e insufficiente motivazione circa il rigetto della richiesta di ammissione di una consulenza tecnica d’ufficio.

Osservano i ricorrenti che la Corte di merito, una volta accertato che la c.t.u. espletata non era in grado di rispondere in modo adeguato ai quesiti, avrebbe dovuto disporre il rinnovo delle indagini tecniche, come richiesto.

4.1. Il motivo non è fondato.

Fermo il principio, pacifico nella giurisprudenza di questa Corte, per cui la decisione circa la necessità o meno di disporre una c.t.u. è rimessa al giudice di merito, non essendo la c.t.u. un mezzo di prova, si osserva che la Corte d’appello ha motivato anche le ragioni della inutilità di un’ulteriore c.t.u., essendo stato modificato lo stato dei luoghi, come non contestato tra le parti.

5. Il ricorso, pertanto, è rigettato.

Ritiene la Corte che, in considerazione del diverso esito dei due giudizi di merito, sussistono ragioni per compensare integralmente tra le parti le spese del giudizio di cassazione.

Sussistono tuttavia le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e compensa integralmente le spese del giudizio di cassazione.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 21 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 10 gennaio 2017

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