Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24498 del 30/11/2016


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Cassazione civile sez. VI, 30/11/2016, (ud. 06/10/2016, dep. 30/11/2016), n.24498

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – rel. Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6413-2015 proposto da:

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale procuratore

speciale della SOCIETA’ DI CARTOLARIZZAZIONE DEI CREDITI INPS (SCCI)

SPA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29,

presso l’AVVOCATURA CENTRALE DELL’ISTITUTO rappresentato e difeso

dagli avvocati CARLA D’ALOSIO, EMANUELE DE ROSE, LELIO MARITATO,

ANTONINO SGROI giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

COSTRUZIONI METALLICHE PREFABBRICATE SRL;

– intimata –

avverso la sentenza n. 165/2014 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 27/02/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

06/10/2016 dal Consigliere Relatore Dott. GIULIO FERNANDES;

udito l’Avvocato Giuseppe Matano (delega avvocato Antonino Sgroi)

difensore del ricorrente che insiste per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Con sentenza del 27 febbraio 2014 la Corte di Appello di L’Aquila confermava la decisione del Tribunale di Teramo che aveva accolto l’opposizione proposta dalla Costruzioni Metalliche Prefabbricate s.r.l. alla cartella di pagamento con la quale l’INPS aveva chiesto il pagamento della somma di Euro 149.659,05 a titolo di contributi previdenziali omessi e somme aggiuntive.

Vale precisare che la pretesa contributiva dell’istituto traeva origine dal verbale ispettivo del 31 ottobre 2006 con il quale veniva rilevata la natura subordinata dei rapporti di lavoro instaurati con tre lavoratori già dipendenti della società e collocati a riposo – i quali erano stati impiegati dalla medesima società dapprima con contratti d’opera e, poi, a decorrere dal 1 ottobre 2004, con contratti a progetto.

Orbene la Corte territoriale rilevava che dalla istruttoria espletata era emerso che le modalità di svolgimento dei rapporti erano tali che effettivamente non sussistevano le caratteristiche proprie del rapporto di lavoro subordinato.

Per la cassazione di tale decisione propone ricorso l’INPS affidato ad un unico motivo.

La Costruzioni Metalliche Prefabbricate s.r.l. è rimasta intimata.

E’ stata depositata relazione ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., contenente la proposta di rigetto del ricorso.

Sono seguite le rituali comunicazioni e notifica della suddetta relazione, unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in Camera di consiglio.

Con l’unico motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 61, art. 69, commi 1, 2 e 3, nonchè degli artt. 2728 e 2729 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3) per avere la Corte di appello erroneamente ritenuto che non ricorresse la nullità dei contratti a progetto sottoscritti dai tre lavoratori – con conseguente conversione degli stessi in rapporti di lavoro a tempo indeterminato – benchè in essi non fosse stato indicato alcun progetto.

Il Collegio, dissentendo dalla proposta di cui alla relazione ex art. 380 bis c.p.c., ritiene il motivo fondato.

Dalla lettura della impugnata sentenza emerge che il giudice del gravame ha tenuto conto del “nomen iuris” dei contratti sottoscritti dai lavoratori ritenendo che in considerazione delle modalità di svolgimento in concreto del rapporto, non si potessero configurare rapporti di lavoro subordinati – come, invece sostenuto dall’INPS.

Tale argomentare non può essere condiviso in quanto viene del tutto pretermessa l’indagine relativa alla sussistenza o meno di un valido progetto.

Ed infatti questa Corte ha avuto modo di affermare che il contratto di lavoro a progetto, disciplinato dal D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, art. 61, prevede una forma particolare di lavoro autonomo, caratterizzato da un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, prevalentemente personale, riconducibile ad uno o più progetti specifici, funzionalmente collegati al raggiungimento di un risultato finale e determinati dal committente, ma gestiti dal collaboratore senza soggezione al potere direttivo altrui e quindi senza vincolo di subordinazione (cfr. Cass. 29.5.2013 n. 13394, Cass. n. 23021/2014).

E’ stato chiarito (cfr. Cass. n. 17488/2016; Cass. n. 12820/2016; Cass. n. 9471/2013) che “il senso complessivo delle disposizioni contenute nel D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. 61 e 69, (nel testo vigente all’epoca dei fatti per cui è causa, dunque anteriormente alle modifiche apportate dalla L. 4 novembre 2010, n. 183, dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni nella L. 7 agosto 2012, n. 134, dalla L. 28 giugno 2012, n. 92, art., comma 23, lett. a), dal D.L. 28 giugno 2013, n. 76, convertito con modificazioni dalla L. 9 agosto 2013, n, 99, fino alla sua definitiva abrogazione ad opera del D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81, art. 52, comma 1), si ricava dalla previsione contenuta nel D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 61, comma 1, secondo il quale i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, prevalentemente personale e senza vincolo di subordinazione, di cui all’art. 409 c.p.c., n. 3, “devono essere riconducibili a uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato, nel rispetto del coordinamento con la organizzazione del committente e indipendentemente dal tempo impiegato per l’esecuzione della attività lavorativa”: l’impiego del verbo “devono” palesa infatti l’intenzione del legislatore delegato di vietare, in armonia con la finalità enunciata dalla L. n. 30 del 2003, art. 4, comma 1, lett. c), nn. 1-6, (e fatte salve le specifiche eccezioni ivi previste e poi trasfuse nel D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 61, commi 1-3), il ricorso a collaborazioni coordinate e continuative che non siano riconducibili a uno o più progetti o programmi di lavoro o fasi di esso, allo scopo di porre un argine all’abuso della figura della collaborazione coordinata e continuativa, in considerazione della frequenza con cui giudizialmente ne veniva accertata la funzione simulatoria di rapporti di lavoro subordinato.

Codesta finalità è realizzata dall’apparato sanzionatorio previsto dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 69, il quale, ai commi 1-2, disciplina due distinte ipotesi: la prima ricorre allorchè un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa venga instaurato senza l’individuazione di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso; la seconda si verifica qualora venga accertato dal giudice che il rapporto instaurato ai sensi dell’art. 1 si è venuto concretamente a configurare come un rapporto di lavoro subordinato. Benchè entrambe siano sanzionate con l’applicazione della disciplina propria dei rapporti di lavoro subordinato, si tratta però di fattispecie strutturalmente differenti, giacchè nella prima rileva il dato formale della mancanza di uno specifico progetto a fronte di una prestazione lavorativa che, in punto di fatto, rientra nello schema generale del lavoro autonomo (sulla riconducibilità della collaborazione coordinata e continuativa nell’alveo del lavoro autonomo cfr., fra le tante, Cass. n. 6053 del 1986), laddove nella seconda rilevano le modalità di tipo subordinato con cui, nonostante l’esistenza di uno specifico progetto, è stata di fatto resa la prestazione lavorativa.

La riprova è che, riferendosi ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa instauratisi senza uno specifico progetto, l’art. 69, comma 1, cit., impiega la locuzione “sono considerati rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dalla data di costituzione del rapporto”, tipica dei casi di c.d. “conversione” del rapporto ope legis (quali ad es. le fattispecie interpositorie o di illegittima apposizione del termine finale di durata al contratto di lavoro: e trattasi di conclusione avvalorata dalla disciplina transitoria dettata dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 86, comma 1, secondo il quale “Le collaborazioni coordinate e continuative stipulate ai sensi della disciplina vigente, che non possono essere ricondotte ad un progetto o fase di esso, mantengono efficacia fino alla loro scadenza e, in ogni caso, non oltre un anno dall’entrata in vigore del presente provvedimento”), mentre con riguardo all’ipotesi che si accerti in fatto che il rapporto sia venuto a configurare un rapporto di lavoro subordinato, il successivo comma 2 stabilisce che “esso si trasforma in un rapporto di lavoro subordinato corrispondente alla tipologia negoziale di fatto realizzatasi tra le parti”: nonostante il legislatore impieghi la locuzione “si trasforma”, è infatti evidente che, in questo secondo caso, si tratta semplicemente di dichiarare giudizialmente ciò che le parti hanno realmente mostrato di volere attraverso il comportamento posteriore alla stipulazione del contratto, come si evince dal riferimento alla “tipologia negoziale di fatto realizzatasi tra le parti” contenuto nel prosieguo della disposizione in esame”.

Ne consegue che, in mancanza di progetto, programma di lavoro o fase di esso, la conversione automatica i rapporti di lavoro subordinato non può essere evitata da) committente-datore di lavoro neppure provando che la prestazione lavorativa sia stata caratterizzata da una piena autonomia organizzativa ed esecutiva.

Nella fattispecie in esame la Corte territoriale non si è attenuta a tali principi e, dunque, la sentenza impugnata deve essere cassata ed il giudizio rimesso alla Corte d’appello di Ancona anche per le spese del presente giudizio.

Non sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, (legge di stabilità 2013). Tale disposizione trova applicazione ai procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, quale quello in esame, avuto riguardo al momento in cui la notifica del ricorso si è perfezionata, con la ricezione dell’atto da parte del destinatario (Sezioni Unite, sent. n. 3774 del 18 febbraio 2014). Inoltre, il presupposto di insorgenza dell’obbligo del versamento, per il ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, del gravame (Cass. n. 10306 del 13 maggio 2014).

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza e rinvia alla Corte di Appello di Ancona anche per le spese del presente giudizio. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 6 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 30 novembre 2016

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