Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24499 del 21/11/2011

Cassazione civile sez. lav., 21/11/2011, (ud. 27/10/2011, dep. 21/11/2011), n.24499

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. MAISANO Giulio – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 21401-2007 proposto da:

M.A., in proprio e quale coerede della sig.ra M.

M.K. unitamente all’altro erede MI.RI., a

loro volta eredi di M.A., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA CRESCENZIO 20, presso lo studio dell’avvocato TRALICCI

GINA, che li rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrenti –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati RICCIO

ALESSANDRO, BIONDI GIOVANNA, PULLI CLEMENTINA, VALENTE NICOLA, giusta

delega in atti;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 4402/2006 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 31/08/2006 r.g.n. 1524/03;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/10/2011 dal Consigliere Dott. ROSSANA MANCINO;

udito l’Avvocato LUIGI CALIULO per delega RICCIO ALESSANDRO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con sentenza del 31 agosto 2006, la Corte d’Appello di Roma respingeva il gravame svolto da M.K.M. contro la sentenza di primo grado che aveva rigettato la domanda del dante causa volta al riconoscimento ai fini contributivi dei periodi di militarizzazione svolti dal dante causa nelle miniere d’Arsia.

2. La Corte territoriale informava la decisione alla giurisprudenza di legittimità secondo cui in tema di prestazioni previdenziali vigono i principi, desumibili dalla L. 30 aprile 1969, n. 153, art. 49, comma 2, dell’alternatività e non cumulabilità delle prestazioni stesse, in forza dei quali non è consentito che più prestazioni siano acquisite con riferimento ad uno stesso periodo e da parte di un medesimo soggetto, con la conseguenza che, ove un lavoratore abbia svolto attività lavorativa come “militarizzato”e per tale attività abbia maturato una contribuzione effettiva, non può, in suo favore e per il medesimo periodo, essere riconosciuta la contribuzione figurativa. Nè, con riferimento alla posizione dei lavoratori italiani “militarizzati”, che abbiano successivamente acquisito la nazionalità iugoslava, alla luce della Convenzione tra Italia e Jugoslavia del 14 novembre 1957 sulle assicurazioni sociali, resa esecutiva in Italia con L. n. 885 del 1960, poteva ipotizzarsi alcun pregiudizio a causa del mancato riconoscimento, nell’ordinamento previdenziale italiano, del periodo svolto in qualità di “militarizzato”, giacchè la citata convenzione prescrive che quel periodo sia preso in considerazione, ai fini della liquidazione della pensione, dagli istituti previdenziali iugoslavi ove si tratti di cittadini italiani che, come nella specie, abbiano acquisito la nazionalità iugoslava a seguito del Trattato di pace tra i due Stati.

3. Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale, M. A., in proprio e quale coerede di M.K.M., e unitamente all’altro erede Mi.Ri., a loro volta eredi di M.A., hanno proposto ricorso per cassazione fondato su due motivi. L’INPS ha resistito con controricorso, illustrato con memoria, eccependo l’inammissibilità del ricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

4. Con il primo motivo di ricorso i ricorrenti, denunciando violazione dell’art. 112 c.p.c. e vizio di motivazione, si dolgono che la corte di merito, sul gravame proposto avverso la declaratoria di inammissibilità del ricorso di primo grado, abbia omesso di esaminare il motivo d’impugnazione e abbia pronunciato nel merito con motivazione inconferente rispetto ai motivi di gravame pretermessi, fondati sulla dedotta carenza di identità tra i due giudizi proposti, l’uno, da M. contro l’INPS, concernente il riconoscimento, ai fini della quantificazione della pensione di reversibilità, del periodo lavorato dal de cuius presso le miniere di Arsia come militarizzato, l’altro, dagli eredi M. avente per oggetto il diritto alla pensione di vecchiaia del de cuius. Il motivo si conclude con la formulazione del quesito di diritto.

5. Preliminarmente va esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dall’INPS per due distinti profili. Il primo profilo, il cui esame è, a sua volta, preliminare, concerne la proposizione del ricorso per cassazione da parte di M.A., in proprio e quale coerede di M.K.M., unitamente all’altro erede, Mi.Ri., a loro volta eredi di M. A., soggetti che non hanno assunto la qualità di parte nei pregressi gradi di merito e la cui allegata qualità di eredi, di M.K.M.) a e, a loro volta, di M.A., non risulterebbe provata in nessun modo.

6. Osserva il Collegio che alla stregua del consolidato orientamento di questa Corte di legittimità incombe a chi ricorre per cassazione, nell’asserita qualità di erede della persona che fece parte del precedente giudizio di merito, l’onere di dare la prova – per mezzo delle produzioni documentali consentite dall’art. 372 c.p.c. – del decesso della parte originaria, nonchè della propria asserita qualità, vale a dire dei presupposti che dovrebbero legittimare la successione nel processo e, quindi, la proposizione dell’impugnazione in proprio nome, con la conseguenza che in difetto di tale prova il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per mancanza di prova della legittimazione ad impugnare (ex multis, Cass. 1943/2011;

Cass.3756/2002).

7. Nella specie i ricorrenti hanno depositato, unitamente al ricorso per cassazione, la documentazione di rito dalla quale poter evincere il decesso della de cuius, la conseguente apertura della successione e la delazione dell’eredità in loro favore, risultando così assolto, nel giudizio di legittimità, l’onere probatorio in ordine alla qualità di eredi delle parti ricorrenti, onde l’infondatezza dell’eccezione sollevata dall’INPS. 8. Il secondo profilo investe l’erronea indicazione del numero della sentenza impugnata nell’epigrafe del ricorso, sentenza mai richiamata nè nelle conclusioni, nè nello svolgimento dello stesso, nè nell’elenco degli allegati che segue le dette conclusioni. Al riguardo osserva il Collegio che, come questa Corte ha più volte affermato, “l’erronea indicazione del numero della sentenza impugnata non è causa di inammissibilità del ricorso per cassazione” (v.

Cass. S.U. 15603/2001), essendo questa “configurabile soltanto se la parte cui il ricorso è diretto non abbia elementi sufficienti per individuare inequivocabilmente la sentenza o la decisione impugnata” (v., ex multis, Cass. 7053/2009).

9. Nella specie la parte intimata, cui il ricorso era diretto, aveva elementi sufficienti, nel corpo dell’atto d’impugnazione, per individuare inequivocabilmente la sentenza impugnata n.4402/06 della Corte capitolina, pronunciata sul gravame avverso la sentenza n. 8462/02 del locale giudice di prime cure.

10. Tanto premesso, l’esame del ricorso con il quale si denuncia un errar in procedendo è precluso dall’inidoneità del quesito formulato a corredo del motivo d’impugnazione, quesito che, per il tenore dell’enunciazione – “dica la Suprema corte se sia obbligo del Giudice di appello pronunciarsi sul reale motivo di grame irecte gravame) proposto in relazione alla motivazione di rigetto della sentenza di primo grado impugnata” – non si informa alle prescrizioni dell’art. 366-bis c.p.c. applicabile ratione temporis, trattandosi di impugnazione avverso una sentenza pubblicata dopo il 2 marzo 2006, data dalla quale si applicano le modifiche al processo di cassazione introdotte dal D.Lgs. n. 40 del 2006 e in vigore fino al 4 luglio 2009 (L. n. 69 del 2009, art. 47, comma 1, lett. d e art. 58, comma 5; ex multis, Cass. 7119/2010; Cass. 20323/2010).

11. Invero, il motivo di ricorso per cassazione con cui si denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c. da parte del giudice di merito deve essere concluso in ogni caso con la formulazione di un quesito di diritto, ai sensi dell’art. 366-bis c.p.c. (ex multis, Cass. 4146/2011), quesito che non può limitarsi all’enunciazione generica e meramente ripetitiva della regola della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, inidonea ad assumere rilevanza ai fini della riconducibilità della violazione alla fattispecie esaminata, nè può omettere di precisare su quale questione il giudice aveva omesso di pronunciare o aveva pronunciato oltre i limiti della domanda.

12. La funzione propria del quesito di diritto, da formularsi a pena di inammissibilità del motivo proposto, è di far comprendere alla Corte di legittimità, dalla lettura del solo quesito, inteso come sintesi logico-giuridica della questione, l’errore di diritto o, come nella specie, l’errar in procedendo asseritamente compiuto dal giudice di merito e quale sia, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare, suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata (ex multis, Cass. 8463/2009).

13. Il quesito deve, in definitiva, investire la ratio decidendi della sentenza impugnata, proponendone una alternativa e di segno opposto (ex multis, Cass. 4044/2009).

14. Per le esposte considerazioni il ricorso va dichiarato inammissibile.

15. Nulla deve disporsi per le spese del presente giudizio ai sensi dell’art. 152 disp. att. c.p.c., nel testo anteriore all’entrata in vigore del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 42, comma 11, conv.

in L. 24 novembre 2003, n. 326, nella specie inapplicabile ratione temporis, infatti le limitazioni di reddito per la gratuità del giudizio introdotte da tale ultima norma non sono applicabili ai processi il cui ricorso introduttivo del giudizio sia stato depositato, come nella specie, anteriormente al 2 ottobre 2003 (ex multis, Cass. 4165/2004; S.U. 3814/2005).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; nulla spese.

Così deciso in Roma, il 27 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 21 novembre 2011

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